Creato da lafarmaciadepoca il 13/10/2010

La farmacia d'epoca

Raccolta di scatole e flaconi di farmaci di ieri - di Giulia Bovone

Messaggi di Febbraio 2015

Rovigon

Post n°414 pubblicato il 27 Febbraio 2015 da lafarmaciadepoca
 

Sia che siate veneti o meno, sicuramente avrete sentito parlare del Rovigon Roche, un’associazione di vitamina A ed E, ancora in commercio ai giorni nostri.

Comparve sulla fine degli anni Cinquanta, come integratore per gli adulti, una fetta di mercato difficilmente raggiungibile, a differenza dei bambini, che grazie alla categoria delle mamme apprensive, erano bersagliati da ogni tipo di vitamina immaginabile.
Il retinolo , o vitamina A, assunse grande importanza clinica nel 1917, quando Jack Cecil Drummond, riuscì a correlare  la mancanza di questa vitamina all’insorgere di disturbi visivi, ma fino agli anni Trenta, non si ebbero nozioni sul ruolo ricoperto dal retinolo nell’elaborazione dello stimolo visivo. Oggi sappiamo che una carenza di retinolo è causa di episodi di ridotta visione notturna, fino a casi di completa cecità, in quanto la rodopsina, una proteina fotosensibile presente  nei bastoncelli della retina, è formata da un gruppo prostetico,  l’11-cis-retinale, che deriva dal retinolo. Basse concentrazioni di quest’ultima molecola fanno sì che la quantità di luce necessaria per eccitare i bastoncelli sia via – via superiore, con cecità in ambienti bui.

La vitamina E, conosciuta meglio come tocoferolo, ha importanti proprietà antiossidanti, essendo capace di donare un elettrone ai cosiddetti “radicali liberi”, stabilizzandoli. Inoltre svolge un ruolo molto importante nella formazione di aggregati piastrinici, nell’espressione genica, e potrebbe avere un futuro nella lotta contro il diabete. La scoperta della sua importanza nell’organismo umano è però recente: solo nel 1968, si scoprì la sua essenzialità nella dieta umana.

Ora che vi ho spaventato per bene, sarete tutti corsi su Wikipedia e simili per vedere quali sono i cibi più ricchi di queste due vitamine: ebbene, non dovete preoccuparvi. Con una dieta equilibrata, ossia mangiando un po’ di tutto, è difficilissimo incorrere in questo tipo di carenze, che rimangono confinate all’ambito delle malattie metaboliche per mancato assorbimento.

Ecco la foto del flacone:

Rovigon


Misura 7,7 cm di altezza x 3,3 cm di diametro (fondo) e risale agli anni Sessanta / Settanta. Non sono presenti indicazioni della posologia.

Grazie per aver letto il post!



 
 
 

L'Artrosolvina e la cura Rinaldi

Post n°413 pubblicato il 20 Febbraio 2015 da lafarmaciadepoca
 

 

L’Artrosolvina Menarini è sicuramente un farmaco molto curioso, che ci insegna che ogni epoca ha avuto a che fare con i metodi di cura miracolosi, così “efficaci”  e “completi”, che sono caduti repentinamente nel grande dimenticatoio della storia del farmaco.

L’Artrosolvina fu messa in commercio come trattamento universale per ogni artropatia, a partire dalla semplice artrosi fino a casi di artrite reumatoide giovanile, caratteristica rispecchiata anche dalla sua composizione:

- Sodio glicerofosfato: modernamente è impiegato nel trattamento degli stati d’ansia e altre patologie nervose, spesso associato a valeriana, mentre all’epoca era considerato quasi una “panacea” per l’artrite.
-Sodio cacodilato:  sale ottenuto dalla neutralizzazione dell’acido cacodilico con il carbonato di sodio. Mentre il carbonato di sodio è una molecola tranquilla, l’acido cacodilico o acido dimetilarsinico entrò in terapia come forma meno tossica dell’arsenico da impiegarsi nei ricostituenti arseniali. Il sodio cacodilato contiene un 35% circa di arsenico.
- Sodio formiato: in passato era utilizzato in farmaceutica come diuretico, ad oggi è alla base di svariate lavorazioni nell’industria tessile.
-Sodio joduro: oggi come allora è impiegato nel trattare le carenze di iodio dovute ad una dieta carente.
-Novocaina: perché nessun farmaco ideato nella prima metà del Novecento potrebbe essere tale senza un antidolorifico, che tenendo conto dei dolori connessi all'artrite, in questo caso è pienamente giustificato, anche se la novocaina (o procaina), è meno "robusta" dell'alcaloide da cui deriva, ossia la cocaina.
-Sodio arseniato: sì, nella prima metà del Novecento era diffusa l’idea che l’arsenico e i suoi sali, se presi a piccole dosi, avessero proprietà medicamentose: oggi possiamo affermare con sicurezza che l’unica proprietà farmacologica degna di nota era la loro azione rodenticida.
-Stricnina nitrato: presente un po’ ovunque nei farmaci “d’urto”, considerati dei convulsivanti energici, in grado di esaltare i riflessi spinali. Credo sia inutile sottolineare la sua tossicità in caso di terapie croniche.

