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Post n°358 pubblicato il 29 Luglio 2014 da meninasallospecchio
Una volta, quand'ero ragazzina, dissi a mio padre che avevo conosciuto un suo ex allievo. - Ah sì? - chiese incuriosito – come si chiama? Ma quando gli dissi nome e cognome di B., reagì con una tale stizza che mi si rivolse in dialetto, non lo faceva mai con noi figli. - Ti i pì fòi, i pì sbalà, t'ji cunusse tüti (trad.: Tu i più matti, i più sballati, li conosci tutti) In realtà B. era un ragazzo buono e generoso, con alle spalle una situazione familiare difficile. Non meritava gli strali di mio padre, verso il quale nutriva un'ammirazione affettuosa che a quanto pare abbracciava anche me. Ma per mio padre l'umanità si divideva in due categorie: a posto e sballati. B. lo persi poi completamente di vista. Seppi anni dopo che era morto precocemente di cirrosi. Quella generosità che la ragazzina di quattordici anni aveva confusamente riconosciuto, era qualcosa di più: una generosità esistenziale, uno spendersi senza freni, un germe di autodistruzione. Sì, dopo tutto B. era uno sballato, anche se questo per me non esprime una condanna. E probabilmente anche mio padre come insegnante doveva averlo trattato con benevolenza, era solo preoccupato di mettere sua figlia al riparo dall'influenza degli sballati. Non è difficile immaginare, nell'austera concezione del mio anziano genitore, classe 1915, come dovessero essere le persone a posto: non necessariamente noiosi travet, ma certamente persone con un'occupazione solida, una famiglia, una reputazione, una rete di relazioni sociali. Per converso erano sballati tutti quelli che non rientravano in questo quadro. Quello che ci viene trasmesso con l'educazione non possiamo mai abbandonarlo del tutto, possiamo soltanto rielaborarlo, attualizzarlo. Mi rendo conto di applicare in qualche misura il metro di mio padre. Mi guardo intorno e mi sembra di vedere o di frequentare quasi soltanto degli sballati: gente con occupazioni precarie, con situazioni familiari anomale, vita sessuale bislacca. Mi chiedo: sono sballata anch'io? E' così che appaio? Be', se dovessi applicare rigidamente i criteri di mio padre, sicuramente sì. Potrei elencare un insieme di fattori che mi qualificano inequivocabilmente come sballata. Però poi, se togliamo gli stereotipi e andiamo al nocciolo razionale delle questioni, i fatti vanno valutati sotto un'altra luce, meno convenzionale e più concreta. Sono in grado di provvedere economicamente a me stessa e a mio figlio? Sì. Sono in grado di occuparmi di lui? Sì. Sono in grado di garantire a mio figlio un'esistenza serena ed equilibrata e a me stessa una vita ragionevolmente gradevole, che includa un livello soddisfacente di interessi e relazioni? Sì. Questo per gli aspetti materiali ed esteriori. Ma c'è dell'altro. Riconosco alle semplificazioni manichee di mio padre una certa utilità nel definire comportamenti collettivi funzionali al pacifico svolgersi dell'esistenza. Ma portando la questione sul piano personale, non credo possa esistere un equilibrio definito in termini generali, validi per tutti. L'equilibrio, per ciascuno, sta nell'assonanza fra il proprio essere, la propria natura, e l'esistenza che si conduce. Inutile aspirare a una vita tranquilla se l'inquietudine è dentro di noi. Costringersi dentro a una gabbia per aderire a un'idea astratta di maturità o di decoro: è così che si diventa sballati, ma sballati per davvero. La verità è che io non mi ci sento affatto, sballata. So che alcuni aspetti della mia vita e forse soprattutto del mio pensiero (che poi nei fatti non è che io sia 'sta gran trasgressiva) non godrebbero dell'approvazione dei benpensanti e temo neppure della buonanima di mio padre; ma mi considero tutto sommato una persona equilibrata. Anche l'irregolarità la vivo con piacere, con consapevole curiosità e con moderazione.
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