Impressioni sulla corsa d5min.a briglia sciolta nel web

Post n°25 pubblicato il 20 Aprile 2006 da ale.semiramide
 

Dove ci può condurre un unico, piccolo, talvolta anche involontario "click"?

Dove possiamo arrivare in men che non si dica attraversando l'eterea rete del web, spostandoci da un nodo all'altro, soffermandoci su un link, e poi su un altro, come se ciascuno di essi fosse un'isoletta nell'oceano, da cui però si accede ad un mondo nuovo, diverso, inatteso.

Come da accordo mi sono presa 5 minuti, ho aperto un motore di ricerca, quello dal nome più corto, per far prima, "i-o-l", e ho messo nella ricerca il nome del mio stesso blog.

Sapendo esattamente cosa esso rappresenta, a cosa, o melgio: a chi si ispiri, ero curiosa di constatare a quale altezza dei risultati ci sarebbe stato la risposta, la soluzione effettiva e reale alla mia ricerca.

Sinceramente è buffo constatare come trovi fin troppo spesso quello che non ti serve oppure qualcosa che non ti potrebbe interessar di meno...

Ma torniamo a noi:messa la parola chiave il buon caro amico GOOOOOOOOOOGLE (come diceva Berto a "Mai Dire Lunedì") ha trovato:

1) il libretto di Rossini,

2) Dante e la sua Commedia, r

3)ecensioni dell'opera rappresentata in vari teatri d'italia...

Ecco poi che a fine pagina s'ottiene finalmente qualcosa di interessante: l'etimologia e subito sotto le notazioni storiche vere e proprie e non di quelle surrogate alle recensioni di cui non si sa mai quanto siano attendibili. ...perchè in 5 minuti di tempo non si può aprire tutto...!

Wikipedia mi racconta di lei: ecco cosa cercavo. Si, beh, dai...non c'ho messo poi così tanto...

...però poi ti piglia la curiosità.

Vado a vedere cosa dicono di lei nella Divina Commedia. una paginetta squallida e smilza. Che delusione!!

Torno indietro e apro Rossini: no, beh, dai, dopo qualche versetto mi rendo conto che  mi sto distraendo! non devo leggere libretti musicali! devo redigere un commento sulle impressioni che lo sguazzerellare nel web, a casaccio, può darmi.

Sovrapensiero riapro la pagina che parlava dell'etimologia. Tack!! Si può forse resistere alla tentazione di mettersi a leggere il significato dei nomi dei propri amici, e nemici, amanti e familiari? assolutamente no. E dai nomi passi ai cognomi, un "click!" e l'universo della ricerca cambia angolazione, il frattale di un secondo fa non c'è già più. Un altro s'è spalancato dinanzi a me.

Tutta esaltata metto il mio nome.

Cambio schermata.

"Il nome Alexandra non è ancora presente nel dizionario".

Ma vaaaaaaa.... Un nome così bello, no? Vabbè, vabbè, come moglie dello Zar Nicola li farei tutti decapitare, ma i tempi cambiano, e così..proviamo con il cognome: wow!

"Moretti è presente in 2266 comuni".

Dopo un po' il gioco si esaurisce. Osservo con sguardo disteso e rilassato il resto della pagina: OROLOGI A CUCU', originali, vendita on line.

Mi rifiuto di poggiarvi sopra il mouse, ma l'offerta, nonostante tutto, mi ha fatto considerare che se qualcuno si pone davanti al pc, senzauna chiara idea di casa vuol fare, dal suo bel sito "X" di partenza può arrivare veramente ovunque!! anche in un sito d'argomento tale che nessuno, per associazione di idde, avrebbe mai potuto spingersi.

In conclusione: Internet è un gran pentolone, in cui bolle un po' di tutto. Se sei abile, riesci a ripescare qualcosa, il più delle volte, però, rischi solamente d'aver perso del tempo.

Questa mia ricerca non è stata una di quelle serie, del tipo da ricerca per un esame o una relazione. In quei casi lì, almeno io, mi ritrovo a perdere un sacco di tempo per ripetitività delle informazioni fornite, o per la mediocrità degli articoli proposti oppure per il taglio dell'argomento diverso da quello che mi serve.

Cinque minuti...si, per arrivare da nessuna parte, per nortare come la tentazione di deviare è grande, per concludere una pagina di blog con il prorposito di dover mettermi d'impegno e ritagliarmi del tempo per riflettere... e scriverne... 

 
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Quando le Onde Piangono

Post n°24 pubblicato il 28 Febbraio 2006 da ale.semiramide
 

Mont Saint Michelle.

Costa  Occidentale.

