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TRA IL BENE ED IL MALE C'E' UN ABISSO INCOLMABILE NON SOLO IN CIELO MA ANCHE SULLA TERRA

Post n°771 pubblicato il 20 Marzo 2014 da sebregon

 II SETTIMANA DI QUARESIMA - GIOVEDÌ

 


 


 

 

Lc 16, 19-31


 
In quel tempo, Gesù disse ai farisei: «C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe. Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”. Ma Abramo rispose: “Figlio, ricordati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”. E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”». 

 

Il ricco e il povero. Il ricco arrogante che finisce all’inferno e il povero umile che va in paradiso. Vecchia storia, che però oggi si aggiunge, curiosamente, a una riflessione che ho fatto su di me. A quasi sessant’anni mi ritrovo ancora in situazioni in cui, di fronte a qualcuno che si dimostra attaccato al denaro, io faccio la “signora” e lascio andare il denaro (ovvero, lo perdo), piuttosto che fare come lui.

 

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In altre parole, provo un profondo disprezzo (e quindi giudizio) verso chi è “avaro” e/o disonesto e trattiene per sé i soldi anziché darli, soprattutto se dovuti. Tale disprezzo fa sì che io poi tenda a consumare una mia personale, sottile vendetta nel tentare di far perdere la faccia a chi si comporta in questo modo, lasciandogli il denaro anche se mi spetta.

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Con il risultato, per lo più, che la persona in questione - lungi dal provare vergogna o senso di colpa – il denaro se lo tiene, ben felice di farlo, e per giunta mi ritiene un’idiota. Il disprezzo per il “pezzente” finisce dunque con il rivelarsi inefficace, se non dannoso, ritorcendosi contro di me. Ma, pervicace nell’errore, continuo a ripetere da decenni il vecchio copione.

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Che c’entra questo con la pagina odierna del Vangelo? C’entra, perché ho sentito che avrei mandato volentieri all’inferno, insieme al ricco, alcune persone che conosco personalmente, e un lungo stuolo di altre che non conosco se non di nome, per la loro presenza nelle pagine di cronaca…

 

Alessandra Callegari

 
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