Quotidianamente...
Vita di ufficio... ma quella è un'altra storia...
"Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali" -
(Articolo 3 della Costituzione Italiana)
Post n°541 pubblicato il 15 Aprile 2010 da quotidiana_mente
“Vlan, splash”. Era questo il rumore che ho sempre pensato. Sì, un giorno sarebbe successo, avrei preso male un curva oppure avrei frenatoin modo repentino e “vlan, splash”. Anche se il “vlan” prevedeva magari unurto, ma non ci ho mai veramente pensato. Il “vlan” era riferito alla bici che scivolava ed lo “splash” alrumore del contatto di me con l’asfalto. Invece no, non c’è stato nessun rumore particolare, anzi, non c’è stato proprio niente. Il buio. Ero sulla bici intenta a pedalare visto che il semaforo era diventato verde, e un attimo dopo ero distesa sull’asfalto. No, non c’è stato nessun rumore, niente, il buio più totale tra il momento in cui ero sulla bici e il momento in cui ero distesa sull’asfalto. Non ho nemmeno pensato, in quel momento, a cosa fosse successo, a com’era successo. No. Ho semplicemente sentito un sapore strano in bocca. Eroancora distesa e ho guardato davanti. Ho visto gli occhiali da sole qualche metro più avanti, lo zainetto ancora nel cestino e sempre quel sapore strano in bocca. Poi ho capito. Ero caduta, quello era sicuro. Accanto, ho visto un uomo fermo sullo scooter con il cellulare in mano, stava telefonando. Mi si è avvicinato un altro uomo, che mi ha guardato e ha detto: “hai frenato”, ma non sembrava convinto. Mi sono rialzata e ho risposto che non avevo frenato visto che il semaforo era diventato verde. La zingara, quella che solitamente pulisce i vetri all’incrocio, si è avvicinata e mi ha dato un fazzoletto. L’ho passato sulle labbra e ho visto il sangue. Ecco spiegato cos’era il sapore strano in bocca. Ho capito in quel momento che avevo un dente rotto. L’uomo continuava a fissarmi chiedendomi scusa, poi ha sollevato la bicicletta e l’ha poggiata al muro, sul marciapiede. Piangevo, quello ricordo. Lui mi ha guardato di nuovo e mi ha detto che aveva fretta, che lo stavano aspettando in tribunale e che non poteva rimanere lì. L’altra persona, quella ferma sullo scooter, ha detto:“l’hai appena tamponata, dove vai?”, ha aggiunto che stava cercando di mettersi in contatto con i vigili urbani ma che era sempre occupato, ci ha dato il numero, ha chiesto se c’era ancora bisogno di aiuto e se ne andato. A turno abbiamo provato a chiamare i vigili, ma quando ci hanno risposto e hanno sentito l’accaduto, hanno chiuso il telefono, così. |
Venerdì 12 febbraio 2010 si celebra - in veste completamente rinnovata - la sesta edizione di “M’illumino di meno”: la Giornata del Risparmio Energetico lanciata dalla popolare trasmissione radiofonica Caterpillar, in onda su RAI Radio 2. Dopo il successo delle scorse edizioni, con l’adesione di migliaia di ascoltatori e di intere città sia in Italia che all’estero, quest’anno l’invito a rispettare un simbolico “silenzio energetico” si trasforma in un invito a partecipare a una festa dell’energia pulita. In questi anni, grazie al supporto di istituzioni, scuole, associazioni, aziende e privati cittadini, abbiamo contribuito alla diffusione di una maggior consapevolezza sulle conseguenze del consumo indiscriminato di energia: la riduzione degli sprechi e l’attenzione alle fonti alternative sono diventate parole d’ordine familiari per i nostri ascoltatori. Sulla scia di questa nuova sensibilità, è giunto il momento di fare un passo avanti rispetto allo spegnimento simbolico in nome del risparmio e di proporre un’accensione virtuosaall’insegna dello sviluppo delle energie rinnovabili. In questi anni abbiamo imparato a risparmiare, ora impariamo a produrre meglio e a pretendere energia pulita. Allo stadio attuale della ricerca tecnologica è già possibile produrre energia con il sole, il vento, il mare, il calore della terreno o con le biomasse. Facendo appello all’inesauribile ingegno italico invitiamo tutti, dagli