Orizzonte: una linea fiammeggiante che corre verso meridione ed ardente cela la terraferma, le certezze ineluttabili, i principi e le leggi inderogabili. Li avvolge fondendoli con segreti perduti, sogni vissuti, amori incantati, impossibili, forse per questo tanto sentiti, viscerali e travolgenti. Ed è tutto là, oltre un impalpabile margine di demarcazione fra il vissuto e l’ignoto.

Onde: pennellate leggere e delicate di platino sulla fredda distesa di mercurio e cobalto.

Spuma: pagliuzze d’oro che crepitano appena, soffici, ovattate. Poi dirompente scroscio di perla ed opale splendente quanto tocca gli scogli. Laggiù, sulla sinistra.

Sabbia: un tappeto levigato e smussato d’ogni asperità da millenni di eventi ed intemperie; granelli multicolori che per somma cromatica si fondono nell’ocra e nell’ambra più calda.

Io: seduta sulle dure rocce…

Io: ammantata della melodia della brezza, in cui s’allaccia l’armonia nei soliloqui di sporadici gabbiani, in cui si fondono i battiti del mio cuore che si mescolano allo sciabordio ritmato e perenne della battigia.

Io che ritrovo nelle più recondite e nascoste sfumature del profumo dell’Oceano lo slancio che non ha radici e che mi riporta a quell'ultimo sorriso, sorriso capace ancora adesso di impedirmi di mollare tutto e lasciarmi andare lungo la china dell’entropia…

Io… sempre alla ricerca di qualcosa, qualcuno, che pare perduto, ma che forse permane, in qualche sua forma, in qualche suo modo…

….oppure, forse, è davvero tutto finito.

E così, dunque, è alfine giunto il momento di smetterla di sognare?

Forse è vero che la vita è solo un sogno ed i sogni sogni sono.

Eppure…

Eppure a volte verrebbe da credere il contrario.

E’ strano: perché così spesso la vita ce ne dà tale impressione? Perché illuderci di poter veramente cambiare il corso delle stelle, modellare –noi!- il nostro domani ed essere sempre e comunque dei prescelti ed eletti dotati di Libero Arbitrio? Perché mai farci realizzare quanto vogliamo se poi ci viene sottratto, portato via, negato?

Ci sono volte, nella vita di ognuno di noi, in cui, alzandoci presto la mattina, ci viene d’istinto aprire le imposte, farci irrorare da un sole rigenerante e provare in un subitaneo attimo la certezza che questo è un giorno speciale. Uno di quelli in cui ogni piccolo fatto, ogni dettaglio, ogni minima cosa non è insignificante come invece appare agli occhi degli altri.

E’ la magia di vedere la caduta, in tutta la sua danzante durata, di una foglia dal ramo più alto della grande quercia. E’ quel senso di arrivo ineluttabile al suolo, dopo una spiraliforme e frusiante discesa. E’ il correre fino a lei e coglierla al volo.

Oppure è il sorriso di un bambino che non è tuo figlio, ma ti tende la mano dal braccio della tata; è la danza delle fiamme nel camino; è l’abbraccio dell’uomo che ami: sempre unico, sempre inedito, sempre nuovo. E’ quella vita d’incanto in cui pare che ogni giorno sia il primo di una lunga esistenza destinata a tornare magica e mai ripetitiva alba dopo alba, notte dopo notte... mese dopo mese… anno dopo anno…

Arriva poi, però, sempre e inevitabilmente, il momento in cui il Tao decide di rendersi palese, e la fase yang, di luce, deve lasciar spazio al suo opposto e complementare: yin, la tenebra.

Dopo aver assaporato il frutto gustoso e divino della felicità, dopo aver sentito la mano del Signore accarezzarti i capelli e sorridere indulgente perchè i suoi piani erano tutt’uno con i tuoi. Dopo aver sentito fluire in te l’onda dell’entusiasmo ed attraversarti, forgiandoti più forte e migliore. Dopo aver avuta la vana ed effimera illusione che ogni cosa sia perfetta così com’è, che l’uno s’incastri nel resto, con il Tutto…beh, ecco, dopo tutto, in fin dei conti, per sua stessa natura tale grandioso arazzo è destinato a mutare nel volgere di un istante. E tu lo sapevi, in fondo all’anima, sin dall’inizio…

Ma è così naturale che l’uomo si rifugi nell’illusione del “è per sempre”!

Nulla di più erroneo.

Nulla di più fallace.

Nulla esiste di altrettanto ingannevole.

Infatti poi arriva per tutti il giorno dell’eclissi totale di sole, l’ora in cui le ombre dilagano implacabili ed il dubbio ricopre ogni cosa nel suo freddo sudario. La fede vacilla ed il futuro è per certezza fatale un baratro nero.

E’ in momenti come questi che ti chiedi quale delle due sia la realtà, se la vita vera sia luce o tenebre o magari l’alternarsi delle due.

