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Capitolo 3 - Parte seconda

Post n°9 pubblicato il 07 Febbraio 2014 da rasdgl1

Arrivo nel parcheggio della palestra, non c'è nessuno menomale! oggi fa pure caldissimo!. Parcheggio e spengo la radio. Prendo il borsone ed entro. Con mio stupore Mark non è al suo posto, striscio il badge e mi dirigo verso gli spogliatoi, mentre cammino lo vedo in sala pesi che si allena: ecco perchè non c'era all'ingresso, ne approfitta quando c'è poca gente e fa bene!. Indossa una maglietta nera smanicata, leggermente attillata, pantaloncini corti verde smeraldo di quelli larghi, da basket.

Cavoli! Per un secondo lo fisso, non mi ero accorta di quanto fosse muscoloso, in genere porta sempre magliette larghe che nascondono il fisico, non si può dire che sia uno di quei tipi vanesii, poterei quasi diventargli amica. Vado a cambiarmi veloce e salgo sul tapis roulant, corro per un'ora e sfogo tutta la mia frustrazione. Quando scendo sono sfinita ma mi sento molto meglio. Arrivano due tipi ad allenarsi, io entro in sala pesi ed eseguo la mia scheda, sempre con il mio mp3.

Io ed Mark ci ritroviamo a fare gli addominali vicini e parliamo un po'. Lui è un ex atleta, ha trent'anni ed ha dovuto lasciare l'agonismo in seguito ad un brutto infortunio, gli piace allenare le squadre giovanili però, lo soddisfa e lo fa sentire utile, o almeno così dice. Come al solito sono bravissima nel far parlare le persone, ma di me rivelo poco o niente, solo del lavoro e poi, arriva la fatidica domanda: " sei fidanzata?". Io mi chiedo: ma a te che cavolo te ne importa?. Comunque, mento spudoratamente dicendo di essere felicemente fidanzata da cinque anni. Bene la risposta non sembra turbarlo, dunque non era un modo per sondare il terreno ma semplice curiosità, questo mi piace un po' di più.

La palestra inizia a riempirsi, perciò finisco il mio allenamento e vado a farmi la doccia. Nella mente continuano a risuonare le parole di una canzone che ho nell'mp3, Possession di Sarah McLachlan. «Take your breathe away ... and close your eyes dear...» non so neanche come ma inizio a cantare sotto la doccia, per fortuna non c'è nessuno, continuo anche dopo, mentre mi vesto e mi asciugo i capelli. Mi trucco, ne ho bisogno , anche se le occhiaie sono un pò meno evidenti rispetto a stamattina. La gonna del tailleur blu mi sta un po' larga, devo essere dimagrita. La camicetta di pizzo bianca fa risaltare l'abbronzatura e le mie forme; i tacchi mi slanciano, vedo riflessa la mia figura allo specchio e non corrisponde a ciò che sono all'interno, come è possibile?, esternamente sembro giovane, bella, spensierata, ma dentro ho l'inferno, mi sento una vecchietta decrepita in attesa di spirare: attendo pazientemente giorno per giorno che arrivi la mia fine.

Prendo il borsone, ancora canticchio, più nella mia mente a dir la verità, forse per distrarmi da quei pensieri funesti. Apro la porta dello spogliatoio ed esco: con la coda dell'occhio vedo che sta uscendo qualcuno anche dallo spogliatoio degli uomini li a fianco, gli passo davanti senza far caso a chi cammina silenziosamente dietro di me. All'ingresso saluto Mark e gli auguro di trascorrere un buon week end e gli faccio un in bocca al lupo per la partita che le sue ragazze giocheranno domenica, lui mi sorride e mi ringrazia. Scendo le scale e vado verso la macchina, apro il bagagliaio per posare il borsone e noto a malapena qualcuno che scende le scale e va verso la sua auto. Chiudo il bagagliaio della mia auto e mi volto per andare verso la portiera quando rimango impietrita, un ragazzo è davanti a me che mi guarda, occhi negli occhi.

