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« Messaggio #8Se io fossi San Gennaro »

L'incredibile Cappella di San Severo.

Post n°9 pubblicato il 12 Ottobre 2008 da napoli.cult
 

Andiamo ad aprire una finestra su uno dei luoghi contemporaneamente, più affascinanti e più misteriosi di Napoli. Un luogo che non trova eguali per l'alta concentrazione di opere d'arte in uno spazio, tutto sommato, non molto ampio, dove si respira ancora la stessa atmosfera, si vive la stessa emozione che viveva il visitatore dei secoli passati. Ma, soprattutto, si sente un brivido correre lungo la schiena soffermandosi ad ammirare le sculture, gli affreschi, le lapidi e quant'altro è conservato in queste sale avvolte dalla metafisica e dal mistero. Venite con me in questo viaggio affascinante e sono sicuro che Napoli e i suoi tesori vi inebrieranno a tal punto da non poter fare a meno di andarli a visitare.

L'interno della Cappella

Devo però anche collegarmi a qualche anno fa, beh sì, forse più di qualche anno fa, quando ero ragazzino per la precisione, ma non è il caso di essere così meticolosi sull'età.

Infatti, avevo poco più di tredici anni quando, per la prima volta, insieme al mio precettore privato, mio padre, che nutriva un grande amore per Napoli, visitai la Cappella di San Severo. Ricordo che ne avevo sentito parlare a scuola come di un luogo permeato di un'atmosfera misteriosa; si discusse di quello che ne fu il proprietario, il principe di San Severo, le sue strane passioni, le sue vicissitudini con il Vaticano, i suoi esperimenti. Si era parlato anche di alcune opere conservate presso la cappella che trasmettevano all'ignaro visitatore una strana sensazione di inquietitudine.

La Cappella di San Severo è un autentico capolavoro di arte ermetica entrata nella storia grazie proprio alle ossessioni da cui, probabilmente, era turbato il suo proprietario Raimondo di Sangro, appunto, il principe di San Severo. Per raggiungerla bisogna addentrarsi nel dedalo dei vicoli del centro antico di Napoli, quel meraviglioso incrocio di antichi decumani e cardines che propongono, ogni cento passi, una chiesa dalle meravigliose fattezze, un obelisco, un monumento, un palazzo storico e tutto ciò fra cornetti giganteschi e prelibati babà, negozi di porcellane di Capodimonte, pastori per presepi, sfogliatelle, le immancabili pizze "a portafoglio" e l'odore onnipresente di caffè che accompagna lungo tutti i tragitti.

All'altezza di Piazza San Domenico Maggiore, di fronte all'obelisco che ricorda le migliaia di bambini napoletani morti durante le ricorrenti pestilenze, c'è il palazzo del principe di Sangro. Svoltato l'angolo ci troviamo a faccia a faccia con la Cappella di San Severo. Non potevo immaginare la straordinarietà dello spettacolo che stavo per ammirare. Come già dicevo prima, la chiesetta non è molto grande e quando si entra non ci si rende tanto conto di quanto ci sta per proporre.

Palazzo di Sangro a Napoli

Poi, dopo la titubanza iniziale dovuta ad uno sguardo fin troppo riassuntivo che inizialmente sei costretto a gettare nella cappella, ecco che inizi a concentrarti sui tanti capolavori che si susseguono intorno, senza pausa.

Viene spontaneo guadagnare il centro della sala per ammirare quella che possiamo definire una delle opere scultoree più incredibili che mai si sia avuto l'opportunità di ammirare: il Cristo Velato.

Alcune immagini del Cristo Velato

Il napoletano Giuseppe Sammartino (1720 - 1793) ne è l'autore. La tecnica è ancora avvolta da un mistero profondo. Gli occhi, il naso, la bocca, i muscoli delle braccia del Cristo morente, regalano una prospettiva perfettamente in linea con una visione reale di un uomo, egualmente sofferente, ricoperto da un velo. Il velo di marmo della scultura fa corpo unico con la statua e con il giaciglio sul quale riposa, anch'esso scolpito. La sensazione che la statua sia stata successivamente ricoperta dal velo, è forte, come forte è l'emozione che ti spinge a soffermarti ad ammirare le fattezze di una scultura che si offre al pubblico in modo tale da poterle girare intorno a scrutare le pieghe del cuscino, il capo declinato, le espressioni del volto, le costole, le curvature del giaciglio dovute al peso del corpo e il velo, ancora quel velo che ti lascia attonito, frastornato, senza un barlume di spiegazione logica. E scorrono i primi brividi.

Non fate in tempo a riprendervi dal Cristo Velato che, alzando lo sguardo questo va a cadere sulla statua del Disinganno, opera del genovese Francesco Queirolo (1704 - 1766).

