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Creato da: pqr9 il 16/08/2008
un blog dove discutere del merito e come premiarlo

 

 

Primari a vita, nessuno li valuta anche se la legge c’è

Post n°16 pubblicato il 25 Agosto 2009 da pqr9

L'articolo originale

http://www.misericordie.org/rassegna/rsMISE/80523.pdf

la cosa bellissima sono le parole (alla fine dell'articolo) del "compagno" Bissoni assessore alla sanita' e ex sindaco rosso di Cesenatico: Il problema e' la selezione, mai il rinnovo, questo deve essere un'eccezione.

E bravo il compagno, allora basta leggere Pirani per capire che selezionano chi dicono loro, li tengono quanto e se fa comodo a loro e viva la democrazia e la trasparenza.

Compagno Marino non hai niente da dire? e Tu compagno Marrazzo difensore dei Poveri?

La legge 502/92 parla chiaro: l'incarico ai dirigenti di II livello ha durata quinquennale ed è rinnovabile, ma solo dopo l'analisi dei risultati ottenuti dal primario, non in modo automatico. Ne parla il Messaggero.
«Ma quanti rispettano la legge? - s'interroga il quotidiano - praticamente nessuno, i primari che non vengono confermati si contano sulle dita di una mano. In teoria il rinnovo d'incarico spetterebbe a una commissione composta dal direttore sanitario e da due dirigenti, uno designato dalla Regione, l'altro dal consiglio dei sanitari, entrambi, in ogni caso, esterni all'unità locale». 
«Prendiamo ad esempio il Lazio, chi valuta? - mostra stupore Luigi Canali, presidente della Commissione regionale Lazio della Sanità - non mi risulta che siano mai state messe in atto procedure di questo tipo dunque debbo pensare che o non è stata fatta o è andata a buon fine. Quello che è più grave è che si è instaurata una forma di tacito consenso tra primari e amministrazione. Mi spiego meglio: i dirigenti nominati hanno preferito che gli venisse applicato il contratto collettivo di lavoro e non un contratto privatistico che li avrebbe "esposti" ad una verifica».
 «È una scelta contraria agli interessi della sanità pubblica - ribadisce Canali - appiattisce i valori. La meritocrazia si misura in base al raggiungimento degli obiettivi. Ma se la verifica non c'è, non ci sono neanche obiettivi. Abbiamo ottimi professionisti e mediocri professionisti. Ma li trattiamo tutti allo stesso modo. La controprova l'abbiamo avuta con la Riforma Bindi. Prevedeva per i medici la libertà di scelta ma solo l'8% nel Lazio ha chiesto il bollettario per svolgere l'attività privata».
Fonti: Il Messaggero, pag. 1, 11, EDOTT.IT

 
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SE VINCI IL CONCORSO CORRENDO DA SOLA

Post n°15 pubblicato il 25 Agosto 2009 da pqr9

giovedì 8 gennaio 2009

Da "Il Corriere della Sera" di mercoledì 7 gennaio 2009
http://archiviostorico.corriere.it/2009/gennaio/07/vinci_concorso_correndo_sola_co_9_090107116.shtml