studenti ai precari, dalle aziende in crisi alle amministrazioni comunali, a misurarsi con la green economy adottando un sistema pulito per accendere tutti insieme le luci il 12 febbraio 2010. L’intento è duplice: da un lato verificare in prima persona che le tecnologie attualmente disponibili sono efficaci e rappresentano alternative realistiche, dall’altro dare un segnale simbolico di fiducia nelle energie rinnovabili e nello sviluppo di un modello di economia sostenibile. Nelle piazze spente di tutt’Italia si accenderanno luci “virtuose” alimentate a energia rinnovabile o dimostrazioni creative di consumo efficiente, per testimoniare il passaggio da un sistema ormai al collasso ad una gestione più “illuminata” del nostro futuro. Per raccontare questa festa dell’energia pulita, il 12 febbraio Caterpillar andrà in onda eccezionalmente dai Mercati Traianei in Roma, coinvolgendo cittadini, scuole, istituzioni e associazioni in una rassegna di luci belle, creative e pulite, escogitate ad hoc, con un concerto finale rigorosamente a impatto zero. La campagna di M’illumino di meno si protrarrà dal 4 gennaio al 12 febbraio dando voce al racconto delle idee più interessanti e innovative per produrre e distribuire l’energia in modo pulito, responsabile e sostenibile. Una torcia a energia pulita viaggerà per l’Italia, sul modello del tragitto della fiaccola olimpica, alla ricerca di punti di rifornimento a fonti rinnovabili, per giungere fino a Roma e “accendere” la festa del 12 febbraio. Su www.caterpillar.rai.it, sarà possibile segnalare la propria adesione e trovare tutti i materiali per diffondere l’iniziativa nei posti di lavoro, a scuola o nella propria città.
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Da due settimane, ogni mercoledì, partecipo ad un corso sulla sicurezza in qualità di rappresentante dei lavoratori dell’azienda. Che poi, non sono stata eletta da nessuno, e nemmeno nessuno ha chiesto il mio parere. Mi è capitato così, tra capo e collo. Ho scoperto il misfatto leggendo una mail. Una mail arrivata da una società esterna che comunicava all’azienda, nonché a me, gli orari dei corsi e il luogo. Comodo. Ma sì.
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Che poi mi è venuta una grande nostalgia di Budapest, o meglio una gran voglia di tornarci, di vedere quanto non ho visto durante quei pochi giorni e di andare in giro per l’Ungheria. Non so nemmeno il perché. Sabato mentre giocavo all’Enalotto (ebbene sì, capita anche a me ogni tanto di puntare sulla fortuna) ho immaginato una finestra affacciata sul Danubio e mi sono chiesta se avrei preferito Buda oppure Pest. Poi, non ho avendo motivo di scegliere, non mi sono data una risposta. Perché sì, se io vincessi all’Enalotto comprerei una casa. O un appartamento. Di sicuro una a Roma, perché pur avendo soldi per girare il mondo, prima o poi tornerei a Roma. E anche una casa a Porto (o nei dintorni) con vista sul Douro (o con vista sull’oceano?) e un appartamento a Parigi con o senza vista sulla Senna, e una bella casa sulla Costiera Triestina. Perché sulla Costiera Triestina? Perché mi piace quella strada tortuosa che si inerpica tra pini e macchia mediterranea, che si infila in grotte calcaree, che lascia lo sguardo precipitare a picco sul mare, che ti rende briciola in quell’enorme panino blu che è il mare. Mi piace il blu del mare che bacia il blu del cielo. Mi piacciono le sue falesie carsiche che sembrano le guglie di una preistorica cattedrale. Insomma, comprerei una casa anche lì. Ma inizierei da Budapest e non ne conosco il motivo. Ci ho pensato per un po’. A Budapest mi sembrava di stare a casa pur senza capire una parola di ungherese, sarà stata l’atmosfera, sarà stato… cosa? Non lo so. A Porto, questo Natale, mi è sembrato di stare a Budapest nonostante la mancanza di somiglianze. Sarà stata l’atmosfera, saranno state le case colorate, sarà stato non so cosa ma lì mi sentivo là e là mi sentivo lì. Aria di casa.
