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Casa Velarde.

Post n°437 pubblicato il 22 Gennaio 2017 da Santajusta_Cultura

Che differenza passa tra una presentazione editoriale autoprodotta e le nostre serate nella "Casa Velarde"? Nessuna, in entrambe si beve e si fuma. Tabacco, per quanto mi concerne. Stanotte c'era un tale che mi ha passato una sigaretta rosa shocking, che sapeva di pomodoro e rosmarino, cianciando dell'Ayurveda. Stop. Mi avvertono dalla regia che nelle presentazioni editoriali autoprodotte non si beve, forse solo un "prosecchino" (solo scrivendolo mi si aggriccia la pelle... faccio il verso a una mia amica giornalista). E il divieto di fumo ha purificato tutti gli ambienti, tranne la sala di Velarde, il sabato sera dopo la chiusura: riconoscibile, dai metronotte, per la saracinesca abbassata a metà e la luce da taverna che trapela fuori (A proposito: che fine hanno fatto, i metronotte? Attualmente, si vedono in giro solo Rambi attempati, sessisti e poco scaltri, negativi a colori di berretti verdi).
Povero Velarde! Non è colpa sua se mi affitta la belle chambre della sua pensione; né se siede in questa piazzetta, ex rotonda, che punteggia Avenida del Estandarte, crocicchio degli incontri dei Santajustardi, degli scalmanati del Comando Psicológica, dei sentimentaloni della Editorial Danuello e di noi, i cinque dell'Estandarte: "Estandarte servizi per la scena...e con noi sei di scena".
Non è colpa di Velarde, se i suoi amici siamo noi, a metà tra "Le Boeuf sur le Toit" e quell'episodio de "I Nuovi Mostri" con gli intellettualoidi in trattoria... salvo il fatto che non ho mai visto il mio paziente anfitrione e la sua socia, Roselyne, litigare... e salvo il fatto che siamo ammessi anche in cucina. Anzi, le nostre Jam Session, se vogliamo chiamarle così, cominciano proprio nella cucina e, se si fa tardi, finiscono al tavolone della sala, dopo che l'ultima comitiva del sabato sera ha abbandonato il territorio.
Si sarebbe detto, ieri, un corso di formazione continua per scrittori, editori, e Affini (eh eh...). Ogni tanto, la mia spalla fungeva da appoggio ad un artista (ma che faccia aveva, quello delle sigarette fucsia?) e, metaforicamente parlando, di appoggio avevo bisogno io. Ne ho trovato. Ho trovato anche l'esergo del mio romanzo in cantiere (si, dell'autostrada Salerno-Reggio Calabria). O meglio, mi è tornato in mente.
Avevo letto, prima delle feste, una lunga intervista a Gianni Amelio (non ho mai visto un film di Gianni Amelio! Onta su di me!); sosteneva che, in un'opera letteraria (e non?) la prima cosa da scrivere fosse proprio l'esergo e poi tenervi fede. Non è un metodo da buttare.
E non butto neanche il centone che ho già scritto. I dettagli, as soon as possible.
E pazienza, se tanto incoraggiamento ha avuto un costo: Karl Danuello mi ha messo in braccio uno spiralone, spesso almeno quanto la tesi di dottorato di Alberto Raffo (un laureato tra noi): l'ultimo parto di Alejandro Figueredo, di Radio Verde, della Santajusta e chissà di quante altre muse.
Qui a Namnetes, da molti anni, circola un detto: "Mestieri che scompaiono: l'editor di Figueredo": più che altro, scompaiono i malcapitati, inghiottiti dai monumentali brogliacci; narra la leggenda che nessuno sia tornato indietro. Ma si, proviamoci, una settimana e glielo riporto. "Dicono tutti così", ha riso Karl (L'altro Danuello, Maurizio, non ride mai). E si che ho ritrovato l'entusiasmo... a meno che non sia stato quel tiro di sigaretta ayurvedica!
©2017 Pavia Malandra

 
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