di Gian Antonio Stella
Se vinci il concorso correndo da sola Le regole sono regole», sentenzia in un`intervista il professor Andrea Lenzi, spiegando perché il Consiglio Universitario Nazionale, del quale è presidente, abbia più volte affermato «la necessità di un sistema di valutazione rigoroso e trasparente degli Atenei e dei Docenti». Parole d`oro. I concorsi per diventare professori hanno dato vita a troppi scandali. Altrettanto condivisibile, ovvio, è l`invocazione di una miscela virtuosa tra rigidità ed elasticità dei parametri: «Se per diventare ordinari di Fisica servono io pubblicazioni, ma poi si presenta un certo Einstein che di articoli ne ha uno solo ed è l`enunciazione della teoria della relatività...». Giustissimo:
tanto più in un`Università italiana in cui gli ordinari con meno di 35 anni sono undici su 19.864 e l`età media dei ricercatori è di 47 anni. Resta tuttavia una curiosità. Che nasce dalla carriera di una certa Francesca Romana. La quale, nata nel 1983, diplomata al liceo classico nel 2001, guadagnata la laurea triennale in Scienze Politiche alla Luisa nel 2004 e superato il successivo biennio il 20 febbraio 2007, già dieci mesi dopo correva per un posto da ricercatore indetto il 21 dicembre 2007 dall`Università degli Studi Europea, quella dei Legionari di Cristo.
Prima curiosità: come mai un ateneo giovane e gracile, diciamo così, bandisce un posto specialistico di «Storia dell`Europa orientale»? Seconda curiosità: perché si iscri- vono al concorso in tre ma subito dopo due decidono che non vale manco pena di presentarsi agli scritti? Dubbi sul sistema Terza curiosità: che senso di valutazione ha nel verbale la precisazione che «la-Commissione ha rigoroso e proceduto alla riunione del~ tras arente di le buste contenenti gli elaP borati secondo le modalità atenei e docenti fissate nella seduta preliminare, in modo da garantire l`anonimato degli elaborati stessi» se l`unica in gara era appunto la nostra Francesca? Dice il documento del Cun sugli «indicatori di qualità» che per vincere un posto da ricercatore servono:
a) «Una monografia, espressiva di un impegno complessivo di ricerca, eventualmente risultato dello sviluppo in modo autonomo della tesi dì dottorato, e una serie di almeno tre contributi (saggi o articoli) significativi anche sul piano della consistenza, pertinenti al settore scientifico-disciplinare, pubblicati in riviste qualificate o in volumi collettanei, nell`arco di tempo dell`ultimo quinquennio, in modo continuativo».
b) «Attività di ricerca documentata da almeno un triennio, tramite il conseguimento del dottorato di ricerca o forme di collaborazione all`attività di gruppi di ricerca universitaria o autonoma».
Bene: a 25 anni, appena laureata, senza dottorato, senza i tre lavori significativi nell`arco di un quinquennio (mica poteva cominciare al liceo) né i tre anni di ricerca, Francesca Romana vince la sua gara solitaria. Bene, brava, bis.
Domanda: dato che si chiama Francesca Romana Lenzi non sarà mica figlia del presidente del Cun? E il presidente della commissione d`esame Antonello Biagini non sarà mica il marito della professoressa Giovanna Motta collega di Andrea Lenzi alla facoltà di medicina della Sapienza? Certo che, come coincidenze, sarebbero davvero bizzarre...

 
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Speriamo che non "Mi Manda rai tre" !!!!!

Post n°14 pubblicato il 25 Agosto 2009 da pqr9

martedì 24 marzo 2009

UN LIBRO INCHIESTA DENUNCIA LA MALASANITA' LAZIALE
La nomina politica dei manager e dei responsabili di strutture complesse e' un sistema gattopardiano, dalle loro competenze e azioni dipende la salute dei cittadini. E' questa la tesi di fondo del saggio sulla malasanità laziale "Le mani sulla Sanita'" di Alessio D'Amato, Orfeo Notaristefano e Dario Petti . Il testo e' una denuncia dell'invasione della criminalita' organizzata dal nord al sud Italia anche nella sanita'. Al dibattito seguito alla presentazione del libro era presente anche il presidente della Provincia Nicola Zingaretti, che non ha rilasciato dichiarazioni, il presidente della Regione Piero Marrazzo che esposto le sue perplessita' su una riforma della Sanita' che non si puo' fare senza una grande coesione sociale. Marrazzo ha ricordato la proposta di legge regionale che puo' portare ad una separazione effettiva circa la nomina dei primari. Il volume prende spunto dagli episodi di malasanità che hanno occupato le cronache giudiziarie e giornalistiche degli ultimi anni per denuciare un sistema, quello della sanità pubblica, in mano alla partitocrazia che nonostante assorba ingenti investimenti pubblici, si rivela inefficiente e poco controlabile

 
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Inchiesta messagero MERITOCRAZIA ASL Laziali (Bravo Marrazzo, per fortna che non sei a Mi manda rai tre!!)