Mi sembra di averlo gia visto, si, deve essere il ragazzo che era in palestra tre giorni fa! Quando guardavo attraverso la parete a specchio, lui era quello sul tapis roulant. Ups, sto continuando a guardarlo, poi lui mi saluta: « Ciao! » in tono caldo, mellifluo ed un sorriso travolgente. Mi sento soffocare, lo saluto frettolosamente e salgo di corsa in macchina. Non mi sono mai sentita così a disagio in vita mia! Beh, più o meno, si fa per dire. Mi ha infastidita questo incontro, meglio che vada a lavoro, è tardi.

 Sto rintanata in ufficio tutto il pomeriggio, al contrario di stamattina, oggi è un via vai continuo di gente e di appuntamenti tanto che sono le otto emmezza e io sono ancora qui a scivere relazioni. Ora però esco, cavoli è venerdì sera anche per me!. Di solito la gente normale alle quattro già scappa dagli uffici, chissà perchè, me lo sono sempre chiesta, che avranno da fare tutti al venerdì pomeriggio!?!.

Prendo la mia borsa e vado in bagno a cambiarmi: infilo un paio di jeans attillati color dirty danim, una maglietta scollata color verde chiaro acceso, tipo evidenziatore, scarpe color cognac con tacco 12 dello stesso colore del giubino di pelle. Prendo le mie cose dall'ufficio ed esco, cammino verso il parcheggio, la mia macchina è sola soletta ormai da un pò, questa non è una zona residenziale. Attraverso la città dirigendomi verso il "Moonlight" il mio locale preferito, ho sempre adorato il nome di questo locale, mi ricorda quella vecchia canzone dei Toploader, Dancing in the Moonlight, ed in effetti parlando con Victor, ho scoperto che non ci sono andata poi lontana, l'ha chiamato così in nome di una vecchia canzone che gli ricordava tempi più felici: Moonlight in Vermont di Chet Baker. Chissà perché questa scelta non mi stupisce affatto conoscendolo.

 Entro al Moonlight, le luci sono ancora soffuse, sul blu, Victor mi vede e viene ad abbracciarmi, è un po il mio secondo padre. Lui ha sempre creduto in me, a differenza dei miei: pensa che io stia sprecando il mio talento rinchiudendomi in sto buco di locale invece di fare provini, cercare contratti, lui avrebbe ancora alcuni agganci in quel mondo se solo non fossi così testarda, me lo ripete in continuazione!. «Piccola con cosa ti vuoi scaldare?» mi chiede Victor, facendomi l'occhiolino. « iniziamo con Don't make me over che dici?», « preparati piccola che arriva...». Sorrido a Sam, il ragazzo che fa un pò da corista e canta quando le persone si dimenticano le parole o non conoscono bene la metrica della canzone. Ha una voce strepitosa, lui si che è sprecato qui dentro, mi fa una tenerezza! , è il mio fratellino piccolino! Ha solo diciassette anni. Parte la base e inizio a cantare questa preghiera di Dionne Worwick, stupenda. La musica mi trasporta in un altro mondo, sono al centro del palco con il riflettore puntato e per me non esiste più nulla, nella mia voce c'è tutta la speranza, la disperazione, la supplica che il testo richiede.

 Il locale è ancora semi vuoto ma sento quei pochi clienti che già applaudono, ringrazio e poi vado verso il bancone del bar. Corinne come al solito quando mi vede arrivare mi prepara il solito, frappè alla vaniglia, il mio preferito. Me lo porge e poi mi getta le braccia al collo e mi saluta: ogni tanto ho l'impressione che sia un tantino attratta dalle donne, beh, non che mi importi. Però il pensiero mi fa sorridere visto la fila di pretendenti che ha: credo che la maggior parte degli uomini vengano qua solo per vedrere lei, è bellissima, fisico da copertina e lunghi capelli biondi. La ringrazio e "consumo la mia cena", poi salgo sul palco e faccio cenno a Victor che mi accompagna col piano ed inizio a cantare Cry me a river alla maniera di Ella Fitzgerald, il locale si riempie ed il pubblico si infiamma. La canzone giunge alla sua coda e uno scroscio di applausi e fischi di apprezzamento invadono il locale, in mezzo al marasma una voce squillante che mi chiama mi fa trasalire, la conosco! È lei.

