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Messaggi del 02/02/2015

 

QUANDO IL CAPO DIVENTA IL PEGGIORE DEI TUOI INCUBI...

Post n°8168 pubblicato il 02 Febbraio 2015 da psicologiaforense

Un tappo sull'entu­siasmo, un muro che frena l'ener­gia creativa, una nuvola nera sulla giornata e un ca­talizzatore di fru­strazione. Gli americani la chiamano "BAD BOSS BLUES" è quella sensazione d'angoscia che affligge chi lavora con un boss "difficile". In ITALIA ne soffrono 4 dipendendenti su 10...



UN DATORE  DI LAVORO NOIOSO, SECCANTE, IMPORTUNO, DANNOSO, FASTIDIOSO, DANNATAMENTE INSOPPORTABILE…

Il CATTIVO CAPO È IL CUORE DELL'EMERGENZA CHE SI REGISTRA SEMPRE PIÙ NEGLI UFFICI ITALIANI: quella dello stress che, secondo l'ultimo studio del Censis, colpisce il 41 per cento dei nostri occupati. Il mal di scrivania striscia in ogni tipo di azienda pubblica e privata. E la causa principale è che i tradizionali modelli di leadership sono ormai inadeguati alla crisi globale che ci avvolge e alla nuova sensibilità, assertivà e di­namica delle donne e degli uomini che ancora lavorano. Il capo, spesso è irrispettoso, a volte ma­nipola, altre mente per coprire le proprie inadeguatezze e, quasi sem­pre, è stressato. Un cattivo manager rovina l'azienda ma, prima an­cora, la vita di chi lavora con lui. Chi dirige uno staff è responsabile all'80 per cento del clima di lavoro, dei risul­tati e dell'eventuale stress dei suoi col­laboratori. E se ci sono capi carismatici, capaci di aiutare e motivare, ce ne sono molti di più estremamente  problematici, indecisi o incapaci, oppure autoritari senza essere amorevoli. Se avete la sfortuna di lavorare con uno di questi, è importante: prima, identi­ficare il tipo psicologico con cui ave­te a che fare; poi, adottare la strate­gia giusta per affrontarlo.

 
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TU,A CHI DEVI TUTTO?

Post n°8167 pubblicato il 02 Febbraio 2015 da psicologiaforense

Nonni, mamme, papà, certo, ma anche insegnanti, parenti, amici, religiosi, scrittori.... Sono loro i maestri di vita che si incontrano. Modelli diversi per insegnamenti diversi....

 

DEVO TUTTO A ...

 

RARAMENTE SI MIGLIORA SE NON SI HA ALTRO MODELLO DA IMITARE CHE SE STESSI diceva Oliver Goldsmith, dram­maturgo e saggista irlandese. Tutti noi abbiamo avu­to una figura di riferimento, qualcuno che ci ha tra­smesso un insegnamento o uno stile di vita. Una per­sona che, a volte inconsapevolmente, ci ha ispirati o guidati. Il più delle volte questi maestri di vita li troviamo in famiglia. È qui, infatti, che avvengono due proces­si fondamentali per la nostra crescita. La psicoanali­si li ha definiti di identificazione e di idealizzazione. Ci accompagnano dall'infanzia fino all'adolescenza e ci portano a vedere in un altro, o in più di uno, tutte le qualità che vorremmo fossero nostre. DA QUI A DE­SIDERARE DI ASSOMIGLIARE A QUESTE PERSONE IL PASSO È BREVE. Le figure di riferimento, viste con gli occhi dei bambini, si arricchiscono spesso di elementi di fantasia, di una libera interpretazione di ciò che fanno o dicono. lo, per esempio, devo gran parte dell'identi­ficazione alla mia bisnonna, mai conosciuta ma rac­contata in famiglia sempre a tinte molto forti. I miei, parlando di me, ripetevano: "È tutta la sua bisnonna!”. A me sem­brava un personaggio straordinario, av­venturoso. Aveva girato molto ed era sta­ta negli Stati Uniti a fine '800. A lei devo la mia voglia di avventura: da ragazza, ap­pena ho potuto, sono andata fuori dal­l'Italia a studiare. Nel mio caso dunque c'è stata un'identificazione positiva. Ma esiste anche una possibilità di un'identifi­cazione negativa: un modello che ha co­munque un ruolo determinante perché ci induce a fare scelte opposte alle sue.

 
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