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Post n°1038 pubblicato il 19 Novembre 2014 da pantarei_2005

scrivere

 

Cosa può essere il tempo sottratto alla vita per scrivere. Per emozionare come talvolta sento dire.
Io non lo so.

So che è uno spazio in cui mi isolo come un appestato che vorrebbe essere circondato dall’altro ma vi rifugge per non contagiarlo, si stacca dal mondo per amore.

Io mi sottraggo ad ogni cosa, ad ogni persona, persino all’amore che vuole la sua cura. E’ lo scomparire dalla vita eppure restarne la parte più viva.
La sola possibile, invisibile ma reale.

E’ quel vivere oltre la vita, che miha circondato nelle mie quattro mura, che mi ha reso prigioniero d’una realtà che giorno dopo giorno si è costruita e che avida chissà di cosa, vorrebbe spegnermi dentro la sua monotonia.

Già io non scrivo per voi, per esibirvi chissà quale speciale talento.
No, scrivo per me, per la sola persona a cui non importa, della più o meno provata bravura, e proprio per questo di sentirsi esclusivi .
Scrivo per me così che io viva.
E se sapeste come può essere  speciale l’isolato tempo dello scrivere, scrivereste anche voi.
Forse dominereste l’inquietudine che ci rende scontenti; che come fosse tutta lì la vita si lamenta del caldo, del freddo, della propria sorte e usa la parola per sparlare, e tutti si fanno giudici e tutto è giudicato.

No, lo scrivere per se stessi è un viale sconfinato, dove le parole rotolano solitarie, ma compagne d’un pensiero.
E si fanno allegre oppure tristi, o solamente esprimono o rievocano ciò che è andato o si vorrebbe avere.
Le parole si adagiano sul foglio, protagoniste del loro palcoscenico e se indossassero una maschera saprebbero essere l’ombra della gente,così strana a volte da non sapersi riconoscere nel riflesso d’un mattino.

Non vi è un momento definito o migliore allo scrivere.
Tutto nasce da solo e in un nulla il racconto rapisce: può essere il cuore della notte, il primo momento del giorno, o proprio quello in cui la fase del vivere è circondata da cose da fare.
Arriva. E tutto diventa secondario, non si ascolta più la vita e si affonda se stessi piegati ad un tavolo,sulle proprie gambe, così da essere più vicini col corpo, col torace, con il proprio battito che si fa sensazione.

Ti ascolti.
Senti come può pulsare l’interiorità d’una esistenza rivolta a se stessa, pur se vive i suoi affanni.
Senti come è speciale la vita, lo scandire delle lancette dei minuti che comunque volano via.
Il respiro è lieve,lo sguardo mirato al preciso istante si fa lontano come a perdersi in uno spazio, a precipitare in quel buco nero delle nostre meraviglie, che portano chissà dove.

Nulla è scontatose lo scrivere è veritiero.
Veritiero sino a palesare i cantucci di una nostalgia, seppure per far piacere un racconto dovresti saper nascondere e confondere il mesto rimuginare d’un pensiero dentro la sonorità d’una risata.
Tu lo sai che la gente vuol ridere, non gradisce il semplice sorriso della mente.
Esser veri è il rischio che le tue parole allontanino il desiderio di riconoscerle nel vuoto in cui ognuno vorrebbe smarrire le tristezze che s’accompagnano nel cammino del pensiero.


Se solo potessimo osservarci,stando fermi davanti al nostro corpo, che estasiato dal suo scrivere viaggia estraneo persino a se stesso, chissà quanto e come sapremmo liberare il nostro quotidiano da inutili e sprecate parole.

Ed è questo che io faccio per voi.
Lascio che il mio animo sprofondi per arrivare e costruirvi una pur minima sensazione, che vi catturi e vi dia il reale di me che mai riuscirei a porgervi.
Così fa l’attore o il pittore, ed ognuno che nell’arte affonda se stesso.
Lo fa nel rischio che sia vano o incompreso. Lo fa perché l’essersi isolato trovi il conforto di essere avvicinato.
E così lo scrivere come il manifestare si preoccupa di farsi conoscere e si espone all’altrui parere, piùche per essere apprezzato, per vivere la sua gioia.
Deserto del suo costruire in ciò che desta, così che la solitudine dell’arte  sia la folla dentro cui l’intimità vince ogni affanno.   

 
 
 
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