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Immaginavo che sarebbe successo così. Ricordavo che a S., una collega, era avvenuto proprio in quel modo: a fine luglio era andata in ferie “normale”, a fine agosto era tornata con gran parte dei capelli imbiancati. Non riuscivo a ricordare se era proprio così già a fine luglio, magari ero stata distratta e non l’avevo guardata bene, ma per quanto mi sforzassi di ricordare, non ricordavo e ancora oggi, penso che era stato un attimo in cui da castana chiara era diventata castana brizzolata. Un attimo. A metà agosto ho notato che avevo dei capelli bianchi, non tanti ma molti di più che a fine luglio. Ho pensato che, in fondo, ancora non erano molti e ancora non molto visibili, poi, questa mattina, mi sono guardata allo specchio e ho visto che sono sempre di più. Ecco, forse anche per me, qualcuna sta pensando ”è stato un attimo e da castana è diventata brizzolata”. Forse. Ho deciso di guardarmi ancora meno allo specchio il che significa che non mi guarderò più. In fondo, lo specchio non è mai stato importante. Sì, ci vuole un attimo. Una sera, a tavola, mio padre ha detto che nonostante sia perfettamente cosciente della sua età continua a fare progetti a lungo termine, perché lui si sente giovane, non giovanissimo, ma come un eterno cinquantenne con tutta la vita davanti per vedere crescere i nipotini, per vedere invecchiare i figli, per vedere allungarsi verso l’alto gli alberi piantati di recente, per poter trasformare la soffitta in un paio di stanze con tanto di bagno, per poter ancora sopportare a lungo mia madre, per vedere tante altre cose e partecipare a tanti altri fatti. L’ho guardato ammirata. Anch’io mi sento giovane, ma non più così giovane o forse è così perché a differenza di mio padre non ho un progetto a lungo termine. Non lo so. Ho invidiato per un attimo mio padre e la sua serenità. Certo, ha i suoi “acciacchi”, sa di non essere eterno ma continua a vivere come se lo fosse. E’ ammirevole. Almeno io credo. Forse sono proprio i suoi desideri e sogni a farlo vivere in modo così quieto. Lui forse non è più felice di chiunque altro, ma è tranquillo. Nonostante tutto. Mi sembra tanto. Sì, per un attimo, l’ho invidiato. E’ stato anche il momento, quella sera a tavola, in cui ho preso coscienza che i miei genitori stanno invecchiando. Che io diventi, giorno dopo giorno, più anziana non mi disturba, ma che i miei genitori a loro volta, giorno dopo giorno, si fanno più anziani mi dà fastidio oltre ad essere, per me, inconcepibile. Non riesco proprio a concepire che i miei genitori e persino i miei fratelli si facciano più vecchi. No, non ci riesco proprio.
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Eravamo in macchina andando non so dove. Mi hanno offerto 25 Euro per una gallina nera, ha detto mio padre. Ottimo prezzo, ho risposto. Non l’ho venduta, perché era per una messa nera, ha aggiunto lui. Stai diventando sentimentale. Mio padre si è girato per meglio guardarmi. Sentimentale, io? Ha chiesto. Sì, tu, ho detto cinicamente. La conversazione sembrava finita lì, ma con mio padre niente finisce immediatamente. Ci ha pensato un po’, poi ha continuato il suo ragionamento, a voce alta. Sentimentale, io, figurarsi. Ma perché dovrei cedere una gallina per un rito che non capisco. Povera gallina, cosa avrà mai fatto di male per finire in un rito da selvaggi, no, non sono sentimentale ma solo una persona di buon senso. Perché far finire una gallina in una pentola è meglio? Ho chiesto. No, ma è nell’ordine naturale delle cose, ha risposto. Non è naturale vendere una gallina anche se per un ottimo prezzo per un rito, per una messa nera. Allora credi nei riti, ho affermato. No, non ci credo, ma non c’entra niente, povera gallina, finire chissà come, ha aggiunto. Mi sono chiesta chi praticasse certi riti in quel villaggio, ma non conoscendo quasi più nessuno, ho smesso di pensarci. Ero tentata di chiederlo a mio padre, ma non volevo andare oltre con la conversazione, non sapevo che si facessero messe nere in Portogallo, ma sono tante le cose che non so o che non so più.
