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Un blog creato da Secondaprospettiva il 06/11/2009

TeatrodiFollia

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ARIA FRESCA

Post n°3 pubblicato il 18 Dicembre 2009 da Secondaprospettiva

 

Prese una Marlboro dal pacchetto quasi finito. Dove cavolo era l’accendino? Certi oggetti hanno il potere di sparire quando li cerchi. Ah, no, eccolo, ce l’aveva in tasca. Il solito distratto. E il posacenere? Maledizione. Era incazzato nero, doveva fumare. Non che l’incazzatura sarebbe passata, ma almeno poteva dire di aver fatto il possibile. Finalmente lo trovò: sopra l’acquario. Come cavolo era finito lì? Non aveva alcuna importanza.

Fissava lo schermo, guardando fotografie. Attimi di felicità. Molte erano sfocate, mosse, buie. Amava le fotografie, la loro capacità di costruire un’ Immagine, un Istante. Molto meglio di un video: il movimento toglie qualunque mistero, il suono non può che essere una copia malriuscita di un rumore, di una voce, di una risata. In una foto invece puoi perderti, tanto a lungo quanto desideri, osservare dettagli che prima avevi trascurato. Con le foto sei tu e loro. Nessun altro. E la cosa che lo intrigava di più era che intorno ad una foto non c’è nulla, può passare il tempo, tutto può cambiare, e lei resta lì, uguale a sé stessa. Non ci sono catene a ciò che una foto rappresenta. La foto è lei, e basta. Non deve rispondere a nessuno, né ad amicizie finite, né ad amori consumati, né tantomeno alle mutazioni che lo scorrere del tempo necessariamente, prepotentemente, porta con sé. La foto è una sfida alle leggi della fisica.

Telefono. Era la società del gas. Risultavano delle incongruenze nelle letture del mese scorso. Problemi tecnici legati ai nuovi contatori elettronici. Tecnologia utile. Comunque nei giorni successivi avrebbe dovuto attendere gli addetti che avrebbero provveduto alla manutenzione. Avrebbe buttato una mattinata di lavoro. Molto bene. Ci voleva un’altra sigaretta. Era l’ultima.

La guardava sorridere. Mentre dietro di lei il mare faceva di tutto per bagnarli. Quella foto gliel’aveva scattata in un pomeriggio di novembre, pareva che in tutta Ostia non ci fossero che loro. Le località di mare avevano il grande vantaggio - che lui amava - di sembrare disabitate nei mesi invernali. Quelle spiagge deserte, fino a qualche mese prima affollate al limite delle loro capacità - della loro pazienza - ti illudono di essere tue, di volere solo te. Le spiagge d’inverno sono splendide prostitute giapponesi. Era stato il periodo più bello della sua vita. Un bel giorno era comparsa, tutto qui. La loro storia non aveva seguito un “iter”, come sempre succedeva. Era nata e basta. Parlavano come due amici che ricordano i tempi passati, intimi e complici. Come se si stessero raccontando le storie della propria vita, ma essendosi già conosciuti in una vita passata. E amati. Non riusciva a ricordarsi di un momento in cui loro non erano ancora Loro. E questo fatto lo affascinava più di ogni altra cosa, più di quanto non lo avesse affascinato chiunque altro prima di lei. Ogni cosa che facessero insieme era come una conseguenza diretta di ciò che erano. Se avvicini il fuoco alla benzina, la benzina esplode. Se ti tagli, senti dolore. Fin dall’inizio ogni cosa era stata normale, e tutto ciò era straordinario.

Di nuovo quelli del piano di sopra. Coppietta di sposini, trasferiti da un mese nell’appartamento sopra il suo. Sembrava che non avessero la televisione, ogni sera la stessa storia. Il condominio era di moderna concezione. Materiali nuovi, ottima resistenza, erano stati possibili grossi risparmi di denaro. Il risultato concreto era che i pavimenti sembravano fogli di carta, così come le pareti. La conseguenza del risultato concreto era che, in questo momento, sentiva le molle del letto cigolare come se ci fosse seduto sopra.

Telefono di nuovo. Stavolta, la coscienza sporca fa brutti scherzi, non fu sorpreso di sentire la voce del suo capo, che lo esortava a migliorare la qualità del suo lavoro, che ultimamente lasciava a desiderare. “Dove hai la testa?”, diceva. Bella domanda.

Era già pronto ad aprire il secondo pacchetto di sigarette della giornata, quando squillò nuovamente il telefono. Era lei.

-         Sono già a Roma, ho anticipato di due giorni, sono arrivata ora in stazione.

-         Ti vengo a prendere.

Lasciò le sigarette sulla tastiera, prese le chiavi della macchina. Scese le scale a piedi, apri il portone. Per strada c’era aria fresca. Sorrise.

 

FP

 

 

 

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