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Post N° 21

Post n°21 pubblicato il 28 Febbraio 2006 da ale.semiramide
 

Quello trascorso con lui fu un periodo stupendo. Imparai moltissime cose, lezioni che il mio Maestro mai s’era neppure sognato d’impartirmi, nemmeno in linea teorica.

A tutto ciò ci pensò il Mago.

Il Mago…

E’ bizzarro soffermarmi ora a riflettere su questo suo appellativo -da me appioppatogli contro la sua volontà-.

“Non ho bisogno di nomignoli” si infuocava a dirmi e ripetermi tutte le sante volte che sorridendo lo chiamavo così.

Ogni nome è sempre qualcosa di unico, magico, speciale. Ha in sé la persona stessa che lo porta e già dalla presentazione puoi farti un’idea di chi ti trovi davanti.

E poi, perché mai s’arrabbiava tanto? In fondo i nomi non sono altro che suoni incogniti ed allusivi, imprecisi e fumosi. I nomi sono effigi di un volto, simboli di un corpo, specchi di un sentimento…

E tutto ciò che la parola Mago, oggi, come ieri, e come domani, è in grado di evocare in ogni essere umano…beh, quello e molto altro era lui per me.

Portava con sé il fascino del sottobosco, aveva lo stesso respiro infuocato delle fiere, quello sguardo ancestrale e senza tempo.. Era figlio della Natura e parte integrante degli elementi, era una creatura silvana…

Lui era l’ignoto, era l’arcano, il misterioso e l’ineffabile, ineluttabile, incomprensibile. Non potevo mai afferrarlo completamente, non riuscivo mai a comprenderlo e farlo mio. A razionalizzarlo.

E per questo lo adoravo.

Tornando a noi: penso che fra tutte le sue doti, interiori ed esteriori, ciò che davvero riuscì a conquistarmi fu la sua capacità di capire esattamente chi ero, solamente in alcuni giorni. Pensai inizialmente d’aver lasciato bassa la guardia, d’aver lasciato ben in vista i miei lati più fragili ed insicuri. Ma nessuno sembrava farci caso, nessuno sembrava vederli.

Nessuno sapeva chi ero.

Nessuno tranne il Mago.

Lui si. E fu proprio questo a bloccarmi per lungo tempo, prima che mi aprissi davvero, prima che mi fidassi di lui, prima che, dopo tanto tempo, tornassi ad essere finalmente, veramente, completamente io: libera da schermi, libera da pregiudizi, capace di dire e fare ciò in cui credevo, non quello che poteva sembrare opportuno o confacente. Che poi a pensarci bene è veramente stupido come atteggiamento perché: chi ce lo garantisce che quelli che a noi sembrano parametri vincenti lo siano anche per gli altri? Quando ci sforziamo di apparire perfetti a chi ci sta intorno, supponiamo per un attimo di entrare nella loro testa, ma non vi possiamo applicare il codice di leggi della nostra ragione. Non sono compatibili. E così va sempre a finire che lo sforzo è stato inutile per non dire che finisce pure, voglia o no, nel fallimentare.

Con il Mago, invece, ho ritrovai un gusto della vita che non assaporavo più dai tempi dell’infanzia. L’epoca delle ancora intoccate purezza e sincerità. Si, perché poi va sempre a finire che entri nello sporco gioco della vita, delle regole della società, del suo grandioso arazzo di facciate false ed ipocrite… Comodi, favori, latini do ut des si rincorrono in un vortice che annebbia il vero Io di ciascun essere umano che, nel caso non abbia una salda forza di volontà, verrà plasmato secondo l’immagine corrente che l’opinione diffusa gli dirà essere la migliore, quella vincente. Quella che, però, in realtà, lo cancella.

Ed il Mago –ora lo capisco- mi ha salvata da tutto ciò.

Lui mi ha condotta alla riscoperta di qualcosa di genuino e tremendamente soddisfacente. Qualcosa che ti appaga talmente tanto, che, una volta vissuto, non riesci più a farne a meno.