In ogni caso, va sempre a finire che l’unica constatazione valida in momenti come questi è che la luce si piega nell’ombra.

Per fortuna, però, dopo essere sballottato di qua e di là dall’impetuosa corrente degli eventi, riesci a riaffiorare. A respirare di nuovo. T’aggrappi ad uno scoglio chiamato Speranza. E da lì ricominci la salita verso la montagna che vedi all’orizzonte, verso le impervie pendici dell’esistenza, attraverso i perigliosi sentieri quotidiani, irti di briganti travestiti da santi monaci, assassini dei puri sentimenti camuffati da benefattori, nemici con indosso l’ipocrita e nefasta maschera degli encomiabili amici.

 

Calma. Un attimo. Prima di riprendere anch’io il viaggio voglio ammirare il paesaggio marino. Siedo sugli scogli. E scrivo.

Attorno a me…

Vento.

Freddo.

Vento gelido.

Soffia forte.

…ed io mi perdo nei flutti del Vento…

Vento.

Freddo.

Freddo fuori. Ma io me lo sento anche dentro…

Nell’anima soffiano impetuosi i venti del Nord, promettono bufera, portano neve e disperdono lontano le ultime foglie secche che cercavano di resistergli e di opporsi all’epilogo del loro naturale ciclo.

Dentro è già inverno!

E come sempre succede d’inverno…

“Le foglie,

 come ali di un’ardita Chimera,

 una volta bruciate

 si riducono a sterile cenere,

dopo aver invano arso,

nella avvolgente fiamma

di un travolgente desiderio

-neanche interamente concepito,

neppure completamente compreso-.

Si diffondo nell’oscuro spazio infinito

spingendosi nelle viscere del mio Spirito,

nero come il manto della Regina della Notte,

ed ivi si stagliano pallide e grigie,

precipitando nei crepacci dei miei sogni,

sempre in un turbinio costante,

sempre aggrappate ai cangianti arcobaleni

danzanti sulle mie stesse lacrime,

baciate da quest’ultimo raggio di sole,

sul far della sera,

sul finire dei giorni.”

Questo cantò una sera d’autunno un triste bardo, a casa mia, quand’ero piccola e fuori nevicava…

Ma uno schiaffo gelido mi riporta alla realtà del presente.

Ma è subito una nuova immersione dentro di me.

Lì, uno scrigno di ghiaccio mi imprigiona il cuore. Il sangue non dilaga solamente perché è imprigionato. Ma quello che ancora arranca a fatica, senza slancio, senza entusiasmo, senza più sogni, magici cavalli alati, misteriose sirene e folgoranti fenici è un organo oramai disfatto…

Solo un velo di nubi mi separa dal sole… Forse c’è ancora Speranza…

Ma ecco che all’improvviso un raggio fende la grigia coltre e rimbalza sul mare liscio come seta turchina.

E Luce fu. La foschia si è diradata del tutto.

Ma io non ho trovato le risposte che cercavo…

Che cerco…

Ed ecco che la mia attenzione si rivolge ad un rumore….

E’ il canto ancestrale e malinconico del Vento…

Ma…. Ma perché, il Vento, adesso urla…?

 
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Post N° 23

Post n°23 pubblicato il 28 Febbraio 2006 da ale.semiramide
 

… Ale, Ale …

E’ un sospiro nel triste Vento dell’Est.

E’ un sussulto nel mio stesso respiro.

E’ un alone indistinto nella nebbia che si forma perché io sospiro, e la temperatura è quella della serica brina.

… Ale, Ale …

Sono io che corro sulla spiaggia, sul bagna-asciuga e vedo le mie impronte svanire.

Sono io che corro ma lui non c’è più.

Sono io che rincorro ricordi infrangendo le onde.

Sono io che ricerco sorrisi nel mutare delle dune.

Sono io che rivedo il suo volto sulla faville degli schizzi oceanici.

… Ale, Ale …

Sento la sua voce che mi chiama.

E’ un mesto bisbiglio.

Ma mi volto ugualmente.

Ed eccolo ancora dinanzi a me.

… Ale, Ale …

Perché lo sento così chiaramente?

Perché il tempo non ha portato via con sé anche la sua voce, anche il suo volto, anche il suo ricordo?

…Tanto ormai è perduto…

… Ale, Ale …

Cammino per le strade, fra la gente, ma lui mi rincorre.

Appare sul profilo di un uomo.

Trasmuta e si fa materia se inspiro il profumo di un passante.

Dalla melodia di una canzone lui ne esce, splendente ed ammaliante.

E mi assale.

… Non ti lascerò mai più libera…

… Ale, Ale …

Sono da sola, seduta sotto un albero, nel bosco, sento le sue braccia che mi stringono al petto.

Lo sento, come se ci fosse davvero.

Sollevo il capo ma sono da sola.