 
 
 

Capitolo 3 - Intermezzo

Post n°8 pubblicato il 07 Febbraio 2014 da rasdgl1

_ Durante la mattinata Jaqueline preoccupata di aver turbato eccessivamente Sophy, decide di telefonare a Fran, la sua migliore amica. Loro due si conoscono ormai da diversi anni, ma non si sono mai frequentate un granchè: sono due mondi diametralmente opposti il cui unico anello di congiunzione è Sophy. Jaqueline racconta a Fran del pranzo avvenuto il giorno prima e le chiede di tornare a Lione per il week end e distrarre un po' Sophy. Stamattina quando l'aveva vista entrare in ufficio era più distrutta del solito, il trucco non riusciva a ingannarla, copriva a stento i grossi solchi che aveva sotto gli occhi. Fran si era trasferita due anni fa a Parigi per seguire il suo fidanzato, lì aveva trovato lavoro come commessa in una grossa catena di fai da te e bricolage, perciò riusciva a tornare di rado a Lione. "Va bene, ci penso io!" dice Fran al telefono: "proverò a farla rinsavire io. Chiederò un giorno di ferie sabato, così arriverò li venerdì sera, tanto so dove trovarla!". Jaqueline non capisce a cosa si riferisca, non conosce le abitudini notturne di Sophy ma fa finta di niente, la saluta, la ringrazia e riattacca. _

 
 
 

Aggiornamenti!

Post n°7 pubblicato il 02 Febbraio 2014 da rasdgl1

Buonasera mondo!

Per chi ha letto i primi capitoli del mio racconto e li ha trovati interessanti... 

Cercherò di pubblicare la seconda parte del terzo capitolo il prima possibile.

Per chi non li avesse ancora letti, un vostro parere è sempre ben accetto!

 

Besitos! 

La-disa

 
 
 

Capitolo 3

Post n°6 pubblicato il 22 Gennaio 2014 da rasdgl1

 

Oggi è il ventinove giugno, un'altra giornata calda e afosa, io sono chiusa in ufficio dalle otto. Oggi gli utenti non mi danno tregua, una miriade di casi nuovi affollano la mia scrivania, ma non mi spaventa! Anzi, magari stasera avrò qualcosa da fare a casa. Finalmente è ora di pranzo, io e Jaqueline pranziamo insieme oggi, perciò provo a chiamarla al telefono per sentire a che punto è: ha quasi finito, menomale!. Prendo la mia borsa Desigual london nylon ed esco ad aspettare Jaqui nell'atrio. Oggi Indosso jeans attillati color dirty danim e una camicetta leggera azzurro oltremare che fa risaltare la mia abbronzatura e sandalo con tacco alto. Io e Jaqui entriamo al Bar dell'angolo, pieno come sempre, ordiniamo due insalatone ed intanto chiacchieriamo del più e del meno. La mia collega in questo periodo è piuttosto stressata, oltre al lavoro ha da pensare ai genitori ormai anziani, nonchè a gestire una relazione a dir poco complicata con il fidanzato con cui sta ormai da dieci anni, che però ha paura di impegnarsi e continua a rimandare la convivenza, di matrimonio non ne vuole neanche sapere!. Ma che hanno tutti gli uomini? mi chiedo: ma è un'epidemia dilagante?.