Post n°13 pubblicato il 25 Agosto 2009 da pqr9

Il Messaggero Giovedì 21 Maggio 2009
di CLAUDIO MARINCOLA

ROMA - Ventotto associazioni di utenti e consumatori hanno scritto al presidente della Regione Lazio Piero Marrazzo. Si sono rivolti all’Aduc per chiedere di rendere pubblici curricula, obiettivi e risultati dei Direttori generali, manager che gestiscono milioni di euro. A dire il vero alla Regione Lazio una commissione per l’accesso all’albo dei Dg ci sarebbe. Ha la documentazione di tutti i manager che guidano le 21 entità laziali. Ma non è competente per la valutazione. I Dg non possono essere giudicati. Sono la cinghia di trasmissione tra i partiti e la sanità. I figli della legge Bindi. Legge datata 1999 che voleva colpire la casta bianca, il baronato universitario e ha introdotto di fatto il tesseramento in corsìa. Trasformato reparti in comitati elettorali. Alimentato fino a esplodere il malessere dei medici e dei pazienti. Dieci anni dopo la musica è sempre la stessa. Il direttore generale prende ordini dal politico. E il primario pure. Che poi sia il primo a scegliere il secondo è poco più un dettaglio. Conta il metodo, l’effetto a cascata, il sistema che ha sostituito la meritocrazia con la partitocrazia. Una tessera per ogni camice. Tutto era cominciato con una domanda retorica: le Usl sono aziende? E allora ecco i manager, emanazione dei governatori, creature partorite in un vortice di correnti. Solo loro, i Dg, a nominare a loro volta i direttori amministrativi, ad avere un ruolo decisivo sugli appalti, a dire l’ultima parola sulla scelta dei primari. Quanti sono? Circa 240, numero che varia in ragione delle aziende in via di accorpamento o liquidazione. Il 48% ha una laurea in medicina, gli altri provengono da varie carriere, ex avvocati, imprenditori, burocrati, persino ex deputati. Ce sono alcuni preparatissimi e versatili. Che hanno già guidato una fabbrica. Non sapevano cos’è un ospedale ma sapevano distinguere tra un pronto soccorso e una catena di montaggio. E altri messi lì solo per dire signorsì. Tutti hanno un contratto di diritto privato; guadagnano all’incirca 200 mila euro l’anno, (ma il 20% del reddito dipende dai risultati). Godono di vari benefit, tra cui autisti a disposizione e autoblu di cilindrata congrua al rango dei trasportati (c’è anche chi gira in Jaguard)... Possono presentare il curriculum anche mesi e mesi dopo l’insediamento. L’unico requisito richiesto è dimostrare di aver lavorato per 5 anni in una posizione dirigenziale. Guadagnano bene ma durano poco. Un rapporto Cergas Bocconi calcolò che il loro tempo di permanenza sulla poltrona è inferiore ai 4 anni. Media che in Calabria scende a 2. Un anno e mezzo fa “Il Sole 24 ore” provò ad assegnare ad ognuno una parrocchia politica di appartenenza. Il quotidiano economico appurò che il 54% dei Dg erano vicini al pd (28,6% ds, 25% Margherita), tutti gli altri al centrodestra, briciole ai cespugli. Ma soprattutto che i “puri”, cioè i tecnici, i ”bravi”erano mosche bianche: solo 3. L’assessore alla Sanità è il loro