… Sarai mia per sempre…

… Ale, Ale …

Lo sento pulsarmi nel cuore.

Lo sento scorrere attraverso vene ed arterie.

Lo sento irrorare tutto il mio essere di forza e di vita.

Ma poi me la sottrae e scompare nuovamente.

… Ale, Ale …

Chi sei?

Perché mi cerchi?

Cosa vuoi?

… Ale, Ale …

Vi prego: fatelo smettere!!

Perché adesso grida?

Questa voce mi minaccia, mi assorda, mi uccide.

… Ale, Ale …

Cosa c’è?

… Ale, Ale …

Non riesco a farla smettere, questa eco.

Tapparmi le orecchie è inutile: proviene da dentro di me.

… Ale, Ale …

E’ lui nel mio io più profondo.

E’ lui che si aggira inquieto nella mia anima primordiale.

E’ lui che dà voce al mio stesso spirito?

… Ale, Ale …

 

Rimango assorta e perplessa.

Un po’ spaventata magari….ma in breve mi riscuoto e tendendo l’orecchio riesco infine a sentire una sommessa melopea, l’antica ed ipnotica ballata del Mare.

L’Onda, sua leggiadra messaggera, viene e se ne va…

Porta conchiglie e ruba granelli indefinibili di sabbia.

L’Onda, sua diletta figlia, viene e se ne va.

Ma, perché mai le Onde ora piangono….?

Sento qualcosa di caldo scendermi lungo le guance.

Sa di sale.

Come il Mare…

Increspatura dopo increspatura, però, a differenza di me, il Mare resta sempre il Mare.

Ed il Mare è la Vita, che ti plasma, si frange sulle tue coste, dal momento che Tu sei la Terra.

E la Vita è il Mare.

E lui….

Lui è il Maroso che dopo essere giunto fino a te, ed averti mutata, se ne va per sempre ritornando nel grembo dell’Oceano eterno da cui proveniva. Ma intanto ti lascia diversa.

L’avevi visto semplice increspatura lontana, spuma effervescente, cavallone dirompente ed infine è giunto e s’è infranto con forza.

Ma non è più il momento di piangere. Né tanto meno di recriminare il passato, di restare bloccati con la testa rivolta alle nostre stesse spalle. Non serve lagnarsi o compatirsi né gridare al Cielo che non è giusto che tutto sia finito così.

Forse è vero che dovremmo imparare dalle piante: il bianco giglio lunare non si perde nella memoria della gloriosa estate appena trascorsa. Non piange delle morse dell’inverno quando lo attanagliano. Lui sa che la primavera tornerà, come ciclicamente torna, ed il sole, il calore, ed il proprio magnifico e prezioso fiore, compariranno nuovamente. Più rigogliosi e fragranti che mai!

Ma l’uomo, forse, non è un fiore…

Quindi credo sia il caso di farsi coraggio e riprendere il cammino. Credo sia giunto il momento di constatare come al nostro fianco, in linea di massima, non ci sia mai nessuno. Re, mecenati, protettori, genitori o quant’altro, possono essere con noi solamente fino a un certo punto. Poi l’ambito e temuto scettro della responsabilità è nelle nostre mani.

E così rivolgi un estremo sorriso, a metà fra il fiducioso e il timoroso al mare e ti rialzi anche tu, come farò io tra poco, per l’ennesima volta. Sollevi fiero il capo e riprendi il cammino. Ora come allora, oggi come ieri e come domani. Ma, intanto, quanto già vissuto permane o va perduto?

Solo la conoscenza derivante dallo scorrere del tempo potrà dirmelo.

Ecco però che il viaggio ricomincia e, strada facendo, va sempre a finire che da dietro una curva appare un’abbazia dove ti fermi e ti ristori. Ecco che al di là di un aspro colle si apre e disvela ai tuoi occhi il nastro argentato di un fiume, un prato fiorito, un bosco ardente nel meriggio autunnale. E la notte, talvolta, capita di condividerla al fianco di un povero mendicante, capace però d’incantarti con gli avventurosi aneddoti tratti dalla sua vita; e ti rendi in breve conto come l’apparenza possa ingannare e che il vero valore di un individuo sia dato dalla tempra del suo carattere, dai suoi modi, dal suo cuore. Altre volte ti stringi invece al lercio mantello di un palmiere diretto a Gerusalemme, che non ha quasi nulla, ma condivide con te, perfetto estraneo che non conosce, tutto ciò che possiede.

L’alterigia in cui si chiudono coloro che hanno molto ma non lo sanno condividere, pare quasi essere la derivazione di una povertà interiore: mancanza di sicurezza, pecunia d’affetti, scarsità di sicurezza… Ci sono pressoché infinite varianti e altrettante componenti –primarie e secondarie- in un equazione com’è quella che, se risolta, va a mostrare le costituenti di qualcuno, ad ogni livello. Ma a noi non è dato risolverla completamente. Mai.

