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Damien Hirst.

Post n°126 pubblicato il 16 Aprile 2006 da thearabstrap78

Per motivi accademici sono stato costretto a frequentare (e -non lo nego- certe volte ne è proprio valsa la pena) il museo fiorentino della Specola, situato appena dopo piazza Pitti. Si tratta di un palazzo fantastico e misterioso, con un giardino soprelevato molto elegante. Dal giardino si accede ad alcune aule, tra le quali quella del mio corso di zoologia (anno universitario duemila avanti Cristo.) Il museo della Specola ha una collezione di cere anatomiche famosa in tutto il mondo -da poco riportate a nuovo splendore- e molti animali sotto formalina. Tra le tante creature a mollo ho sempre nutrito una predilezione viscerale per i gamberoni e le aragoste-giganti. Ricordo che molte volte me le sono trovate sul tavolino con i libri di testo, senza un reale motivo. Ad ogni modo, sfogliando il catalogo di una recente mostra dell’artista strapagato Damien Hirst, non posso evitare di interrogarmi sulle reali differenze che intercorrono tra il suo squalo appeso ai fili (un quarto di milione di sterline) e le tartarughe della Specola, che stanno lì a prendere polvere da milioni di anni, e te le barattano per un pacchetto di Marlboro Light. Immagino che la mia possa essere una posizione facilmente descrivibile come reazionaria, ma vi assicuro che ogni forma di polemica è bandita (almeno per oggi); si tratta solo di curiosità. Un’opera di Hirst -chiamata Nel Nome Del Padre- è una colomba impagliata che spicca il volo. Il magazzino ornitologico della Specola (ma temo che questo valga più o meno per tutti i musei naturalistici al mondo) possiede un esubero allucinante di volatili impagliati, esattamente nella posizione dell’uccello di Hirst (e scusate il doppiosenso da film dei Vanzina.) Tuttavia non nego che Damien Hirst sia un personaggio curioso e -senza dubbio- un artista di spessore. Indipendentemente dal tenore delle sue opere. Poiché l’arte -almeno nell’ultimo secolo- è diventata un surplus non necessario alla figura dell’artista, che ha trovato il modo di sostituirsi al suo stesso prodotto. Mi spiego meglio. Leggendo l’intervista di Will Self a Damien Hirst viene fuori che l’impagliatore di squali è un individuo con una visione delle cose assai interessante, nonché proprietario di alcune ossessioni fascinose. Tuttavia è evidente che l’opera d’arte che porta in giro Damien Hirst è damienhirst stesso (dal Messico alla Russia se ne sbattono dei suoi Cuori Di Toro Puntellati Da Aghi; tutti vogliono vedere il Personaggio che entra dalla porta principale, e manda tutti ‘affanculo) così come nella Factory ognuno spingeva per incontrare Andy o Lou Reed, che valevano molto più di una zuppa Campbell dipinta sulla tela, o i due accordi di Sweet Jane. D’altronde in Hirst c’è molto di Warhol, sia nelle secchiate di vernice tirate su sfere rotanti sia negli assistenti-harem sempre alle spalle. In entrambi -da profano- direi che esiste un clamoroso senso di presa per il culo destinata a una elite di individui (la cosa non è molto lontana dal Totò quando vende la fontana di Trevi.) Tutto questo insieme di parole però si deve inchinare davanti all’opera somma di Hirst, anche se non è stata fatta da damienhirst in persona, stavolta, ma da un suo artista-fan: «Testa Di Saddam Hussein In Uno Strano Liquido Verde.» Starebbe alla grande accanto al mio scaffale Ikea (Flor-kje, 19 euro), non fosse per il prezzo un po’ alto.  

 
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Commenti al Post:
toorresa
toorresa il 25/03/09 alle 04:57 via WEB
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