dio, l’azionista di riferimento. Li sceglie, li benedice, li nomina e al momento giusto li manda via. E’ l’unico che può verificare il grado di efficienza ma secondo parametri che spesso non hanno nulla a che vedere con il benessere degli assistiti. Al politico il manager piace così. Poco importa se le nomine scatenano appetiti i e battaglie. E’ appena il caso di ricordare lo scontro che Francesco Storace, ex governatore del Lazio ebbe con Alessandra Mussolini. Il casus belli fu la mancata nomina di Mauro Floriani, ex capitano della Finanza, marito della Mussolini a direttore generale della Asl dei Castelli Romani. Aveva molte ambizioni ma non la laurea. È in gioco la salute degli italiani e il diritto ad emergere di chi lo merita. In alcune regioni è stata reintrodotta una norma che consente agli ex parlamentari di candidarsi al ruolo di manager. Così che ora l’ex deputato leghista Cesare Ercoli può guidare una Asl in Lombardia. Dove tra i direttori generali (azienda ospedaliera di Lodi) si conta anche Gegé Rossi, apprezzato come medico e ancora di più se possibile come chitarrista dei Distretto 51, la Band varesina col ministro Bobo Maroni alle tastiere. La situazione varia da regione a regione. La Scuola Sant’Anna di Pisa, sull’esempio di quanto già avviene in Spagna, ha individuato 100 indicatori utili per un’eventuale “pagella”. Perché non utilizzarla? «Da tempo - spiega Giovanni Monchiero, presidente della Fiaso, Federazione che raccoglie il maggior numero di aziende sanitarie - noi chiediamo un registro nazionale con criteri uniformi». Monchiero può considerarsi un decano. Era un burocrate della Regione Piemonte. Ora è direttore generale della Asl di Cuneo. «La politica? Stiamo attenti quando diciamo che deve fare un passo indietro. L’autonomia è un valore importante ma lo è anche il rapporto fiduciario tra chi amministra e chi guida la sanità». E la lottizzazione dei primariati? «Può succedere ma nella stragrande maggioranza dei casi non è così. Ci sono regioni, come il Piemonte e l’Emilia, dove non si fa più un elenco degli idonei e la discrezionalità e molto vincolata. La commissione è formata dal direttore sanitario e da due primari, uno interno e l’altro esterno, sorteggiati in una rosa di nomi. Dunque, il metodo per accertare il merito ci sarebbe, basterebbe applicarlo. In quanto alla provenienza e agli studi, va detto che non sempre avere una laurea in medicina è importante. Una delle Asl considerate più efficienti è quella di Firenze. Il Dg è Luigi Marroni, ex direttore della Piaggio a Montedera». Il professore Emanuele Lezocche, preside del Collegio dei professori ordinari di chirurgia alla Sapienza, e stato più volte membro di commissione: «L’invadenza della politica nella gestione della sanità è sotto gli occhi di tutti, di questo passo tra 10 anni dovremmo importare i chirurghi dalla Cina o dall’India. La legge Bindi ha conferito ai direttori generali un potere assoluto e trasformato la sanità nella principale fonte di finanziamento dei partiti. L’unica verifica sull’operato dei dg la fa l’assessore».