Nella vita ci sbatti spesso il naso contro questa armatura dell’apparenza, che cela al resto del mondo il vero IO di chi la indossa. A volte la forgiamo per paura, altre per desiderio d’essere accettati dagli altri o ancora per illudere noi stessi d’essere diversi da quello che realmente siamo.

Ma uno spirito sensibile, delicato, fragile, non potrà resistere a lungo oltre il lucente pettorale della ostentata sicurezza, dell’indipendenza, del “io sola faccio”.

Lo dicevo a tre anni; una volta gettata nella mischia della vita ho cercato di viverlo.

L’inganno è riuscito e l’illusione è stata perpetrata con successo. Nessuno ha mai dubitato che potessi essere diversa da come apparivo. Nessuno mi ha mai vista nuda, senza protezioni, senza magici veli a frapporsi tra essere e apparenza, fra noumeno e fenomeno…

O meglio: nessuno prima del Mago.
 
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Post N° 22

Post n°22 pubblicato il 28 Febbraio 2006 da ale.semiramide

Il Viaggio alla ricerca di un’antichissima pergamena durava ormai da diversi mesi. Avrei dovuto trovare qualcuno a cui dare quella in mio possesso e ricevere in cambio un’altra, con un nuovo, grande, messaggio.

Il mio Maestro mi aveva istruita fino ad allora, giorno dopo giorno, pazientemente, saggiamente. Quando mi reputò pronta tutto ciò che mi disse fu:

 “Con il mio affetto e la mia benedizione, questo è il Cammino”.

Mi indicò il traballante sentiero che si dipartiva dalla soglia del suo maniero nel cuore della Foresta Nera e concluse con:

“Adesso, vai!”

Non nego quanto i primi giorni furono difficili. La solitudine premeva prepotentemente, faceva spallucce con la paura e io più di una volta vacillai nei miei propositi, fui tentata di gettare tutto alle ortiche dei fossati che attraversavo. Volevo solo tornare indietro. Volevo tornare a casa… Volevo riappropriarmi delle cose che avevo posseduto, delle certezze che avevo stretto fra le mani, di ciò che conoscevo. L’ignoto può serbare anche il tesoro di Alì Babà, è vero, ma può anche portarti via tutto ciò che hai. Però vedevo tante, troppe persone intorno a me che alla fine andavano a ridurre la propria esistenza al vivere come in una piccola scatola, chiusa, certa, sempre uguale.

Ma quando tutti i giorni si trascinano lenti ed uguali uno dopo l’altro, nulla di ciò che ci circonda è più in grado di darci emozioni…e diventiamo nulla più che dei cadaveri ambulanti.

Io avevo paura, è vero, ma non volevo essere un topolino in gabbia.

E così, mi feci forza e sfidai me stessa, i miei timori, i miei schemi mentali, le mie abitudini: nulla c’è di più pericoloso che l’essere incatenati da se stessi e dalla catena (da noi stessi forgiata) della quotidianità invariantiva.

Poi accadde, un pomeriggio, che una strana e silenziosa voce mi soccorse, dandomi la forza per andare avanti. Cosa fosse non l’ho ancora ben capito, perché di tanto in tanto ritorna; è nel contempo sussurro interno ed esterno a me. Sarà un Angelo Custode? Sarà il Sospiro dell’Universo o la voce di qualcuno di Ineffabile…?

In ogni modo dopo un po’ riacquistai il controllo di me stessa, ritrovai la calma ristabilendo ordine ed un briciolo almeno di armonia  nel mio cuore e nella mia mente.

Ho fatto in modo che le mie debolezze si tramutassero in imponenti baluardi, nei miei maggiori punti di forza così che mai potessero tramutarsi in  armi che mano altrui fosse messa nella condizione di usare contro di me.

Fu a questo punto, forse finalmente sufficientemente temprata, che incappai in un modesto villaggio di pescatori. Vi si respirava una bella atmosfera e il locandiere mi prese subito in simpatia offrendomi vitto e alloggio in cambio della mia collaborazione presso la sua taverna. I profitti aumentarono, i clienti si passavano l’informazione della particolare ma squisita cucina di una forestiera e così…

Succede talvolta che una serie di difficoltà ci conduce verso un periodo di gioie e soddisfazioni. Così fu per me questa parentesi lavorativa.

Un giorno, però, arrivò lui.

Prima di vederlo seduto nell’angolo più lontano ed appartato del salone centrale, lo stesso scelto da me la prima volta che arrivai lì, lo sentii sotto forma  di un brivido gelido che mi corse lungo la schiena. Per poco non lasciai cadere il vassoio che tenevo fra le mani! Mi voltai in un baleno, ma da sotto le ampie pieghe del suo nero cappuccio riuscii a scorgere solamente lo scintillio dei suoi occhi: magnetici.