L’Artrosolvina comparve sul mercato sulla scia della cura “miracolosa” del Dott. Alberto Rinaldi. Classe 1869, si laureò in medicina a Siena nel 1894, per poi tornare  a Cetona, il suo paese natale, dove esercitava come medico condotto.
Diventò presto famoso per aver “ideato” una cura per l’artrosi che a prima vista pareva miracolosa, ma che in realtà non era tale.
Esaminando alcuni articoli storici sul Rinaldi e sul suo lavoro, è molto curioso vedere quanto l’Artrosolvina si avvicini ad essa, soprattutto per la composizione: sodio glicerofosfato ad alte dosi, formiato di sodio, arseniali e stricninici, tali e quali come nella terapia di Rinaldi.

Alla morte del dottore, avvenuta nei primi anni Trenta, il Guardasigilli Arrigo Olmi, incaricò il Professor Tommaso Lucherini di indagare sul metodo impiegato da Rinaldi e venire così a conoscenza del segreto miracoloso che quest’ultimo si era portato nella tomba.
Gli studi sperimentali di Lucherini, portarono pochi anni dopo alla bocciatura del metodo, in quanto in nessuno dei pazienti vi era stata remissione dei sintomi o guarigione. Allora cosa poteva dar l’idea di “panacea” alla cura di Rinaldi?
Personalmente non ho avuto la fortuna di esaminare i documenti del caso, ma l’Artrosolvina, e farmaci simili ad essa mi danno qualche idea: è possibile che anche Rinaldi facesse uso nel suo intruglio di alcaloidi per lenire le manifestazioni dolorose. D’altronde meno il dolore è percepito dal paziente, più esso ha l’illusione di “star meglio”.
Come dicevo prima non molto è rimasto dei manoscritti del Dottor Rinaldi, anche se sono state ritrovate delle fatture di acquisto di alcune fiale di glicerofosfato, che il medico soleva approvvigionarsi dalla grande distribuzione farmaceutica, ma volendo credere a quel senso di “benessere ed euforia” che accompagnava i malati già a partire dalla seconda iniezione, direi che l’alcaloide di Rinaldi funzionava molto bene.

Ecco la foto della scatola:

Artrosolvina

Misura 14,9 cm x 9,2 cm x 2 cm. Il modello della scatola è l’ultimo apparso, cioè quello della prima metà degli anni Cinquanta, ma il prodotto fu immesso sul mercato già negli anni Trenta. Ogni scatola conteneva 6 fiale da 5cc e costava 580 lire.
La posologia era a discrezione medica.

Grazie per aver letto il post!

 

 
 
 

Analba

Post n°412 pubblicato il 06 Febbraio 2015 da lafarmaciadepoca
 

 

La scatola dell’Analba non è un granché dal punto di vista del design, ma è un ottimo esempio di ovuli vaginali anni Venti / Trenta.

Premettendo che fino alla metà degli anni Cinquanta, quando gli studi di Masters e Johnson chiarirono diverse meccaniche fisiologiche collegate al sesso, soprattutto circa l’orgasmo femminile, l’argomento “farmaci ginecologici” è sempre stato considerato un tabù.
Questo perché sulla fine dell’Ottocento si era radicata la convinzione che qualunque corpo inserito all’interno della vagina, indipendentemente dalla sua natura e dalla sua forma, avrebbe provocato nella donna un orgasmo, quindi gli ovuli vaginali avrebbero avuto il pregio di dare nella paziente una doppia “soddisfazione”, sia farmacologica che personale. Oggi noi sappiamo che l’orgasmo vaginale non esiste, ma all’epoca, per non assecondare la lussuriosa donna vittoriana,   le affezioni vaginali erano trattate tramite lavande o lassativi, e per il “boom” degli ovuli occorrerà aspettare il Novecento.

L’Analba infatti è uno dei tanti esempi di ovuli vaginali che segue la regola: glicerina + colla di pesce + molecola terapeutica a caso, in questo caso “argirina”, nome commerciale utilizzato dall’Euterapica di Torino per l'ossicidialbumato d’argento, un sale impiegato in passato come battericida ed antisettico prima dell'inizio dell'era antibiotica.

Generalmente i sali organici dell'argento, avevano il pregio di risultare meno tossici per l'organismo rispetto a quelli inorganici, come il nitrato d'argento, ampiamente impiegato anch'esso nella ginecologia pre antibiotica.
A piccole dosi, il nitrato d’argento ha proprietà antisettiche ma anche un’elevata tossicità, che dà il meglio di sé in caso di assunzioni croniche, in quanto sfocia facilmente in argiria, ossia intossicazione da argento, conferendo un caratteristico colore grigiastro della pelle.

Ecco la foto della scatola:

Analba

Misura 11,5 cm x 5,5 cm x 2,7 cm e risale agli anni Venti. Non sono presenti tracce di posologia, solo alcune indicazioni mediche circa il loro impiego, ossia profilassi delle affezioni utero vaginali e leucorrea.

Grazie per aver letto il post!

 

 
 
 

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