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In fondo non c’è nulla di male ad avere delle pecore e non avere più il coraggio di mangiarle. No, non c’è niente di male. Mia madre ha subito trovato un modo per occuparle: brucare l’erba. Sì, le pecore (e l’agnellino) sono usate come tosaerba, sostiene mia madre che sono molto più ecologiche e molto meno rumorose. Quello che mi stupisce è il loro prestito ai vicini per lo stesso motivo: tosare l’erba. |
Ieri sera c’è stata la tanto famigerata cena aziendale, quella che impegna i miei neuroni alla ricerca della scusa perfetta. Quest’anno la mia materia grigia (fusa da mesi) non ha avuto bisogno di riflettere, ha pensato che la soluzione migliore era partecipare alla cena poiché l’anno prima non c’ero stata. Ma soprattutto il ristorante era così vicino a casa che non andarci mi sembrava una cattiveria gratuita e poi, avendolo già collaudato, almeno andavo sul sicuro in quanto a cena. Sabato scorso in compagnia dell’allegra combriccola, ho esternato che avrei avuto bisogno di qualcosa da mettere per la famigerata cena aziendale. Una gentile signora che sospetto prendere commissioni sugli acquisti fatti dall’allegra combriccola, ha iniziato a mostrarmi quanto di meglio c’era in quel momento. Avrei detto, afferma un’altra gentile signora, che andava bene tutto purché “nero brillante”. Non metto in dubbio di aver fatto una simile affermazione, però non capisco il perché di tanto stupore. C’è il nero smunto, c’è il nero brillante e c’è anche il nero neutro. Almeno per me è così. Mi convincono a provare l’indumento individuato e tutte sostengono che il capo in questione sembra designato (e cucito) proprio per me, che mi sta davvero bene, che è una meraviglia e così via. Non ero proprio convinta, ma mi sono lasciata convincere. Già nel viaggio di ritorno ho pensato che era un acquisto incauto, che mai e poi mai avrei indossato un capo simile. Arrivata a casa, ho fatto un paio di prove e… sì, in effetti, non mi stava male, ma… La cena aziendale, come sempre, arriva troppo presto. Durante la giornata non ho minimamente pensato a cosa indossare la sera. Arrivata a casa, dopo otto ore di sudore e fatica (adoro, come sempre, esagerare), ho preso la scala, ho tirato fuori dalla sua fodera un vestito indossato anni prima per la solita cena aziendale, ho cercato un paio di calze, ho tirato dalla sua scatola un paio di scarpe e ho deciso che poteva bastare. A casa, ho fatto dieci minuti di camminata forzata per riprendere contatto con la realtà dei tacchi. Ho riflettuto e mi sono accorta che, ormai, da anni indosso solo scarpe, scarponcini, stivali ma sempre con il tacco raso terra. Ho anche provato a truccarmi, davanti allo specchio ho messo del rimmel che ho dovuto subito togliere e riprovare a mettere, ho persino osato il rossetto. Il risultato, in fondo, secondo me, non era male, insomma, non mi sentivo così ridicola. Il dramma è stato camminare con i tacchi sui sampietrini. Mi sono chiesta come si fa a camminare in modo lesto. Mi era venuta voglia di tornare a casa, indossare scarpe “normali”, mettere quelle con il tacco in borsa per calzarle solo all’ingresso del ristorante. Ero anche tentata di indossare una tuta sopra alle calze perché il freddo era, ieri sera, pungente, ma poi la mia pigrizia ha avuto il sopravvento e non ho fatto nulla di tutto questo. Questa mattina il Gran Capo si è complimentato per la mia eleganza e per il trucco che metteva in risalto i miei occhi. Ero convinta che nessuno ma proprio nessuno si fosse accorto del trucco sul viso… infatti, il rossetto è passato inosservato. Mondo ingrato! La cena è stata senza infamia e senza lode e l’anno prossimo passerò la mano, perché nonostante la simpatia dei colleghi, dei partner al progetto che abbiamo in comune e agli ospiti dell’amministrazione per la quale stiamo lavorando, ho pensato che mangiare con una compagnia non scelta non rientra tra le mie priorità. Poi un anno sì e l’altro no: l’anno prossimo non mi servirà una scusa. Ora ho in armadio un indumento degno di una serata di gran galà e chissà se mai sarà indossato da me. Potrei riciclarlo regalandolo a mia madre, ma la sua reazione mi spaventa.