 
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Inchiesta Messagero meritocrazia 2

Post n°12 pubblicato il 25 Agosto 2009 da pqr9

lunedì 25 maggio 2009Il Messaggero
Domenica 24 Maggio 2009
di CARLA MASSI
ROMA - Il contratto c’è, le norme che regolano il riconoscimento e la premiazione del merito ci sono ma, se si analizzano i risultati, la realtà è un’altra. Dai dirigenti, agli impiegati, ai medici fino agli infermieri i “premi” retributivi (la contrattazione integrativa) vanno a finire nelle tasche di tutti. E non solo in quelle di chi, come prevedono le incentivazioni, ha lavorato meglio e ha dato di più al servizio sanitario nazionale. E’ tutto documentato, nero su bianco, da un’indagine che l’Agenas (Agenzia nazionale per i servizi sanitari), su incarico del ministero del Welfare, ha appena concluso analizzando i dati di un campione di Asl disseminate da Nord a Sud. Venticinque in tutto, sulle 250 esistenti. L’obiettivo era quello di verificare in quale modo e secondo quali criteri le aziende sanitarie hanno deciso di attribuire i fondi a disposizione per l’incentivazione. Ci si aspettava di scoprire documenti della Asl in grado di regalare una mappa, seppur secretata, della produttività divisa settore per settore, se non addirittura dipendente per dipendente. Una geografia della meritocrazia in sanità, insomma. E, invece, i ricercatori hanno dovuto fare i conti con una situazione molto, ma molto diverse. Troppo uguale a quella che è sempre stata: premi per tutti, a chi ha fatto di più e a chi ha fatto di meno. Un generale livellamento nell’incentivazione economica, un aumento di stipendio senza alcuna distinzione. Stesso discorso, come si legge su “Monitor”, organo dell’Agenas, per i “voti” che le aziende danno ai dirigenti. Tutti bravi, tutti con la promozione in tasca. «L’accordo nazionale stabilisce i paletti - spiega Fulvio Moirano che dirige l’Agenas - e le strade che le Asl dovrebbero seguire per gli accordi integrativi ma, quando si arriva alle intese aziendali, la contrattazione, generalmente, si indebolisce. Abbiamo riscontrato, di fatto, una difficoltà diffusa a perseguire la pura meritocrazia. Tanto che, come si legge nel nostro lavoro, queste voci variabili diventano, nella realtà, parti fisse dello stipendio. Le organizzazioni sindacali hanno privilegiato, naturalmente con le aziende quasi sempre consenzienti, le progressioni orizzontali pari al numero dei dipendenti del comparto. Rendendo, nei fatti, inutile la valutazione del personale prevista obbligatoriamente dalle disposizioni contrattuali». Come dire che, nella stragrande maggioranza delle Asl (vuol dire corsie degli ospedali, ambulatori, consultori, centri per la diagnostica) per la distribuzione dei fondi integrativi, è stato usato soprattutto il criterio dell’anzianità di servizio. Con la conseguenza «che lo stipendio - aggiunge Moirano - legato alla progressione orizzontale o è stato assegnato a pioggia a tutti oppure, se il fondo non era sufficiente per tutti i dipendenti, si è utilizzato il criterio degli anni di servizio». La ricerca, trasversalmente, illumina realtà e abitudini che sfiorano il profondo Nord come il Sud: a leggere i numeri si scopre che la dirigenza delle Asl, molto probabilmente per assicurarsi una pace sociale-sindacale, sceglie spesso di assegnare gli stessi importi per la categoria e per il livello. Snaturando, nel lavoro quotidiano come nell’organizzazione dei vari settori, la contrattazione integrativa. Il suo principio base, infatti, vuole premiare il differente contributo, del singolo o del gruppo, alla produttività. Stiamo parlando di cifre che, al lordo per ogni dipendente, si aggirano sui 6 mila euro annui per il personale e circa ventimila per i dirigenti. Questo vuol dire che nelle Asl è impossibile trovare documentazione che dimostri perché quel dirigente ha avuto quell’aumento, perché quel medico non l’ha avuto, perché quell’équipe ha potuto contare su un “premio” mentre l’altra sa, perché informata, di non poter sperare in nessun aumento di stipendio. «Le aziende - commenta ancora Moirano - e lo dico sulla base della mia esperienza personale di Direttore generale di una Asl anche ospedaliera in Piemonte - possono far valere nella contrattazione i propri orientamenti per premiare quelle strutture che più corrispondono alle priorità della politica aziendale. Con flessibilità è possibile arrivare a definire una valutazione meritocratica sia per il personale dirigente che per il personale di comparto». Non basta: nel 50-80% dei casi il “premio” viene dato in anticipo rispetto al periodo che dovrebbe essere preso in esame e valutato. Tutto questo, a volte, potrebbe essere dietro alcune disfunzioni in corsia? Alcuni ritardi o distrazioni? Non si esclude che il “livellamento” possa portare ad un generale rallentamento dell’attenzione. D’altronde, sono gli stessi sindacati a ribattere, se non si garantisce un turn over del personale, se si appesantiscono i turni e se i “buchi” vengono tamponati da contratti di co.co.co come è possibile premiare davvero e su lungo termine il merito? Certo è che, quello della Sanità, è il settore del pubblico impiego più frammentato. Le qualifiche arrivano a 134, un numero che non ha uguali. Come differenziarle e premiarle?

 
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medici valutati

Post n°11 pubblicato il 25 Agosto 2009 da pqr9

In un recente convegno dell' associazione Luca Coscioni dal titolo «Sanità: più informazione e più trasparenza per i cittadini», è stato proposto di introdurre un sistema pubblico di valutazione del servizio sanitario nazionale e la creazione di un sito dove i pazienti dei medici di medicina generale possano esprimere il grado di soddisfazione sul loro dottore, commentando con le faccine degli emoticon aspetti come puntualità, organizzazione, disponibilità
Manfellotto Dario
Pagina 41(24 maggio 2009) - Corriere della Sera

http://archiviostorico.corriere.it/2009/maggio/24/medici_valutati_con_faccine__co_9_090524115.shtml

 
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Competenze DG ASL? Fare politica

