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Ancora sul lercio...
Post n°174 pubblicato il 09 Aprile 2013 da meninasallospecchio
Qualche post fa ho raccontato che sto leggendo Il lercio di Irvine Welsh, romanzo molto bello, durissimo e inquietante. Riporto un brano, a edificazione dei miei lettori e, soprattutto, delle mie lettrici. "Però me la sono presa un po' comoda, bisogna sempre con la figa nuova. Quello che faccio usualmente quando ho una nuova passera è tapparmi insieme a lei per un fine settimana, viziarla con un fottìo di preliminari, champagne, mangiarini pronti e attenzione assoluta a tutte le assurde cagate che blatererà. Quasi sempre la cosa ottiene il risultato di potermele poi giostrare regolarmente per mesi. La tecnica migliore è far divertire la figa nuova al massimo, perché così lei sa che saresti capace di farlo altre volte, e da allora se la prenderà sempre con se stessa perché non riesce a riaccendere in te quella passione. Gli amatori più in gamba sanno che con una passera ti basta farlo bene una volta. Tu fai le cose per bene la prima volta e dopo fondamentalmente sei padrone della situazione. Alla fine lo afferrano che sei solo uno stronzo egoista, dopo qualche anno di autoanalisi senza risultato, ma in genere a quel punto ti sei già cavato la voglia e te ne stai strombazzando un'altra."
Ecco. Adesso voi ditemi una donna mediamente intelligente, dopo aver letto questo, come fa a scopare serenamente con un... con uno... come vogliamo chiamarlo? un cazzo nuovo? No, perché io non sono una che crede ai romanzi, né quelli rosa né quelli neri, che poi in fondo è lo stesso. Non penso che il lercio esista veramente: la cattiveria pura è un ideale, nel senso filosofico del termine, tanto quanto la bontà o la felicità o l'amore assoluto. Però, diciamolo, questa non è pura invenzione. Anzi. E' soltanto l'astrazione di qualcosa che esiste. Quanto "tipico" pensiero maschile c'è in queste frasi? Quanto lercio alberga nelle persone intorno a noi? E magari in noi stessi. Che poi, nell'evolvere del romanzo, di cui sono quasi alla fine, il lercio stesso trova una sua spiegazione, se non giustificazione, in una storia personale struggente e simbolica, sullo sfondo crudele di quella Gran Bretagna thatcheriana che stiamo ricordando proprio in questi giorni. Un male che striscia, si alimenta e si riproduce, fuori e dentro di noi, dal carbone delle miniere alla testa fracassata di un nero fino alla manipolazione dei sentimenti. Perché il lercio è vittima e carnefice, come tutti.
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