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Era la prima volta che vedevo un cartello simile. Era lì in un angolo, un po’ in alto ma ben visibile. Ho controllato la strada, dove iniziava questo divieto cercando di capire il suo significato. Il vicolo in sé non aveva niente di rilevante, ho pensato che, forse, di notte cambiasse “vestito”. Ho fermato un paio di passanti chiedendo spiegazioni, ma nessuno, proprio nessuno, aveva mai notato quel cartello e non mi potevano aiutare. Ho una mia idea ma ogni volta che l’ho espressa, ho provocato solo ilarità nei miei interlocutori. |
Che poi la vita è così, o forse sono io che sono così. Per anni ho sognato di andare a Praga alla ricerca delle tracce di Kafka, poi ho semplicemente desiderato andare a Praga anche senza cercare niente e quando si è presentata l’occasione ho deciso di andare a Budapest. Così, senza un motivo preciso. Così, solo per il gusto di andare a Budapest. E ci volevo andare in treno, ma 18 ore di treno per arrivare e altre 18 per tornare, il tutto in quattro giorni mi sono sembrate un tantino troppe. Così ho optato per un volgare aereo. Foto: http://it.wikipedia.org/wiki/File:Parliament_Buildung_Hungary_20090920.jpg (Wikipedia) |
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In fondo non c’è da festeggiare visto l’andamento degli ultimi mesi (o dell’ultimo anno?). In fondo non c’è da festeggiare perché sto esaurendo i miei argomenti, ma poiché dopo tanti anni sono ancora qui a scrivere, ogni tanto, qualche insulsa banalità e ancora senza voglia di abbandonare questo spazio alla sua triste sorte, ho deciso che, in fondo, è cosa buona e giusta festeggiare.
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Post n°527 pubblicato il 12 Novembre 2009 da quotidiana_mente
Ne parlavo ieri, ma erano giorni che ci pensavo. - “Perché, secondo te, le mie compatibilità più alte, su aNobii, sono con profili maschili?”, ho chiesto - “Quanti libri di autrici hai su aNobii?”, mi è stato chiesto - “Marguerite Yourcenar, Crista Wolf, Toni Morrison, Agota Kristof, parecchie, almeno credo.” - “Jane Austen?” - “Non ho inserito tutti i libri che ho, figurarsi quelli letti anni fa.” - “Elizabeth George? Doris Lessing?” - “Beh, no, non c’è nulla, ma c’è Anne Tyler comprata solo per via di una recensione di Hornby e la lettura è stata una mezza delusione. Sarà per colpa di Lansdale, di Dick, di Ballard, Carlotto, forse considerati più letture da maschio?” - “Secondo leggi poco le donne, tutto qui.” Ci ho pensato ancora e ancora. Ho aggiunto che avevo autori considerati “femminili” nel senso che soprattutto letti da donne. Niente da fare, secondo il mio interlocutore era la scarsità di autrici a rendermi compatibile con i profili maschili, perché gli uomini leggono poco le donne. Forse è così, ma sono rimasta perplessa. - “Perché, secondo te, in palestra ho “legato” con una fanciulla che potrebbe essere mia figlia? Dopo una lezione ci siamo scambiate i numeri di cellulare e ora ci avvertiamo quando non andiamo alla nostra lezione preferita. Perché l’altra persona con la quale ho fatto la stessa cosa, è più giovane di me di oltre dieci anni? E ora quando siamo assieme in palestra sembriamo ai tempi della scuola, alla ricerca dell’ultimo banco dove sederci in pace a chiacchierare con il termosifone alle spalle?” - “Forse perché hai un comportamento giovanile.” - “Significa che non ho un comportamento da persona matura?” - “No, non significa questo.” - “Allora cosa significa? Non sono stata io a cercare la loro compagnia, il mio comportamento è sempre lo stesso che io abbia una coetanea o una persona giovane di fronte.