Alba dopo alba si presentava a noi, ci fosse il sole o venisse giù tanta acqua da sembrare un fiume costante… Voleva sempre solo e soltanto una tazza di latte. Fresco.

La mia attenzione, i miei pensieri, il mio essere, erano completamente votato a lui. Attendevo di vederlo comparire, tetro e silenzioso, riservato e schivo, solo per sciogliermi nel raggiante sorriso di quando, a dispetto delle apparenze, mi rivolgeva la parola ed intavolava con me le più disparate conversazioni. Da un lato mi incuteva una specie di timore reverenziale, ma dall’altro era terribilmente affascinante, intrigante ed irresistibile. Oltretutto, andai appurando di lì a poco, era anche un uomo giovane, dai bei lineamenti, regolari, nobili. Ero certa d’aver finalmente trovato l’esempio vivente di perfetta parità fra bellezza interiore ed esteriore!

Le ore trascorse insieme si moltiplicarono.

Una sera, sul finire dell’estate, tornati al villaggio dopo una lunga cavalcata in riva al mare, egli mi augurò un sereno riposo e bei sogni d’oro dopo aver posato sulle mie labbra trepidanti al chiarore della luna, un unico, fugace, bacio eterno.

Fu la fine.

O meglio: l’inizio.
 
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Post N° 21

Post n°21 pubblicato il 28 Febbraio 2006 da ale.semiramide
 

Quello trascorso con lui fu un periodo stupendo. Imparai moltissime cose, lezioni che il mio Maestro mai s’era neppure sognato d’impartirmi, nemmeno in linea teorica.

A tutto ciò ci pensò il Mago.

Il Mago…

E’ bizzarro soffermarmi ora a riflettere su questo suo appellativo -da me appioppatogli contro la sua volontà-.

“Non ho bisogno di nomignoli” si infuocava a dirmi e ripetermi tutte le sante volte che sorridendo lo chiamavo così.

Ogni nome è sempre qualcosa di unico, magico, speciale. Ha in sé la persona stessa che lo porta e già dalla presentazione puoi farti un’idea di chi ti trovi davanti.

E poi, perché mai s’arrabbiava tanto? In fondo i nomi non sono altro che suoni incogniti ed allusivi, imprecisi e fumosi. I nomi sono effigi di un volto, simboli di un corpo, specchi di un sentimento…

E tutto ciò che la parola Mago, oggi, come ieri, e come domani, è in grado di evocare in ogni essere umano…beh, quello e molto altro era lui per me.

Portava con sé il fascino del sottobosco, aveva lo stesso respiro infuocato delle fiere, quello sguardo ancestrale e senza tempo.. Era figlio della Natura e parte integrante degli elementi, era una creatura silvana…

Lui era l’ignoto, era l’arcano, il misterioso e l’ineffabile, ineluttabile, incomprensibile. Non potevo mai afferrarlo completamente, non riuscivo mai a comprenderlo e farlo mio. A razionalizzarlo.

E per questo lo adoravo.

Tornando a noi: penso che fra tutte le sue doti, interiori ed esteriori, ciò che davvero riuscì a conquistarmi fu la sua capacità di capire esattamente chi ero, solamente in alcuni giorni. Pensai inizialmente d’aver lasciato bassa la guardia, d’aver lasciato ben in vista i miei lati più fragili ed insicuri. Ma nessuno sembrava farci caso, nessuno sembrava vederli.

Nessuno sapeva chi ero.

Nessuno tranne il Mago.

Lui si. E fu proprio questo a bloccarmi per lungo tempo, prima che mi aprissi davvero, prima che mi fidassi di lui, prima che, dopo tanto tempo, tornassi ad essere finalmente, veramente, completamente io: libera da schermi, libera da pregiudizi, capace di dire e fare ciò in cui credevo, non quello che poteva sembrare opportuno o confacente. Che poi a pensarci bene è veramente stupido come atteggiamento perché: chi ce lo garantisce che quelli che a noi sembrano parametri vincenti lo siano anche per gli altri? Quando ci sforziamo di apparire perfetti a chi ci sta intorno, supponiamo per un attimo di entrare nella loro testa, ma non vi possiamo applicare il codice di leggi della nostra ragione. Non sono compatibili. E così va sempre a finire che lo sforzo è stato inutile per non dire che finisce pure, voglia o no, nel fallimentare.

