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Perfidie di Stefano Torossi

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Pigrizia postnatalizia

Post n°259 pubblicato il 12 Gennaio 2014 da torossis

  IL CAVALIER SERPENTE

 Perfidie di Stefano Torossi

   13 gennaio 2014

    PIGRIZIA POSTNATALIZIA

                                                                                                   

Evidentemente il clima delle feste ancora fluttuante, sommato ai postumi da sovralimentazione ed eccessi etilici continua a produrre i suoi effetti. Fatto sta che uno di questi effetti, la pigrizia, aggiunto alla sollecitazione a cui da parecchi giorni ci sottopongono le pagine dei giornali che pubblicizzano la prossima uscita sul mercato di ben cinque CD di Ludovico Einaudi ci ha spinti, anziché scrivere qualcosa di nuovo, ad andare a frugare in archivio e a ripresentare un nostro vecchio uovo avvelenato del 24 settembre 2012, intitolato appunto: "Einaudi e gli spinelli". Eccolo.

                   

Parco della Musica di Roma (ricordiamoci che siamo andati indietro al 24/9/2012). La conferenza stampa di presentazione della Stagione Contemporanea è piuttosto moscia, non per il progetto, interessante, o per l'organizzazione, puntuale e corretta, ma perché i tre signori al tavolo: Fuortes, amministratore delegato; Regina, presidente; Pizzo, curatore; risultano incapaci di raggiungere la soglia della nostra attenzione. Atmosfera che precipita nel funereo con l'intervento di Einaudi che proprio non ha il dono dell'eloquenza. Le sue lente parole escono faticosamente picchiettate di ehm, e beh, e mah soporiferi (continuiamo a pensare che la maggioranza dei musicisti dovrebbe aprire bocca solo per ficcarci dentro uno strumento).


Si comincia il 22 settembre con "The Elements" del medesimo: prima assoluta. Il colpo d'occhio è magnifico. La sala dell'Auditorium è un'immensa caverna arcaica per i legni che la foderano tutta, moderna per i ponti sospesi dei fari e le curve fonodinamiche delle superfici. Scenografia essenziale ed elegantissima, con la sapiente esposizione di ogni percussione esistente, più qualcuna che ci è parsa inventata per l'occasione (più tardi ascolteremo anche lastre di metallo fatte vibrare nell'acqua). Cinque grandi sfere traslucide sospese, che vedremo salire e scendere lungo i cavi e illuminarsi di luci candide, e cinque solisti: quattro percussionisti della PMCE più Robert Lippok, pilota dell'elettronica. Tutti in nero, su fondo nero, con i loro strumenti scuri o incendiati di bagliori metallici sotto i fasci bianchissimi dei fari. Festosa l'atmosfera di attesa di un evento che sa già di buona riuscita. Poco a poco il teatro si riempie di un pubblico ben disposto. Schizzo di colore romanesco quando un burino si affaccia dalla galleria e a gola spiegata chiama un suo fratello in platea: "Aho! Poi se n'annamo a cena!" Non stiamo allo stadio, ma loro non lo sanno.


Buio in sala, scenografico riaccendersi graduale di poche luci bianche in tutto quel nero ed ecco che, mentre intuiamo i cinque compagni di avventura, neri su nero, ai loro posti sul fondo, entra Ludovico Einaudi (e qui ci sentiamo costretti a riproporre una nostra fissazione: l'abbigliamento di scena, inteso anche come rispetto per il pubblico) con addosso la solita giacchetta, la solita maglietta, i soliti pantaloni sformati. Naturalmente non abbiamo qui intenzione di sbertucciare chi non veste Armani. Vogliamo solo dire che quando uno sale sul palcoscenico ha prima di tutto l'obbligo (o almeno dovrebbe avere l'astuzia) di guardarsi allo specchio, magari con l'aiuto di un consulente, e poi adottare i provvedimenti del caso (abito, trucco e look in generale). Il maestro si avvia al gran coda, piazzato con la tastiera verso il pubblico, e la serata ha inizio.


Comodi nella nostra poltrona ci lasciamo andare all'ascolto, e a un certo punto, circa a metà della faccenda (che in tutto durerà un'ora e mezza) abbiamo la sensazione che ci manchi qualcosa. La musica va: molto rarefatta, molto ripetitiva, priva di filo melodico o di sviluppo armonico riconoscibile, anche se ricca di qualche bella sonorità, e noi a nostra volta riandiamo a un nostro momento in India, esattamente trentanove anni fa, sulle rive del Gange, al tramonto, mescolati a un gruppo di fricchettoni figli dei fiori ad ascoltare per ore e ore il sitar di un Ravi Shankar locale, convinti di essere a un passo dall'illuminazione. Per renderci poi conto che la scalata verso l'immenso non dipendeva dalla musica, ma dal forte quantitativo di spinelli (o peggio) consumato durante l'ascolto.

Ecco cosa ci manca in sala: un bello spinello! Peccato, perché dopo questa raggiunta consapevolezza ci siamo trovati ad affrontare altri tre quarti d'ora di suoni rarefatti, ripetitivi, privi di filo melodico e di sviluppo armonico; e senza nessun supporto psicotropo.


Applausi deliranti, standing ovation, richiesta di bis, concessi, e fuoruscita di pubblico felice.

E noi; che dire? Non vogliamo certo sostenere che se una composizione non contiene melodie, armonie e contrappunti, insomma una struttura articolata, non ci piace; anzi le novità, ma quelle vere che provano a scardinare il sistema, ci entusiasmano, ci irritano, ci seminano la testa di dubbi; comunque ci fanno pensare.

Anche la musica di Einaudi ci ha fatto pensare, ma solo agli spinelli sul Gange.



                                      

 
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Commenti al Post:
Utente non iscritto alla Community di Libero
Babula il 13/01/14 alle 00:27 via WEB
Mi ricordo questo uovo, ma lo rileggo volentieri con piacere č un uovo sicuramente ben covato. Ne aspettiamo perņ con piacere uno fresco.
(Rispondi)
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