“ Perché sì, in questi giorni sono più perplessa del solito. Perplessità irrilevanti, me ne rendo conto, ma che mi lasciano dei dubbi su me stessa. Sul mio modo di rapportarmi agli altri. In questi giorni sono più perplessa del solito, non dubbiosa, proprio perplessa. Guardo il mondo che gira intorno a me, o meglio guardo il mondo che gira con me dentro e le mie perplessità aumentano. Vado avanti lo stesso, magari mi fermo solo un po’ di più a “perplimermi”. Oggi mentre ero in coda al semaforo, respirando quanto usciva dal tubo di scarico di fronte a me, ho alzato la testa e ho ammirato un eucalipto che noncurante dello smog continua la sua corsa verso l’alto, verso il cielo. Gli eucalipti sono, per me, “casa”, quando arrivo all’aeroporto di Porto, so di essere arrivata in Portogallo, ma quando dopo qualche chilometro, mi inebrio dell’odore degli eucalipti e so di essere a casa. Qualcuno è lì da sempre, da prima di me, qualcun altro piantato dopo l’ennesimo incendio, perché crescono in fretta e riescono a riempire il vuoto lasciato dalle fiamme, ma impoveriscono la terra, si dice. Eppure sono l’odore di casa, sono il simbolo di casa. Così come il cipresso che cresce in un giardino di fronte a casa, a Roma, è l’odore della casa di mia zia Eleonor, quel cipresso quando è bagnato dalla rugiada al mattino, o di pioggia la sera, è l’odore della mia infanzia. Odorandolo riesco persino a ricordare le parole che scambiavo con le mie cugine quando giocavamo assieme, secoli fa. Tutto mi torna in mente con un semplice cipresso bagnato di rugiada. Ed è meraviglioso. Ho cercato qualche anno fa il cipresso nei dintorni di casa di mia zia: non c’era e tutto intorno era molto cambiato. Non ho voluto chiedere se c’era mai stato, perché, in fondo, voglio che il mio ricordo rimanga intatto. Su un fatto non mi sento cambiata: quello di saltare di palo in frasca. Tra una perplessità e un’osservazione, riesco benissimo a ritrovarmi fuori da ogni ragionamento iniziato. No, non sono coerente e questo non mi lascia perplessa. Invece da qualche mese, a tempo perso, mi chiedevo come si diventava gold blog, era una mia semplice curiosità. Mi chiedevo, sempre a tempo perso, se si doveva fare una richiesta o se era la piattaforma a selezionare tra i vari blog. Non avendo l’e-mail collegata al blog, nel senso che non è attiva, non la controlla mai. Mai? Diciamo che la controlla un paio di volte all’anno perché so che per ogni messaggio ricevuto, un avviso viene mandato sull’e-mail. Qualche giorno fa, sono andata a svuotare la casella di posta elettronica: in fondo, non c’era molto da cestinare, ma grande è stata la mia sorpresa quando ho visto che, a fine agosto, mi era stata mandata una e-mail con la proposta di diventare gold blog, ancora più grande è stato il mio stupore quando ho scoperto che i termini per l’accettazione erano scaduti. In effetti da fine agosto ai primi di novembre, mi è sembrato un tempo più che ragionevole per prendere una decisione. E’ stato comunque illuminante: ho capito, senza dover chiedere niente, che si diventa gold blog per scelta della piattaforma, il che, in fondo, mi sembra cosa buona e giusta. Mi sono chiesta se avrei accettato o meno (se avessi controllato per tempo la casella di posta elettronica). Non mi sono data una risposta. Però so che mi piace che il mio spazio sia “pulito”. Cambio canale ogni volta che c’è pubblicità in TV oppure tolgo l’audio, come mi sarei comportata con il mio spazio personale? Non lo so, ma, a pensarci bene, il problema non sussiste visto che i termini sono scaduti e da tempo. Almeno una risposta (mai chiesta) ad una mia domanda (mai formulata) l’ho avuta. Cosa c’entra tutto questo con le mie perplessità? Niente, ovviamente. |
UMORE DEL GIORNO
"Ad ogni angolo di strada il sentimento dell'assurdità potrebbe colpire un uomo in faccia"
(Albert Camus)
Inviato da: cassetta2
il 06/12/2020 alle 19:25
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il 18/03/2013 alle 21:27
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il 28/08/2011 alle 09:40