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Wrong turn

Post n°82 pubblicato il 09 Febbraio 2009 da sottoilsette
 

Questo piccolo racconto partecipa al gioco letterario "Incipit" promosso da Writer, che consiste nello scrivere un racconto partendo dallo stesso inizio. Il link per il gioco (con le sue poche piccole regole) lo trovate qui:


Piccola premessa per il mio pezzo: ho violato una delle regole (i 5000 caratteri totali), per cui automaticamente rischio la "squalifica". Onestamente, non me sento di rimettere mano al pezzo, ma spero che Writer mi perdonerà. Se no, pazienza (le regole son regole, lo sapevo da prima). Diciamo che almeno ho fatto frullare le dita ;-)



Era una magnifica giornata, tiepida e trasparente. Le montagne formavano un semicerchio di vette innevate e sembravano così vicine da poterle toccare allungando un braccio. Le otto del mattino. Pareva impossibile che avesse potuto rovinarsi in quel modo la sera prima…


 


Le previsioni lo avevano detto, il tempo non era dei migliori. Ma Anna aveva bisogno di staccare, non ne poteva più di quei giorni che passavano via tutti uguali, grigi, ognuno la fotocopia più sbiadita del precedente.


E Gianni la amava troppo per non cogliere questa occasione. Aveva messo da parte i soldi per mesi, cercando di farle quella sorpresa per il compleanno che lei proprio non voleva festeggiare.


Ci aveva pensato a lungo se portarla lassù, ma parlando con gli amici si era convinto.


Se la ami tanto, dovrai insistere – gli aveva detto Pietro – l’ultima cosa che vorrà sarà festeggiare, o qualunque cosa gli assomigli.


Era vero. Non ne aveva voluto sapere a lungo, e la sua unica reazione era stata una sfilza di no e ancora no. Ma era determinato a portarla fuori da quella casa anche giocando sporco, se necessario. La prese per stanchezza o apatia, nemmeno se lo ricorda più come fece. Aveva prenotato per quel piccolo paesino in montagna mesi e mesi prima, secondo le indicazioni dei suoi amici che facevano sempre settimane bianche alle quali li avevano invitati entrambi senza riuscirci mai. E come li invidiava tutte le volte per le foto e i racconti di piste e discese, di cioccolate calde e grandi mangiate di polenta ogni benedetto Febbraio. Prima o poi verremo, prometteva ogni volta che si finiva a parlare di queste cose in quelle cene, sapendo bene in fondo al suo cuore che non avrebbe mai mantenuto quella promessa. Del resto, era assolutamente negato per gli sci, ed in fondo anche lei non è che ne fosse così entusiasta. E poi Paolo gli prendeva troppo tempo per pensare ad una vacanza sulla neve. Magari quando sarà un pochino più grande ci andremo tutti e tre insieme, si diceva, e intanto gli anni passavano.


Te l’avevo detto che era una pessima idea - le disse lei come a sottolineare le discussioni che avevano avuto sull’argomento nelle ultime settimane. Che poi non erano le uniche. Ma che comunque rappresentavano tutto il dialogo che c’era tra di loro, ormai.


Vedrai, siamo quasi arrivati - le rispose, mentre un rivolo di sudore freddo gli colava da una tempia.


Se lo dici tu - le rispose senza alcuna intonazione, voltandosi dall’altra parte.


Ormai si era fatto buio da un bel po’, e il Tom Tom aveva finito di dire le sue ultime indicazioni da altrettanto tempo, morto insieme al cellulare sul quale era memorizzato. Di cartelli stradali non ne vedeva, e la sua sicurezza di riuscire a trovare l’albergo della signora Franca in quel paesaggio appena accennato dalle ombre di quella strada di montagna sembravano davvero poche. Il segnale del cellulare di Anna, che cominciava a mostrare ormai un’unica tacca di carica, andava e veniva con quel maltempo, e anche la cartina sembrava ormai inutile.


Tornare indietro o andare avanti, si domandava in continuazione, e intanto cercava di sembrare meno preoccupato di come realmente si sentiva. Avanti, si disse. Avanti.


Senza preavviso tutto il mondo cambiò la sua prospettiva. Forse fu una botta di vento, forse una piccola frana su quella strada sempre più stretta. Forse un albero caduto. La macchina non obbedì al volante né a quella che doveva essere la gravità. Anna non urlò nemmeno. Come se fosse destino. Gianni ostinatamente teneva il volante come se contasse qualcosa, mentre la macchina scivolava verso il fianco della montagna, sempre più in basso, sempre più in basso...