Con il Mago, invece, ho ritrovai un gusto della vita che non assaporavo più dai tempi dell’infanzia. L’epoca delle ancora intoccate purezza e sincerità. Si, perché poi va sempre a finire che entri nello sporco gioco della vita, delle regole della società, del suo grandioso arazzo di facciate false ed ipocrite… Comodi, favori, latini do ut des si rincorrono in un vortice che annebbia il vero Io di ciascun essere umano che, nel caso non abbia una salda forza di volontà, verrà plasmato secondo l’immagine corrente che l’opinione diffusa gli dirà essere la migliore, quella vincente. Quella che, però, in realtà, lo cancella.

Ed il Mago –ora lo capisco- mi ha salvata da tutto ciò.

Lui mi ha condotta alla riscoperta di qualcosa di genuino e tremendamente soddisfacente. Qualcosa che ti appaga talmente tanto, che, una volta vissuto, non riesci più a farne a meno.

E sono così scivolata nella fase in cui stare con lui era per me come una droga. Non lo vedevo per un giorno o due? Era la fine! Diventavo triste, silenziosa, scorbutica, lunatica ed associale.  Mi costruivo mille castelli in testa cercando di scoprire per quale astrusa ragione egli non si fosse presentato. Ma le elucubrazioni che facciamo non possono carpire dal cuore altrui le verità e le ragioni che lo hanno condotto a perpetrare quell’azione. Quindi sono sostanzialmente inutili. Ma…come non porsi mille “perché?”? Come non ritrovarsi a ripercorrere infinite volte ogni attimo trascorso insieme alla ricerca del dettaglio capace di farlo allontanare? E via dicendo…

Dopo una settimana, però, ecco che se ne tornava bel bello, con una spilla, un diadema e molti altri pegni, sempre raffinati, sempre unici e diversi (va riconosciuto che aveva davvero buon gusto in fatto d’arte e d’estetica) oltre alla carrellata di affascinanti storie d’avventura, ben inteso.

Ma arrivò l’autunno.

Le rosseggianti foglie sugli alberi cominciarono a cadere ed anche per noi si avvicinava il tempo del gelo, del crudo inverno, tanto avverso al calore…anche al calore dei sentimenti.

Ma, prima della fine, un ultimo ed estremo elogio. Il Mago  aveva un vizio, un’usanza, una certa consuetudine, quasi una mania: quella di fare domande. A volte lo odiavo visceralmente per questo, ma già il giorno dopo gliene ero grata. Lui mi poneva dinanzi a me stessa, lui mi conduceva allo scontro con i miei lati in ombra, con i miei volti nascosti, con quanto era segregato in me e verso il quale io nutrivo un qualche strano tipo di timore. Niente. Qualunque cosa fosse, di qualsiasi fatto, argomento o circostanza si trattasse, lui mi ci buttava a capofitto e poi stava a me sguainare la spada della sincerità nei confronti di me stessa e rispondergli. Tutto ciò mi ha dato molto, mi ha fatto crescere.

E lui lo sapeva.

Ne leggevo sempre la consapevolezza nello sguardo che mi rivolgeva in quei frangenti. I suoi occhi mi confortavano muti dicendomi: “Stai tranquilla, piccolina, stai andando alla grande! Io sono qui, e lo sarò per sempre. Ricordatelo. Mettilo bene dentro a quella testolina burrascosa!!”.

Poi sorrideva dolcemente per concludere con: “Se mai un giorno una mia verità dovesse feriti, io sarò comunque al tuo fianco, sarò io il primo a confortarti. Sappilo… e non scordarlo neppure se i fatti all’apparenza lo negheranno…”.

Lui mi osservava crescere, evolvere, maturare e divenire veramente, finalmente, compiutamente donna.

Lui ammirava la sua bimba cambiare sotto i propri occhi…

“Bimba…”

Nessun altro al di fuori di lui mi ha mai chiamata così.

Solo il Mago…

Ma dicevo: il Vento del Nord ha cominciò a soffiare, le sue raffiche si fecero sempre più forti ed insistenti.

In una delle tante galoppate nel bosco sentii nuovamente la Voce del mio fratello perennemente inquieto, eternamente in movimento, mi chiamava, mi esortava a partire, a ricominciare la mia queste. Ed in cuor mio sapevo di doverlo fare.

Ah, il senso del dovere… a lungo ho creduto fermamente che fosse un valore autentico, qualcosa di vero e valido. Ma ora… ora odio solamente chi me l’ha impresso nel cuore!! Sarebbe stato così bello poter alzare le spalle e rimanere per sempre così, come fluttuando senza spazio né tempo, nel villaggio di pescatori sulla costa dell’oceano. Così indolore. Lo so, razionalmente tutto questo non lo si può spiegare….

…Eppure sapevo, sentivo di dover andarmene da lì; dovevo lasciare i cari e calorosi amici del piccolo villaggio… e poi, oltre a loro, c’era anche qualcun altro a cui avrei dovuto dire: “Addio….”