Racconto a Jaqui della cena con i miei, lei ride. Poi improvvisamente cambia espressione e mi chiede a bruciapelo: «Come fai ad andare avanti così Sophy? Non puoi vivere solo per gli altri! Che razza di vita è? Devi iniziare a pensare un po a te stessa, ad andare avanti... hai solo ventisette anni!» . Come se non lo sapessi, incasso il colpo e rispondo franca: « Jaaqui io non funziono più, l'unico motivo per cui vivo ancora è perchè sono troppo egoista, non sò se rendo l'idea... Alcune cose che mi danno felicità ci sono ancora, come aiutare gli altri, che male c'è?». Mi risponde: « il problema non è aiutare gli altri o no, il problema è che ho l'impressione che sia diventato un modo per espiare il passato, non è così? Ti senti in colpa, non è vero? ». Non ho le forze di risponderle, e come se mi avesse letto dentro l'anima, avesse preso alcune delle mie ferite più profonde e me le avesse sbattute in faccia, come se mi avesse gettato un bicchiere d'acqua ragia.

Lei capisce il mio turbamento e cambia rapidamente discorso. Mangiamo in tranquillità in mezzo a tavolini affollati da ragazzi, impiegati in giacca e cravatta, segretarie con magliette sempre troppo scollate.

Tornata in ufficio mi getto nel lavoro, ne ho un bisogno estremo, mi nascondo dentro ai miei casi, lavoro sodo per aiutare le persone che si sono rivolte a me, tanto che non mi accorgo nemmeno che fuori è praticamente buio, è tardissimo!. Ritiro le cartelle, spengo il computer e chido l'ufficio a chiave, non c'è più nessuno nell'edificio, i miei passi risuonano lungo il corridoio. Cammino per strada, fortunatamente non è un brutto quartiere, è ben illuminato e c'è passaggio di gente a tutte le ore. Arrivo alla macchina, faccio per inserire la chiave ma improvvisamente resto paralizzata, immobile, non riesco a muovermi: cos'è? Panico? Un'altro attacco, qualcosa lo ha scatenato, forse la sensazione di una presenza alle mie spalle, ma sono sicura che non ci sia nessuno, è stato solo per un attimo, il ricordo.Tremo forte, nella mia mente passano pensieri terribili e spaventosi, cerco di scancciarli e di riprendere lucidità. Lentamente cerco di controllare il respiro e smetto di tremare, ho riacquistato il controllo. Cavolo era parecchio che non mi capitava, che situazione di merda!.

Mi metto alla guida della mia vecchia Clio e torno a casa. Parcheggio in garage, prendo le borse e, merda! Il borsone della palestra è ancora nel bagagliaio!, lo prendo.

Entro in casa, vorrei tanto che questa giornata finisca presto, vorrei addormentarmi subito e svegliarmi domani ed iniziare una nuova giornata, ma sò che non è possibile.

Laila capisce che sono di cattivo umore e guaisce, mi lecca la mano, mi abbasso e mi salta addosso, l'abbraccio forte, a lungo e... piango.

Mi asciugo il viso e cerco di darmi un contegno, non piangevo da tre anni. Prendo la roba puzzolente dal borsone della palestra e la metto in lavatrice, poi prendo il guinzaglio e porto Laila a passeggio per una mezz'oretta. Quando siamo davanti al palazzo incrociamo la signora Henrietta, una vecchietta sullla settantina che vive da sola al piano sotto il mio, penso sia vedova, mi saluta e mi dice: « Oh, signorina Sophia! Lei è così una brava figliola, non la sento mai, non fa mai confusione, lei si che è ben educata, non come quei mascalzoni dei miei dirimpettai! », le sorrido e penso, certo! Con tutto quello che mi è costato far insonorizzare l'appartamento!, mi informo sulle sue condizioni di salute e la invito a rivolgersi pure a me se avesse bisogno di qualunque cosa, i figli sono sposati e vivono lontani, so bene quanto sia difficile a quell'età essere completamente soli.

Io e Laila torniamo a casa, le metto acqua fresca e svuoto il contenuto di una scatoletta nella sua ciotola. Apro il frigorifero e prendo il succo di frutta all'albicocca, il mio preferito, vado in sala, non ho voglia di niente. Accendo il televisore e metto un film, philadelfia può andare, rispecchia il mio umore. Mi stendo sulla Chaslongue, arriva anche Laila a guardare il film con me, mi lecca il viso e poi posa il suo musetto dolce e le zampine sulle mie gambe, premo il tasto play del Lettore Dvd e parte il film, poso il telecomando e prendo il bicchiere in una mano, mentre con l'altra accarezzo la testolina calda di Laila. Bevo un sorso, forse sarebbe stato meglio un bel bicchiere di Whisky liscio, ma mi accontento. L'interpretazione di Tom Hanks in questo film è meravigliosa!.

