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"Solo la penombra permette di ammirare la beltà..." J.Tanizaki

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Angela Fabbri

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« IL SESSO INUTILEGEMMA »

NESSUNO SI SALVA DA SOLO

Post n°126 pubblicato il 29 Giugno 2021 da angi137
 

 

A volte non sono sicura di chi sono io. Di quale "me" è quella giusta, quella vera. Se poi ce n'è davvero una vera. A volte mi pare che la mia immagine sia più reale di me. Sicuramente è durata più a lungo.

Ah, io sono Bice. Cioè, il mio nome sarebbe Beatrice, ma tutti mi chiamano Bice... tranne lui.

Non vi lasciate trarre in inganno dalle date, quattordici anni erano più che abbastanza per sposarsi, e morire a venticinque di parto non era affatto strano. Il parto era la guerra delle donne. Un'impresa da cui non sapevi se tornavi viva. Capitava, ti andava male, eri sfortunata. A volte riuscivano a salvare il bambino, altre si limitavano a battezzarlo, così almeno sarebbe andato in Paradiso. Tuo marito si risposava con un'altra donna giovane, sperando che gli andasse meglio, e faceva dire messe per la tua anima. E fine della storia.

Erano tempi bui? Forse. Ma la fame che avevamo di vita non la puoi immaginare. E la fame di amore. Quella cosa nuova e antica, che aveva mille diversi nomi, ci entrava dentro e ci rendeva insaziabili.

C'erano questi giovanotti di Firenze che pretendevano di cantare d'amore in uno stile nuovo. Lo stile forse era nuovo, ma le storie d'amore, quelle, non cambiavano mai. C'era chi giurava di morire d'amore, ma faceva presto a resuscitare, c'era chi si vantava di quante ne aveva avute (contadine, per carità, servette, pastorelle, mica donne per bene) e c'era chi faceva la classifica delle più belle. Sì una cosa del genere l'aveva fatta anche lui, Dante, cioè Messer Durante di Alighiero degli Alighieri. Non mi ricordo in che punto della classifica mi aveva messa. Gli piaceva parlar fino, a Dante e ai suoi amici, chissà, forse si immaginavano di essere quei francesi trovatori che per primi avevano inventato il gioco dell'amore. Ma anche noi avevamo i nostri giochi, le nostre preferenze. Quando si andava a messa loro ci guardavano, ma anche noi guardavamo loro e a volte ci scappava da ridere così forte che cominciavamo a tossire per non farci scoprire. E però è colpa sua, di Dante dico, se io sono ancora qui a raccontare la mia storia... ma quale storia poi?

Ho sposato Mone, che poi sarebbe Simone De' Bardi, perché ci hanno fatti sposare. Perché così usava. Anche Dante aveva sposato la Gemma, si erano fidanzati da bambini. Insomma, non era poi così brutto come pensate adesso. Si cercava di andare d'accordo, alla fine ci si voleva bene. I mariti maneschi non mancavano neanche allora, ma non erano poi così tanti. Se penso che Dante ne ha messi un bel po' all'Inferno mi viene abbastanza da sorridere. Perché era un uomo gentile, Dante. Uno di quelli con la lingua pronta, che quando parli di politica taglia e cuce, uno di quelli che ci godeva a mettere in ridicolo i suoi avversari, che non accettava compromessi, ma in fondo un uomo gentile, che non parlava male delle donne, neanche fra i suoi amici. Mi ha messa in Paradiso, no? Mi ha messa in Paradiso tutta vestita di verde-bianco-rosso che sembro proprio la vostra bandiera (no, allora non c'era la bandiera... non c'era nemmeno l'Italia se è per questo, o meglio, c'era, ma era una specie di bordello... scusate la parola, non la dico io, la dice lui). Ha detto che l'ho salvato io. Forse è vero. Chi lo sa. Forse è bastato un sorriso, un saluto, uno sguardo per salvarlo. Ce ne dovremmo ricordare di più che a volte basta poco per salvare qualcuno.

Sì, mi piaceva Messer Durante, e un po' mi lusingavano tutte quelle poesie che mi dedicava, ma poi  la vita era un'altra. Era stare su alla mattina e accendere il fuoco, era fare il pane e mettersi al telaio, badare ai bambini, sorvegliare le fantesche, fare i conti della spesa...  una vita che era così comune, era così preziosa. Lo so adesso che sono in Paradiso, che tutti mi conoscono come "la donna di Dante", che mi studiano a scuola, lo so che era preziosa quella vita piccola e non diversa da tante altre. Lui invece, il Sommo Poeta (credo che gli faccia piacere essere chiamato così) ha avuto una vita infelice, lontano dalla sua Firenze, a magiare il pane altrui che sa di sale. Ci avete mai pensato? A Firenze non mettiamo il sale nel pane, è un pane "sciocco" (ma così buono con il nostro prosciutto saporito). Invece Dante era costretto a mangiare pane salato alle tavole degli altri, salato come le lacrime. Però non si è mai dimenticato di me. Mi amava davvero? Non lo so. Era un amore adolescente, una cotta da ragazzini, poi forse era innamorato dell'amore, dell'idea di amare una donna che mai più avrebbe potuto raggiungere, e forse alla fine io sono diventata quella che sono ora, solo una scia dell'amore di Dio. Ah Dante, e tu cosa sei? Sotto quell'espressione arcigna e i paludamenti severi che tutti i ragazzini studiano a scuola, magari odiandoti per questo, cosa sei davvero?

Che domanda sciocca, nessuno è "davvero" una cosa sola. La Bice che camminava per le strade di Firenze e la Beatrice immortale dei tuoi versi, tutte e due sono vere. Ma di te mi piace ricordare il ragazzino che arrossiva e non osava guardarmi negli occhi. Perché alla fine conta solo quello, no? Quanto hai amato. Non importa chi: una donna, una città, Dio... dovrà restare pure qualcosa di tutto questo disfarci in polvere. Qualcosa che muove il sole e l'altre stelle. Che a pensarci bene, noi siamo fatti della stessa materia delle stelle. Quindi vai Dante, vai a vedere il tuo Paradiso. Te lo sei meritato, alla fine. Io ti aspetto qui.

 

* Nella foto "Beatrix" di Lena Papadaki

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