Ed io, addio, non l’ho ancora mai detto a nessuno…

Sta di fatto, comunque, che purtroppo nella pratica, nella vita, nella realtà, non sia così semplice fregarsene. C’era in gioco tutt’un altro paio di maniche: dall’istante stesso del richiamo all’ordine ero già avviata su un sentiero dal quale dubitavo di potermi sottrarre e da cui temevo non avrei mai fatto ritorno. Tanto meno lì, tanto meno da lui.

Ammesso anche che tutto filasse via liscio, sarebbero certamente arrivati altri imprevisti e contrattempi ed impegni e persone che cercano sempre e comunque  di cambiarti la vita e di farti diventare ciò che voglio loro –per lo più perché non sanno che fare di sé e per fare qualcosa ripiegano sul loro prossimo-. E così non sarei mai più riuscita a tornare al villaggio… A tornare fra i faggeti ormai spogli, oppure a tornare là dove il daino s’abbevera presso il torrente di cristallo in cui abbiamo pescato insieme tante volte. Ed in tutta una schiera di altri luoghi e squarci. Tutti irrimediabilmente legati a lui…

Ma per seguire la mia Leggenda Personale, per seguire la mia strada e non la sua, per diventare io una persona completa, forse dovevo avere il coraggio di farlo (che ne valesse davvero la pena o meno è una domanda a cui non voglio neppure pensare, la risposta potrebbe terrorizzarmi!).

“Certe cose sono inevitabili”. Questo racchiudeva il cupo richiamo del maestoso gufo bianco.

Lo sapevo che era riferito a me, ma in fondo avevo sperato che l’ordine del mondo potesse -per una volta- incrinarsi…

Invece no: certi sogni sono nati per rimanere sempre e soltanto dei pensieri immateriali ed eterei.

Il destino non può venir scritto da noi.

Non lo credo veramente. Ma la vita mi sta dimostrando il contrario.

Il mio cuore protesta, ma io gli rispondo bruscamente di guardare i fatti e non il platonico mondo delle idee!!!

Dio, perché sono così cocciuta??!

Perché mi ostino a credere a ciò che i fatti –apparentemente- negano?!

L’unica conclusione è che l’amore non esiste.

Un gelido mattino, all’alba, andai presso la sua casetta, immersa nel bosco. Ero pronta a dirgli quanto dovevo. Ma egli, dopo avermi fatta entrare ed avermi offerto un caldo infuso alle erbe, mi disse:

“Io so. Vai, mia diletta.”

Null’altro.

Negatoci vicendevolmente il leggendario bacio d’addio perchè troppo doloroso, mi pose sulle spalle un mantello copia del suo: nero e bordato di candido ermellino. Morbidissimo. Magnifico.

Mi studiò con occhio critico, poi, soddisfatto per come mi ricadeva giù, fino alle cosce, alfine sorrise: tanta, troppa infinita dolcezza si dipanavano dall’increspatura delle sue labbra sottili ma ben disegnate.

Sapevo benissimo, e quella viscerale certezza che mi attanagliava lo stomaco quasi mi faceva paura, che mi sarebbe mancato quasi alla follia.

Quel suo sorriso… mai amai sorriso più unico, imperfetto e proprio per questo tanto perfetto.

Ma era bianchissimo…

Ricordo poco di quell’addio, i sentimenti erano talmente forti e dirompenti da ottenebrare la ragione e rendere così difficile, tempo dopo, recuperare dettagli, immagini, squarci, parole o quant’altro.

C’era solo lui... e io distrutta.

L’eterea neve… e l’oscuro baratro che mi si stava spalancando dentro…

La neve, schegge di luna, fra i suoi capelli color della notte più cieca.

La neve: bianca… sul mio mantello: nero…

La neve che cadeva, soffice, silenziosa danza mistica ed arcaica delle fate antiche come la vita, come l’amore, come la morte.

Bianco e nero.

Nero e bianco.

Questi i colori di quella fredda mattina…

Nero e bianco.

Bianco e nero.

…come il simbolo del Tao: c’erano insieme lo yin e lo yang, il maschile ed il femminile, il bene ed il male, le luce e le tenebre, l’affetto e il distacco. L’amore e il dovere.

Alla fine accarezzai per l’ultima volta il suo magnifico stallone nero come la pirite e salii sulla mia giumenta, bianca come la gelida polvere di stelle che cominciava a cadere. Avrebbe ammantato tutto e tutti, cancellando le impronte degli zoccoli, cancellando, speravo, il passato. Cancellando i miei sentimenti, cancellando il suo volto, cancellando il suo nome. Cancellando la nebbia che mi offuscava la vista…

Solamente dopo diverse miglia di galoppo a briglia sciolta, realizzai che erano le mie stesse lacrime… nella pioggia, nel nevischio viscido…
 
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