Il Disinganno

L'opera mostra un uomo, il padre del principe di San Severo, che è intrappolato in una rete e cerca di divincolarsi per liberarsene. La rete circonda la statua già scolpita ma è parte integrante di essa. In pratica la stessa sensazione di incredulità già provata con la visione del vicino Cristo Velato. E giù un altro brivido.

Di fronte al Disinganno troviamo la statua della Pudicizia, di Antonio Corradini (1668 - 1752). Questa rappresenta la madre del principe nelle fattezze di una giunonica donna nuda, ricoperta del solito formidabile velo, manco a dirlo, di marmo, che ne fa intravedere in ogni dettaglio tutte le sembianze.

La Pudicizia

Ancora oggi, la risposta a come hanno potuto fare questi scultori a ricoprire con reti e veli di marmo i loro lavori, non esiste. Ci sono delle ipotesi, ovviamente. C'è chi ipotizza un processo in cui la statua posta in una vasca, veniva ricoperta di un velo, o da una rete, bagnati; su questi veniva versato latte di calce diluito e su questo spruzzato ossido di carbonio. Finora, però, nessuno ha dimostrato con i fatti questa teoria. Ma le meraviglie non sono finite.

Nella cappella vi è la lapide tombale del principe. Si tratta di una grande lastra con una scritta latina. La peculiarità sta nel fatto che la scritta è tutta in rilievo! Qui il brivido lungo la schiena è veramente intenso. La lapide è semplicemente perfetta, le lettere della scritta sembrano essere state ricavate dallo scalpello come se questo avesse scavato "intorno" ad esse. Veramente un lavoro senza eguali. Il meglio però, deve ancora venire.

Se si è troppo impressionabili forse è meglio non scendere nella cripta della cappella. Dopo una scala a chiocciola ci si ritrova in una stanza cioè quella che una volta era il laboratorio segreto del principe.

Uno dei due scheletri della cripta

Qui, in due teche di vetro di circa due metri di altezza ognuna, sono conservate le due "macchine anatomiche". Si tratta di due scheletri. Quello della donna presenta il braccio destro alzato e gli occhi ancora pervasi dal terrore. Le ossa sono circondate da una fittissima ragnatela di arterie e vasi sanguigni che, metallizzandosi, ha preservato gli organi interni. Il cuore è intero. La donna era incinta e nel suo ventre si può notare la placenta aperta e l'intestino ombelicale che va a congiungersi col feto. Anche il bambino si mostra nella sua completezza.

L'uomo ha le stesse caratteristiche ma con entrambe le braccia che gli scendono lungo il corpo. Alla luce delle attuali conoscenze si potrebbe dire che, il diabolico principe abbia iniettato nelle vene delle due malcapitate cavie una sostanza che, entrata in circolo, abbia bloccato la rete sanguigna fino alla morte dei due soggetti. Poi avrà aspettato che la pelle e la carne si decomponessero al fine di ottenere quelle che lui amava definire, facendosene un vanto, "macchine anatomiche".

Vi è da aggiungere ai misteri che avvolgono questa cappella e il suo ospite, il piccolo dettaglio che, nel 1700, la siringa ipodermica non era stata ancora inventata ed è per questo motivo che molti sostengono che quell'uomo e quella donna sono soltanto povere ossa ricoperte di una rete artificiale di vasi sanguigni.

Dopo la visita alla cripta si esce di nuovo fuori tramite un'altra rampa laterale. Uscito nella strada, la prima volta, per qualche minuto mi sembrò di non essere più me stesso. Avevo assistito a troppe cose insieme, in poco tempo e tutte molto strane o quanto meno di non facile spiegazione. Il chiasso della gente, i rumori della città, finanche il profumo del caffè del bar lì vicino, sembravano stonare con l'arte nobilissima ma anche magica, metafisica, a tratti sconcertante contenuta in quei pochi metri quadrati della cappella.

Ancora Spaccanapoli teatro dei nostri racconti

Ripercorsi con la mente di nuovo l'emozione del Cristo Velato e capii poi col tempo perché Antonio Canova tentò disperatamente di portarselo a Venezia, fortunatamente senza riuscirvi. La Pudicizia, il Disinganno, quella incredibile cascata di marmo sull'altar maggiore, la lapide con le scritte in rilievo, i putti con le torce all'ingiù, il meraviglioso soffitto affrescato e la cripta, quella piccola stanzetta che se potesse parlarci ci regalerebbe la risoluzione di qualche enigma e ci racconterebbe altri agghiaccianti episodi della vita a Napoli di quell'infernale personaggio che risponde al nome di Raimondo di Sangro Principe di San Severo.

 
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