E sono così scivolata nella fase in cui stare con lui era per me come una droga. Non lo vedevo per un giorno o due? Era la fine! Diventavo triste, silenziosa, scorbutica, lunatica ed associale.  Mi costruivo mille castelli in testa cercando di scoprire per quale astrusa ragione egli non si fosse presentato. Ma le elucubrazioni che facciamo non possono carpire dal cuore altrui le verità e le ragioni che lo hanno condotto a perpetrare quell’azione. Quindi sono sostanzialmente inutili. Ma…come non porsi mille “perché?”? Come non ritrovarsi a ripercorrere infinite volte ogni attimo trascorso insieme alla ricerca del dettaglio capace di farlo allontanare? E via dicendo…

Dopo una settimana, però, ecco che se ne tornava bel bello, con una spilla, un diadema e molti altri pegni, sempre raffinati, sempre unici e diversi (va riconosciuto che aveva davvero buon gusto in fatto d’arte e d’estetica) oltre alla carrellata di affascinanti storie d’avventura, ben inteso.

Ma arrivò l’autunno.

Le rosseggianti foglie sugli alberi cominciarono a cadere ed anche per noi si avvicinava il tempo del gelo, del crudo inverno, tanto avverso al calore…anche al calore dei sentimenti.

Ma, prima della fine, un ultimo ed estremo elogio. Il Mago  aveva un vizio, un’usanza, una certa consuetudine, quasi una mania: quella di fare domande. A volte lo odiavo visceralmente per questo, ma già il giorno dopo gliene ero grata. Lui mi poneva dinanzi a me stessa, lui mi conduceva allo scontro con i miei lati in ombra, con i miei volti nascosti, con quanto era segregato in me e verso il quale io nutrivo un qualche strano tipo di timore. Niente. Qualunque cosa fosse, di qualsiasi fatto, argomento o circostanza si trattasse, lui mi ci buttava a capofitto e poi stava a me sguainare la spada della sincerità nei confronti di me stessa e rispondergli. Tutto ciò mi ha dato molto, mi ha fatto crescere.

E lui lo sapeva.

Ne leggevo sempre la consapevolezza nello sguardo che mi rivolgeva in quei frangenti. I suoi occhi mi confortavano muti dicendomi: “Stai tranquilla, piccolina, stai andando alla grande! Io sono qui, e lo sarò per sempre. Ricordatelo. Mettilo bene dentro a quella testolina burrascosa!!”.

Poi sorrideva dolcemente per concludere con: “Se mai un giorno una mia verità dovesse feriti, io sarò comunque al tuo fianco, sarò io il primo a confortarti. Sappilo… e non scordarlo neppure se i fatti all’apparenza lo negheranno…”.

Lui mi osservava crescere, evolvere, maturare e divenire veramente, finalmente, compiutamente donna.

Lui ammirava la sua bimba cambiare sotto i propri occhi…

“Bimba…”

Nessun altro al di fuori di lui mi ha mai chiamata così.

Solo il Mago…

Ma dicevo: il Vento del Nord ha cominciò a soffiare, le sue raffiche si fecero sempre più forti ed insistenti.

In una delle tante galoppate nel bosco sentii nuovamente la Voce del mio fratello perennemente inquieto, eternamente in movimento, mi chiamava, mi esortava a partire, a ricominciare la mia queste. Ed in cuor mio sapevo di doverlo fare.

Ah, il senso del dovere… a lungo ho creduto fermamente che fosse un valore autentico, qualcosa di vero e valido. Ma ora… ora odio solamente chi me l’ha impresso nel cuore!! Sarebbe stato così bello poter alzare le spalle e rimanere per sempre così, come fluttuando senza spazio né tempo, nel villaggio di pescatori sulla costa dell’oceano. Così indolore. Lo so, razionalmente tutto questo non lo si può spiegare….

…Eppure sapevo, sentivo di dover andarmene da lì; dovevo lasciare i cari e calorosi amici del piccolo villaggio… e poi, oltre a loro, c’era anche qualcun altro a cui avrei dovuto dire: “Addio….”

Ed io, addio, non l’ho ancora mai detto a nessuno…

Sta di fatto, comunque, che purtroppo nella pratica, nella vita, nella realtà, non sia così semplice fregarsene. C’era in gioco tutt’un altro paio di maniche: dall’istante stesso del richiamo all’ordine ero già avviata su un sentiero dal quale dubitavo di potermi sottrarre e da cui temevo non avrei mai fatto ritorno. Tanto meno lì, tanto meno da lui.