Il film finisce e Laila russa sonoramente, dovrei alzarmi ma non ho il cuore di svegliarla. Penso a cosa potrei fare per farmi venire sonno: non ho voglia di leggere, non sono dell'umore giusto. Forse un lungo bagno caldo mi aiuterà a rilassarmi. Sposto delicatamente Laila sul divano e vado a preparare la vasca.

Verso un bel po' di bagnoschiuma alla mirra, accendo qualche candela e accendo la radio portatile che tengo in bagno, Underpressure risuona nella stanza, mi immergo molto lentamente nell'acqua bollente che mi ricopre dolcemente fino al collo. Credo proprio di stare tremando, eppure l'acqua è molto calda, non c'entra, sono io, non mi controllo. L'unica cosa che posso fare è aspettare che passi. Rivivo con la mente le parole di Jaqui, l'attacco di panico al parcheggio, lo strazio che ho provato davanti alla signora Henrietta, il film di prima poi, devo ammetterlo, mi ha dato molto su cui pensare.

Alla fine del bagno i miei pensieri sembrano disciolti come la schiuma e mi sento svuotata, a volte basta veramente poco per cambiare umore.

Metto l'accappatoio, poi mi asciugo i capelli con il phon: il rumore è dolce e consolante, quasi fosse un mantra che ripete: andrà tutto bene, andrà tutto bene, andrò tutto bene...

Metto la vestaglia di seta e vado il sala a prendere Laila: deve dormire sul suo cuscino! Le regole sono regole. La prendo in braccio e la poggio dolcemente sul suo cuscinone, le do un leggero bacio sulla testolina, lei fa un mugugno, sogna probabilmente.

È molto tardi! Vado a letto che domani è una giornata lunga: spero davvero di riuscire a dormire senza essere svegliata in continuazione dagli incubi: se va avanti così dovrò provare a prendere dei sonniferi e non mi sembra il caso.

Oggi è Venerdì! Che bello! La gente è sempre contenta di Venerdì, chissà come mai!. Stanotte mi sono svegliata solo una volta, non mi sembra vero!. Mi alzo dal letto e faccio il caffè, sono una caffeinomane!. Porto fuori Laila e poi mi preparo per andare a lavoro. Preparo la borsa della palestra, menomale che ho l'asciugatrice!.

Finalmente arrivo in ufficio, il traffico del venerdì è tremendo, mi dimentico sempre di partire prima, il mercato crea sempre imbottigliamenti.

La mattina trascorre più tranquilla del solito, mi rimangono un paio d'ore vuote e decido di dare un occhiata alle vecchie cartelle, cercando similitudi tra i casi e problemi più diffusi rispetto alla norma, per capire se c'è qualche progetto particolare che necessita di un intervento più ampio, un progetto di comunità insomma.

Il mio lavoro è poi interrotto dalla telefonata di una collega che lavora al territoriale, con cui vado molto d'accordo. Ci scambiamo pareri professionali su alcuni casi e parliamo del più e del meno. All'una stacco e vado in palestra.



 
 
 

Capitolo 2

Post n°5 pubblicato il 22 Gennaio 2014 da rasdgl1

Apro la porta d'ingresso e mia madre mi travolge con il suo abbraccio poderoso. Lei ha compiuto da poco cinquant' anni, è una donna straordinaria, ma la vita che ha fatto, i dispiaceri che ha passato si leggono tutti sul suo volto segnato dal tempo, eppure quando ride è ancora così bella!. Mio papa, più composto, mi saluta con un cenno ma non si smentisce mai: infatti, arriva con borse piene di ogni ben di dio, tra l'altro, cose che non mangerò mai e finiranno nella spazzatura tra qualche mese. Non so perchè, ma ha sempre paura che io non mangi!. Beh, mi conviene cercare di mettere in tavola tutto ciò che va a male questa sera, è un peccato sprecare il cibo.

