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Post n°107 pubblicato il 13 Giugno 2014 da pasquale.zolla
Sant’Antonio di Padova Antonio (Lisbona, 15 agosto 1195/Padova, 13 giugno 1231) era il primogenito di una nobile famiglia: sua madre si chiamava Maria Teresa Taveira e suo padre Martino Alfonso de’ Buglioni, cavaliere del re e discendente di Goffredo di Buglione. Fu, all’età di quindici anni, un monaco agostiniano a Coimbra (1210); poi dal 1220 frate francescano. Viaggiò molto, vivendo prima in Portogallo, suo paese d’origine, e poi in Italia e in Francia. Nel 1221 si recò al Capitolo Generale ad Assisi, dove incontrò San Francesco. Dotato di grande umiltà, ma anche di grande sapienza e cultura, per le sue valenti doti di predicatore, mostrate per la prima volta a Forlì nel 1222, fu incaricato all’insegnamento della teologia e inviato, dallo stesso San Francesco, a contrastare la diffusione dell’eresia catara in Francia. Fu, poi, trasferito a Bologna e quindi a Padova. Morì all’età di 36 anni. Di lui si narrano grandi prodigi miracolosi, sin dal giorno della sua morte e finanche ai nostri giorni. Gli eventi prodigiosi furono di tale intensità e natura che facilitarono la sua rapida canonizzazione. Papa Gregorio IX, in considerazione della mole di miracoli attribuitagli, lo canonizzò dopo solo un anno dalla morte (1232). Pio XII nel 1946 ha innalzato Sant’Antonio tra i dottori della Chiesa Cattolica, in quanto nei suoi scritti e nelle prediche era solito sostenere le sue affermazioni con citazioni del Vangelo. Gli fu dedicata la Basilica di Padova e la sua festa cade il 13 giugno, giorno della sua morte terrena e della sua nascita in cielo. Fin dal giorno dei funerali la tomba di Antonio divenne meta di pellegrinaggi da tutto il mondo. Devoti di ogni condizione sociale ancora oggi sfilano davanti alla sua tomba toccando il sarcofago e chiedendo miracoli, grazie e guarigioni. A Lucera si festeggia presso la Chiesa della Pietà, oggi Parrocchia San Pio X. U kandóre d’a paróle de Ddìje U ppògge d’u pòpele ne ngerkave, né ‘a grazzje d’i rikk’è dd’èss’u prime, né u nutele vattemanè‘a gròrje de l’ummene; mòstre ne nfacive d’a duttrina tuje è nne mmenave vande de vennetóre de rubbètte, ma ke ndellitte d’ammór’allustrave kuèlla devine saggèzze k’avive attenggiute d’a kundinue letture d’i Sakre Skretture. Jendile ke tutte, è tatuccille tuje mberjòr’i pite lavave kume Kriste facìje è ‘pustule suje. De tè u Seggnóre fatte have u apòstele d’u dì: sóp’a vòkka tuje ghèsse tenéve ‘na tale mburtanze ka sciusscetave ‘na granna maravigghje nda tuttekuille kè a ssènde te stèvene. Nzòmme sì stat’è ssì angóre mò kum’a langele d’ò cile asscennute pe ffà rutulà ‘a préte d’u sebbuleke pe mustrà ‘a vìje d’a grazzje d’u Spirde Sande ka grusse rènne ‘a nòstra fraggeletà, ammutvedissce òggnè kkòpp’è rrènne dóce òggnè asprèzze ke l’ammóre. Il cantore della parola divina Il favore del popolo non cercavi, né la grazia dei ricchi e dei primati, né il vano plauso e la gloria degli uomini; non facevi mostra della tua dottrina e non menavi vanto di venditore di robetta, ma illustravi con intelletto d’amore quella divina sapienza che avevi attinto dall’assidua lettura delle Sacre Scritture. Cortese con tutti, ai fratelli tuoi inferiori i piedi lavavi come fece Cristo ai suoi apostoli. Di te il Signore ha fatto l’apostolo della parola: sulla tua bocca essa aveva una tale efficacia che suscitava una grande meraviglia in tutti coloro che ti ascoltavano. Insomma sei stato e se ancora adesso come l’angelo sceso dal cielo per far rotolare la pietra del sepolcro per mostrare la via della grazia dello Spirito Santo che irrobustisce la nostra fragilità, ammorbidisce ogni asperità e rende dolce ogni amarezza con l’amore. |
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