Post n°10 pubblicato il 25 Agosto 2009 da pqr9

IL MESSAGGERO Lunedì 01 Giugno 2009
Chiudi
di CLAUDIO MARINCOLAROMA - Forse saprebbero tenere un comizio o anche gestire la campagna di tesseramento di un partito. Ma li hanno chiamati a guidare una Asl, e loro, ben contenti, hanno risposto : obbedisco. Ex amministratori in disarmo, ex onorevoli, professionisti della politica pronti a indossare i panni del manager per gestire primari, infermieri e posti-letto.Nel Sud sono quasi uno su due (il 44%), percentuale che scende nelle regioni del Centro e del Nord e si attesta intorno alla media del 16%. Vantano esperienze in campo economico, sociale e giudiziario ma soprattutto politico. Solo il 33,3% - secondo una ricerca curata dalla Fondazione Censis in collaborazione con Cergas Bocconi - può contare su un background medico-sanitario.Spesso si scambiano i posti. Dg che diventano direttori amministrativi, direttori sanitari che diventano Dg, un valzer tra enti, istituti pubblici e aziende ospedaliere. L’importante è rimanere nel giro, ognuno nella sua quota vitale.Sovranità limitata. Si occupano di aziende che in media contano tra 1500 e 2500 medici e tra 500 e 1000 unità di personale non sanitario. Ammettono senza riserve di avere «un’autonomia operativa vincolata». Sono consapevoli di essere manager «a sovranità limitata», «condizionati da pressioni e da vincoli esterni di natura politica». Il 63% degli intervistati definisce i rapporti «con i sovraordinati della sfera politica molto (9,6%) o abbastanza intensi (53%)».Ed ecco il paradosso: sentirsi ingabbiati, prigionieri dello stesso sistema che li ha scelti. I Dg hanno l’ultima parola sulle promozioni dei primari. In una rosa molto ristretta di medici decidono chi merita di diventare direttore di un’unità operativa complessa. Sanno però che il loro è un incarico ad orologeria. Non assecondare il politico di turno potrebbe essere fatale. Ed ecco che quando il sistema, lo stesso che li ha cooptati, li espelle, s’aggrappano alla poltrona, se possono anche ricorrendo al Tar.L’accanimento. Ci sono storie di straordinaria tenacia e accanimento. Come quella capitata in questi giorni alla Asl Rmc, azienda già attraversata dallo scandalo di Lady Asl, 82 milioni sottratti alla collettività e alle casse già disastrate della Regione Lazio. La vicenda potrebbe passare inosservata se non fosse che rappresenta un caso simbolico. Elisabetta Paccapelo, 54 anni, anconetana, un marito direttore amministrativo al Policlinico Tor Vergata, il 26 maggio scorso a tarda sera s’è fatta consegnare le chiavi del suo ufficio dal vigilante e il giorno dopo si è presentata regolarmente al lavoro. Una sentenza del Tribunale regionale del Lazio, ampiamente motivata, l’ha reintegrata nelle funzioni di direttore generale della Asl RmC.La manager, da sempre in buoni rapporti con l’ex ministro socialista Piazza, era stata messa da parte nel luglio del 2008. Nella sua Asl era scattata un’inchiesta sull’appalto del sistema informatico. Una gara da 21 milioni di euro. Agli arresti, operati dai carabinieri dei Nas, questa volta era finita Annamaria Robustellini, assunta su chiamata diretta - 9000 euro al mese - proprio dalla Paccapelo nel luglio del 2006, nonostante la neoassunta fosse incorsa in una vicenda più o meno simile, sulla quale indaga la Procura di Tivoli.Stipendio doppio. La Paccapelo è stata ascoltata dai giudici come persona informata dei fatti. Ma non essendo formalmente inquisita ha intrapreso tutte le vie legali per tornare al suo posto. E la Regione? Ha incassato il primo grado di giudizio senza battere ciglio. Il Tar ha bocciato le delibere di commissariamento della Asl e di nomina del commissario: che fine faranno ora tutti gli atti firmati da Bruno Pastore, ex prefetto, chiamato prima come commissario e poi come “soggetto attuatore” a fare le veci della Paccapelo?In termini di trasparenza la AslRmC presentava alcune lacune: nessun regolamento di contabilità; fatture risalenti ad anni passati non rintracciabili, come dire che se fossero state pagate 2 volte non se ne sarebbe accorto nessuno. Reparti chiusi (Chirurgia generale al Sant’Eugenio) con ricche buonuscite al primario pre-pensionato. Salvo autorizzare, dopo qualche mese, 70 letti di chirurgia in altre strutture convenzionate. E che fine faranno i 5 primari freschi di nomina? E ancora: chi risarcirà lo stipendio pagato per un anno a 2 funzionari per lo stesso incarico?I “senza concorso”. «L’assurdità di questa situazione - chiosa incredulo Paolo Marotta, segretario regionale dello Smi - è che in questo carrozzone a ruotare sono sempre gli stessi. Questo mentre i nostri concorsi sono bloccati da 5 anni. Lo Stato forma soggetti che poi finiscono nel privato e allarga a dismisura il precariato. E le aziende dal 2001 possono appaltare all’esterno servizi per l’emergenza utilizzando medici che non hanno una specifica formazione».Proposta di legge. L’operato dei Dg - in teoria - sarebbe soggetto a verifiche. Marrazzo, per continuare sull’ esempio laziale, la regione che ha la più alta spesa farmaceutica d’Italia - ne aveva fatto un punto del suo programma. Si era impegnato sin dall’inizio a costituire una commissione ad hoc per la valutazione. La giunta laziale il 13 marzo scorso ha deliberato una proposta di legge. Prevede una nuova commissione, detta le modalità in materia di spoils system. I manager intanto continuano intanto a vivere in un limbo. Marrazzo li scelse nel 2005 e sono ancora al loro posto. Un record. Le verifiche slittano di mese in mese e di giorno in giorno, tanto che ormai, con l’avvicinarsi delle elezioni, c’è chi è convinto che non se ne farà niente.Rapporto di fiducia. Tra Dg e governatori c’è un rapporto di fiducia. Con questo motivazione appena eletto Marrazzo dimissionò i dg nominati dal suo predecessore Storace. I quali, anziché andarsene a casa, puntarono i piedi e impugnarono il provvedimento. Il risultato furono le sentenze n° 103 e 104 del 2007 della Corte costituzionale: lo spoils system, si diceva in sostanza, non è applicabile alla dirigenza professionale.Se si esclude la Roma H, commissariata dopo il caso-Tosinvest, e quella di Latina, dove la sostituzione di Ernesto Petti, è avvenuta per raggiunti limiti d’età, sono ancora tutti lì. La dottoressa Ilde Coiro però è l’unica ad aver reso pubblico il suo curriculum sul sito della Asl di Latina. Ventidue 22 associazioni di consumatori hanno scritto a Marrazzo per chiedere criteri trasparenti. Ma questo è un altro discorso. Politici insistenti. «Dobbiamo fare riferimento a un sistema che è molto cambiato - sostiene Enrico Bollero, da 8 anni, direttore generale del Policlinico di Tor Vergata -; In quanto alle intrusioni della politica, ci sarà qualche caso, non lo nego, ma non generalizziamo». E la scelta dei primari? «Abbiamo tutti gli strumenti e le informazioni per misurare l’efficienza e le capacità di un dirigente medico. Piuttosto mi sembrerebbe importante immettere nei corsi di laurea elementi ci economia gestionale». La politica ha il sopravvento anche sul nepotismo, l’altro nemico della meritocrazia. Bollero: «Chi ha un certo cognome non può essere considerato un cittadino di serie B e ha gli stessi diritti di tutti gli altri», taglia corto. Le pressioni politiche rischiano di trasformare gli ospedali e le Asl in comitati elettorali. «Le pressioni ci sono, più è debole il Dg, più le pressioni sono forti. Se c’è rispetto del nostro ruolo, il ruolo di chi deve fare solo il bene dell’azienda, il politico non deve insistere. Ma qualcuno purtroppo insiste».

 
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Se la sinistra è partitocratica (in medicina occupa altro se occupa)

Post n°9 pubblicato il 25 Agosto 2009 da pqr9

Se lo diceva lui . . . . .

 
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Cardarelli il bavaglio ai medici

Post n°8 pubblicato il 25 Agosto 2009 da pqr9

da repubblica

ma sara' veramente cambiato qualcosa (mail vecchia del 2004)
Secondo me la situazione e' peggiorata dappertutto ma soprattutto dove governa la sinistra. Sono piu' saccenti e sicuri. Loro governano anome del popola ma c'e' il delitto di lesa maesta'

 
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