Tiro fuori la roba delle buste: «Pà ma quanta roba mi hai portato! Lo sai che vivo sola e non pranzo mai a casa! Andrà a male! ». Lui mi sorride e con il suo solito senso dell'umorismo a tratti fastidioso, mi risponde: « e tu non farla andare a male!, Invita qualcuno a cena ogni tanto! », gli replico piccata: « ma l'ho fatto!, ho invitato voi!» con un ghigno maligno in risposta alle sue allusioni.

Io e mio padre siamo salvati in corner, sarebbe finita come come al solito in una serie di botta e risposta infinito:daltonde, il mio caratterino l'ho preso da lui. Suona il telefono!, rispondo, in realtà so già chi è ma fingo stupore: come se fossi davvero sorpresa di sentire mio fratello al telefono che sarebbe dovuto arrivare da un momento all'altro. Dico: «Oh, Rob davvero non puoi venire? Perchè? ah capisco!, il lavoro è lavoro!. Hai ragione, va bene mangeremo noi anche per te!. Vuoi che ti metta in vivavoce così gli fai gli auguri direttamente?, ok, sei in vivavoce.». Con un tono dispiaciuto dice: «Ciao Ma, Ciao pà !, scusate ma purtroppo ho un casino sul lavoro, un cliente inportante: il capo mi ha ordinato di fare il possibile ed oltre per accontentarlo e perciò non potrò essere li!. Vi mando un bacione e buon anniversario a tutti e due!». I miei ovviamente vogliono altri dettagli, ma Robert se la cava bene e chiude la chiamata dicendo loro che è entrato il cliente e che deve scappare. Bene!, sembra ci abbiano creduto, però non ho pensato che senza mio fratello presente, l'unico argomento di conversazione sarò io stasera...AIUTO! cavoli!, cavoli! Cavoli!..

Ci mettiamo a sedere, e apriamo una bottiglia di rosso, un Cabernet Sauvignon, io adoro il rosso e mio papà lo sà, ha portato il mio preferito!. Brindiamo al loro anniversario ed attraverso i calici scorgo lo sguardo triste di mia madre, so a cosa sta pensando ma non ci devo dare peso, non voglio rovinare la cena, la loro festa.

Servo gli antipasti che hanno portato i miei ed iniziamo a cenare, le conversazioni sono più o meno sempre le stesse, io che racconto dello Studio, di come inizi finalmente a girare discretamente bene e racconto a linee generali qualche caso particolare che mi è capitato sul lavoro, come quello di un signore che si rivolse a me perchè gli avevano portato via il suo cane, il suo unico amico, o meglio il suo unico amante. Infatti la bestiola gli era stata tolta dalla guardia cinofila dopo che si era recato in ospedale con "il cane attaccato dietro " non sò se mi spiego!. A questo punto scoppiamo tutti a ridere e la serata prende una vena scherzosa, mio papa racconta barzellette sconce, la sua specialità!: dio quante ne ho sentite da quando sono piccola!, ormai conosco tutto il repertorio a memoria ma fingo di ridere per farlo contento.

La mia vita è stata sempre così infondo, un continuo desiderio di accontentare gli altri, di vederli felici: mi ha sempre reso felice vedere qualcun'altro contento. Anche se a dir la verità pochissime volte sono stata felice per qualcosa che gli altri han fatto per me, non perchè non ci siano stati gesti o atti concreti in tal senso, più che altro perchè difficilmente ciò che han fatto per me ha colpito la mia anima o rispecchiava i miei gusti.