Ammesso anche che tutto filasse via liscio, sarebbero certamente arrivati altri imprevisti e contrattempi ed impegni e persone che cercano sempre e comunque  di cambiarti la vita e di farti diventare ciò che voglio loro –per lo più perché non sanno che fare di sé e per fare qualcosa ripiegano sul loro prossimo-. E così non sarei mai più riuscita a tornare al villaggio… A tornare fra i faggeti ormai spogli, oppure a tornare là dove il daino s’abbevera presso il torrente di cristallo in cui abbiamo pescato insieme tante volte. Ed in tutta una schiera di altri luoghi e squarci. Tutti irrimediabilmente legati a lui…

Ma per seguire la mia Leggenda Personale, per seguire la mia strada e non la sua, per diventare io una persona completa, forse dovevo avere il coraggio di farlo (che ne valesse davvero la pena o meno è una domanda a cui non voglio neppure pensare, la risposta potrebbe terrorizzarmi!).

“Certe cose sono inevitabili”. Questo racchiudeva il cupo richiamo del maestoso gufo bianco.

Lo sapevo che era riferito a me, ma in fondo avevo sperato che l’ordine del mondo potesse -per una volta- incrinarsi…

Invece no: certi sogni sono nati per rimanere sempre e soltanto dei pensieri immateriali ed eterei.

Il destino non può venir scritto da noi.

Non lo credo veramente. Ma la vita mi sta dimostrando il contrario.

Il mio cuore protesta, ma io gli rispondo bruscamente di guardare i fatti e non il platonico mondo delle idee!!!

Dio, perché sono così cocciuta??!

Perché mi ostino a credere a ciò che i fatti –apparentemente- negano?!

L’unica conclusione è che l’amore non esiste.

Un gelido mattino, all’alba, andai presso la sua casetta, immersa nel bosco. Ero pronta a dirgli quanto dovevo. Ma egli, dopo avermi fatta entrare ed avermi offerto un caldo infuso alle erbe, mi disse:

“Io so. Vai, mia diletta.”

Null’altro.

Negatoci vicendevolmente il leggendario bacio d’addio perchè troppo doloroso, mi pose sulle spalle un mantello copia del suo: nero e bordato di candido ermellino. Morbidissimo. Magnifico.

Mi studiò con occhio critico, poi, soddisfatto per come mi ricadeva giù, fino alle cosce, alfine sorrise: tanta, troppa infinita dolcezza si dipanavano dall’increspatura delle sue labbra sottili ma ben disegnate.

Sapevo benissimo, e quella viscerale certezza che mi attanagliava lo stomaco quasi mi faceva paura, che mi sarebbe mancato quasi alla follia.

Quel suo sorriso… mai amai sorriso più unico, imperfetto e proprio per questo tanto perfetto.

Ma era bianchissimo…

Ricordo poco di quell’addio, i sentimenti erano talmente forti e dirompenti da ottenebrare la ragione e rendere così difficile, tempo dopo, recuperare dettagli, immagini, squarci, parole o quant’altro.

C’era solo lui... e io distrutta.

L’eterea neve… e l’oscuro baratro che mi si stava spalancando dentro…

La neve, schegge di luna, fra i suoi capelli color della notte più cieca.

La neve: bianca… sul mio mantello: nero…

La neve che cadeva, soffice, silenziosa danza mistica ed arcaica delle fate antiche come la vita, come l’amore, come la morte.

Bianco e nero.

Nero e bianco.

Questi i colori di quella fredda mattina…

Nero e bianco.

Bianco e nero.

…come il simbolo del Tao: c’erano insieme lo yin e lo yang, il maschile ed il femminile, il bene ed il male, le luce e le tenebre, l’affetto e il distacco. L’amore e il dovere.

Alla fine accarezzai per l’ultima volta il suo magnifico stallone nero come la pirite e salii sulla mia giumenta, bianca come la gelida polvere di stelle che cominciava a cadere. Avrebbe ammantato tutto e tutti, cancellando le impronte degli zoccoli, cancellando, speravo, il passato. Cancellando i miei sentimenti, cancellando il suo volto, cancellando il suo nome. Cancellando la nebbia che mi offuscava la vista…

Solamente dopo diverse miglia di galoppo a briglia sciolta, realizzai che erano le mie stesse lacrime… nella pioggia, nel nevischio viscido…
 
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