La prima cosa che vide fu un tronco, al di là del parabrezza infranto. Anche se la prospettiva gli sembrava incredibile, assurda. A fatica ruotò il collo per guardare alla sua destra, spaventato di quello che avrebbe potuto vedere. Anna era immobile, silenziosa, al di là della portata del suo braccio che non riusciva a muovere, anche lui con una prospettiva illogica. Forse era il dolore, ma non poteva muoversi, respirava a fatica.


Realizzò che non avrebbe potuto uscire dal veicolo, né aiutare sua moglie. Tentò di ruotare il collo dall’altro lato, verso lo sportello. Niente. Sembrava completamente incastrato. La cintura non lo aiutava, tenendolo schiacciandolo contro il sedile. Cercò di muoversi, di liberarsi, quando un oggetto gli cadde in testa. Era il suo portafogli, che chissà come in quel ruzzolare era finito sopra di lui e adesso, come uno sberleffo, rimbalzava e si spalancava al di là del parabrezza, sul cofano, aprendosi sotto l’agitarsi del vento e liberando la patente, la carta di credito, le banconote, là. A pochi centimetri da lui.


Fuori.


Chissà dove, al buio.


E al freddo.


Nemmeno si stava rendendo conto di stare piangendo per la disperazione e la paura che un ultimo pezzo di carta cominciò a uscire dal portafogli, rimanendo appena trattenuto e sbatacchiando di fronte alla sua faccia.


La foto di Paolo, che aveva sempre con sé.


No, diceva silenziosamente mentre guardava i suoi occhi, no, ti prego, resta, non te ne andare.


Non te ne andare, è troppo presto.


Senza di te non siamo niente, non lo capisci?


La foto sembrò fermarsi, nonostante il vento forte, per un attimo. Solo per un attimo. Poi volò via. Scomparendo nel buio.


Le ultime energie di Gianni sembrarono lasciarlo in un attimo. Il freddo lo chiamava. E lui non aveva più la forza di respingerlo. Si voltò verso Anna, e silenziosamente le lanciò un bacio, sperando che le arrivasse.


Poi chiuse gli occhi.


 



Se esistono gli angeli custodi, certo non li immaginavo brutti come te, Gino -  disse la signora Franca – e sicuramente non bevono grappa.


Gianni ritornò in sé. Era ancora incantato da quella immagine da cartolina che aveva davanti gli occhi. Si massaggiò il braccio ingessato e finì di bere la sua cioccolata calda.


Gianna, non ti lamentare e passami un altro giro, che me lo sono meritato – rispose l’omone mettendosi a sedere di fronte a lui.


Bevi, bevi, che poi vedi i fantasmi. Io non mi metterei a guidare i camion se poi il pieno lo fai tu invece del mezzo – ribatté la signora unendosi ai due al tavolo. -


Ridimmi ancora come è che ti sei trasformato nell’eroe del giorno.


Ancora… io stavo venendo qui quando, per rimanere sveglio dopo… un goccetto, ho tirato giù il finestrino per prendere un po’ d’aria fresca e… non mi va a piantarmisi sulla faccia una foto? Ma da dove diavolo veniva, mi son detto! Ho inchiodato la belva e mi sono guardato intorno. Ho visto un piccinin  che indicava verso la scarpata e mi son detto Dio Bono, ma chi va in giro a quest’ora a piedi! Mi sono avvicinato ed era solo un albero con un ramo piegato… alla luce dei fari  sembrava chissà che… mi stavo per rimettere a guidare e non mi vedo nella direzione indicata da… da quel ramo una patente, e più in là una banconota da cento? A quel punto mi son detto qui c’è qualcosa di strano e ho guardato meglio. E ho visto le tracce di un incidente. Ho preso la torcia e l’ho puntata dabbasso. E ho visto l’auto di questo poareto qui. A quel punto ho chiamato il soccorso alpino e li han portati in ospedale.


Appena in tempo prima di congelare, direi – aggiunse la signora. – A proposito, sua moglie come sta?


Gianni guardò la foto di suo figlio trattenendo a stento una lacrima.


Non bene, ancora no – rispose guardando oltre le montagne - Ma sono sicuro che una speranza di riprendersi ce l’ha.


 


 




 

 
 
 
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