Scaldo le lasagne di Gianni e le porto in tavola: sono buonissime e non faticano a finire; l'orata trova anch'essa posto, ma ne avanza una porzione; poco male, la mangerò domani sera a cena. Al momento della torta, una millefoglie con fragole e panna, la preferita di mia mamma, stappo la bottiglia di champagne che mio fratello ha regalato ai miei per l'anniversario e che mio papà ha prontamente portato immaginando che avrei finito per dimenticarmi del bere, un Laurent Perrier del '98, rosato, lo verso nelle coppe. Uhm! È delizioso! Però, mio fratello si che sa come far festa! e mentre brindiamo a loro vado a prendere il mio regalo in camera, così possono stare un attimo da soli.

Torno in salotto col mio modesto pacco e lo porgo a mia mamma. Lei mi guarda stupita, non se lo aspettava un regalo: che pensava che il regalo fosse solo la cena?, ma non mi conosce?, evidentemente no... Scartano il pacco e si ritrovano davanti questo mini album, mi guardano con aria interrogativa, perciò decido di aiutarli: «coraggio! Sfogliatelo!».

Nella prima pagina ci sono i biglietti aerei, fanno un sorriso immenso!, hanno sempre desiderato prendere l'aereo ma non ne hanno mai avuto la possibilità. In realtà il loro sogno è prendere l'aereo per andare in Polinesia, ma non posso ancora permettermela, perciò per ora si devono accontentare dell'Inghilterra.

Continuano a sfogliare, guardano le fotografie di ciò che vedranno, dell'itinerario che gli ho preparato e sembrano due bambini al luna park!. Finalmente arrivano all'ultima pagina, dove c'è la poesia di Moore: i miei non sono mai stati interessati a nulla di lontanamente culturale, ma ciò non vuol dire che siano stupidi, il significato della poesia lo comprendono benissimo ed infatti mi guardano estasiati e con una luce nuova negli occhi. Mi sa che stasera toglieranno il disturbo presto i due piccioncini!. Eh... il potere della poesia!.

Molto bene!, sembrano aver apprezzato molto il mio regalo e sono entusiasti di intraprendere una nuova ed eccitante avventura a Settembre, la stagione più bella per visitare l'Inghilterra: infatti, in quel periodo i prati sono di un verde intenso e la brughiera è nel pieno della sua fioritura. Mamma mi aiuta a sparecchiare, mentre papà è seduto in poltrona a guardare la tv. Lavo i piatti con mia madre che mi ronza intorno e continua a ripetermi che è inutile avere il lavastoviglie se non lo uso neanche in occasioni come questa!, ma io ho sempre preferito lavare i piatti a mano anche quando vivevo ancora a casa coi miei e tutte le sere mio fratello portava a cena una tipa diversa o i suoi amici, ma all'epoca il lavastoviglie non c'era a casa mia e per non affaticare mia mamma cucinavo e lavavo i piatti io.

Sembra più serena ora che ha cambiato lavoro, ha sempre fatto la donna delle pulizie, arrivava a casa con la schiena a pezzi ed io ora posso dire realmente di capirla perchè nel periodo in cui ho preso la laurea l'ho fatto anchio quel lavoro per mantenermi agli studi. Ora che siamo sole in cucina mia madre, forse sotto l'influsso dell'alcol, osa chiedere ciò che ad inizio serata non aveva osato e, d'un fiato, come sa si fosse armata di tutto il coraggio che aveva ed aspettasse la mazzata finale da un momento all'altro mi chiede: « Allora, esci con qualcuno in questo periodo?». Cavoli come è invadente, e io che pensavo di averla scampata!, rispondo glaciale: « no mamma, con nessuno e non ho intenzione di uscire con nessuno, chiaro?». «va bene tesoro, non ti arrabbiare, era solo per far conversazione!», risponde. "Già, come no!".

Torniamo allora su argomenti più sicuri e mi dice che non ha creduto neanche per un attimo alla scusa di mio fratello ed io sorrido tra me e me!. È telepatica con mio fratello!, sembra che sappia sempre ciò che lui sente e prova. Fortunatamente non lo è altrettanto con me, impazzirei se potesse sentire cosa provo, come mi sento, ciò che sono. La tranquillizzo dicendole che secondo me aveva veramente da fare a lavoro, che mi sembrava davvero dispiaciuto e desolato di non poter venire a cena, ma non so se la mia freccia è andata a segno o se finge di aver abboccato perchè sa che da me non caverà nessuna notizia. Le chiedo allora del lavoro, lei fa la cassiera, e inizia a raccontarmi tutti i gossip ed i vari inciuci che avvengono all'interno del luogo di lavoro: il direttore con la ragazzina del tessile, il magazziniere giovane che corteggia con insistenza la signora sposata dell'ortofrutta e gli fa le poste nelle celle frigo, il macellaio sposato con due figli piccoli che se la fà con la ragazza che imbusta il pane... Che storie! Peggio di Beautiful!.

Ecco che arriva mio papà a reclamare le attenzioni di mamma, mi sa che stanno per andarsene in gran fretta! Non che mi spiaccia, anzi!. I due vecchi sono improvvisamente entrambi molto stanchi, perciò senza ulteriori cerimonie prendo le loro giacche e li accompagno alla porta. «Amore grazie per lo splendido regalo che ci hai fatto! Ti sarà costato una fortuna! Non ci meritiamo una figlia così» dice mia mamma con gli occhi arrossati tipici di chi sta trattenendo le lacrime. Sdrammatizzo, come sempre, dicendo semplicemente: «Pensateci bene e prima o poi un motivo per meritarmi lo troverete, no?, buonanotte e andate piano in macchina!».

Bene!, se ne sono andati. Anche questa è fatta!, ora però è meglio che sento Rob: prendo l'i phone e lo chiamo, raccontandogli della cena, e dei sospetti di mamma. Mio fratello è ancora impanicato, ma ha parlato con la ragazza e domani mattina la porta a fare gli esami; finalmente una volta nella vita prova a prendersi le sue responsabilità.

Riattacco e mi ritrovo seduta sul divano con Laila accucciata sulle mie gambe che si fa coccolare, bella la vita così e?. Mi alzo e prendo il guinzaglio, la porto a fare un ultimo giretto prima di andare a dormire, ridendo e scherzando è quasi mezzanotte. Il giretto di Laila è più corto del solito, probabilmente la cena di stasera ha stancato anche lei, non è abituata ad avere gente per casa ed ha corso intorno ai miei tutta la sera facendo loro mille feste. Saliamo le tre rampe di scale e siamo di nuovo in casa. Laila si fionda a bere e poi si appallottola sul suo cuscinone, tempo due minuti e russa peggio di un uomo. Io mi metto la vestaglia di seta bianca e mi metto a leggere un pò sulla poltrona dello studio: i casi clinici di Sigmund Freud occupano tutta la mia attenzione, sono arrivata al caso del piccolo Hans, devo ammettere che è molto acuta la teoria freudiana, ma sicuramente oggi è un pò datata.. leggo finchè non riesco più a tenere gli occhi aperti, poi chiudo il libro e vado in camera, mi metto a letto, sotto le lenzuola fresche e mi addormento velocemente come tutte le sere, per poi svegliarmi più volte in preda agli incubi.

Sono circa le tre quando mi sveglio in preda all'ennesimo incubo, più o meno sempre lo stesso, non riesco più a riaddormentarmi perciò mi alzo e vado in sala, al vecchio piano a parete che ho comprato qualche anno fa, prima usavo una tastiera ridicola. Inizio a suonare, le dita si muovono leggere sui tasti, ma sono percorse come da un'energia,un fuoco e mi perdo dentro le note dell' etude n. 3, op. n. 10 di Chopin. Nelle mie mani scorrono tutti i miei pensieri, il mio disagio, la mia solitudine, la mia disperazione, mentre suono questo semplice brano, intitolato "Tristesse". Non sò per quanto vado avanti, ma ho dato così tanto di me che improvvisamente mi sento distrutta, forse ora sono pronta per tornare a dormire, anche se non mi inludo; gli incubi torneranno, tornano sempre.

 
 
 
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