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Perfidie di Stefano Torossi

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Sanremo duemilaquattordici

Post n°265 pubblicato il 24 Febbraio 2014 da torossis

 

  IL CAVALIER SERPENTE

   Perfidie di Stefano Torossi

     24 febbraio 2014

     SANREMO DUEMILAQUATTORDICI


Eccoci qui, in postazione con bottiglie e bicchieri. Che Dio ce la mandi buona.


Martedì 18 - LA PARROCCHIA


Mondaini e Vianello, ovvero Littizzetto e Fazio, solita formula: lei monella sgangherata, lui professorino perbenino. Forte insistenza di lei su: "me la sto facendo addosso" in apertura; minaccia di rima sui nomi di Gualazzi e Baglioni; "merde!" alla Casta (che, siccome è francese...); e addosso alla povera Arisa, che di cognome fa Pippa, e quindi si offre indifesa alla battuta.

E poi, l'ennesimo tuffo minacciato da parte di due poveracci, veramente (o forse per finta, altrimenti come avrebbero fatto ad arrivare in cima al ponte luci?) disperati. Inevitabile rivedere Sordi, "Un americano a Roma", disoccupato in cima al Colosseo che minacciava lo stesso tuffo, e la sacrosanta voce fuori campo: "Bùttete!" E invece nessuno si butta mai, che sarebbero cinque minuti di spettacolo assicurato. Anzi, il ricatto rientra sempre. Peccato.

Dichiariamo la nostra riluttanza verso canzoni come "Creuza de ma", in cui il testo schiaccia la musica in una nenia ripetitiva (è un po' tutto il repertorio di De Andrè). Eppure il termine canzone dovrebbe garantire par condicio tra parole e musica. Potremmo suggerire (ma forse non è carino) il confronto con "Father and son" di Yusuf Islam, venuto poco dopo, in cui davvero i due elementi sono allo stesso livello, peraltro stratosferico, e questo forse fa la differenza.

Blandissima, parrocchiale trasgressione le stanghette di colori differenti sugli occhiali di Frankie Hi-nrg, insieme alle scarpotte, alla molletta al pantalone e alle mosse da bamboccione impacciato, in contrasto con il visibile tentativo di apparire rivoluzionario grazie al modernissimo concetto: "Hai voluto la bicicletta, pedala più in fretta".

Trionfo del riempitivo, sempre parrocchiale, con la scenetta fra Fazio e la Casta. Testo tirato con l'elastico sul solito gioco: lei bellissima e irraggiungibile (e senza un briciolo di umorismo), lui timido e imbranato, un po' in italiano e mezzo in francese, con mossette di repertorio e, nel vaso sul tavolo, il fiore finto che si ammoscia o si drizza a seconda delle battute. Applausini e velo pietoso sull'intonazione di Laetitia.

Pochi per fortuna, ma apparentemente inevitabili, i saluti con lo sguardo alzato verso le nuvole (dove sicuramente stanno dirigendo il coro degli angeli) a due illustri trapassati: Jannacci e Freak Antoni. Un po' di patetico ci sta sempre bene, in parrocchia.


Mercoledì 19 - IL PASSATO RITORNA


Prefestival di Pif. Continua l'andazzo parrocchiale con lo sketch floreale Pif - Casta basato su un argutissimo gioco di parole tra il ranuncolo e il foruncolo. Un momento autorale di grande livello. Un momento di vero horror lo viviamo invece con un primissimo piano del sudore di Grillo scalmanato (mentre qualcuno della folla si lamenta: "Quanto sputa questo!").

Apertura con sbrodolatura sociobuonista. Claudio Santamaria legge la lettera del maestro Manzi ai suoi allievi di quinta. Anche se troppo lunga, la lettera un suo significato ce l'ha. Che manca del tutto al banale e non necessario pistolotto di commento dell'attore. Bastava e avanzava la lettera. Mai improvvisarsi filosofi se non lo si è.

Il passato ritorna, e uno. Le mitiche Kessler sgambettano ancora molto elegantemente. Come con la Carrà ieri, stiamo oltre la settantina, eppure le gambe volano sciolte. Quello che con loro non ha mai decollato è l'accento (italiano, naturalmente) perché quello tedesco, bello forte, è ancora lì dopo cinquant'anni dichiarati di permanenza da noi.

Anche lui con un fortissimo accento, ma altoatesino, si presenta Armin Zoeggeler, campione italiano di slittino. La vera caricatura dello sportivo tonto. Non un lampo di ironia, che forse è chiedere troppo. Ma almeno di vaga consapevolezza. Niente: sta lì come un tronco di abete, testardo ripete la lezioncina fino in fondo, e poi se ne va.

Seguono aforismi di Fazio & Littizzetto. Ma non cinque o sei, non dieci o dodici. Di più, troppi. Rischio nausea per eccesso di offerta.

Il passato ritorna, e due. Franca Valeri. Novanta e passa, ma a parte l'atroce fatica di ascoltarla parlare, che classe, che tenuta di palcoscenico. Fa una delle sue famose scenette al telefono, di bachelite anni cinquanta. Trionfo.

Segue un momento che ci è sembrato ingiustificabile. Con la Valeri seduta ferma e zitta in scena, arriva la Littizzetto, che a sua volta fa un lungo monologo al telefono, ma stavolta a un cellulare di ultima generazione. Anche divertente, però ci viene da chiederci perché invitare una gran dama in età, e poi tenerla ferma e muta mentre una giovanetta (si fa per dire, ma al confronto...) la sbertuccia con lo stesso tipo di trovata, ma scioccamente più giovanile. Ci hanno detto che andava interpretata come un omaggio. A noi è sembrato cattivo gusto e niente di più.

Attenzione, arriva un altro sportivo: il pugile Clemente Russo. Quando i muscoloni sono solo tonti, va bene, ma quando, come lui, cercano di fare gli spiritosi, aiuto! E' che l'arguzia non è prevista nella dotazione di un atleta. Speriamo che non ci legga perché ci è sembrato piuttosto temibile.

Anche in questa puntata, per fortuna c'è l'ospite straniero, che rialza il livello. Rufus Wainwright. Canta benissimo, con una sensibilità straordinaria. Simpatico, anche se del tutto superfluo, il suo outing. Si capiva comunque.

Per completare il ritorno del passato (relativo, perché ha solo sessantadue anni) abbiamo avuto anche Baglioni sul quale, per prudenza, è meglio non dire niente di male.

In tutte le quattro ore del programma, neanche un saluto ai cari estinti, e questa è una buona cosa. L'altra buona cosa è che pare accertato che i due finti suicidi della prima serata siano dei disturbatori professionisti, finiti regolarmente al commissariato. Almeno ci rimane la consolante speranza che la maggior parte di chi ha problemi veri non va a fare il buffone a un varietà televisivo.


Giovedì 20 - LA STANCHEZZA


Da Pif, nel suo prefestival, siamo informati che i biglietti per le cinque serate costano 670 € in galleria, e 1.200 in platea. Non è una grande notizia, ma riferiamo e andiamo avanti.

Apre lo spettacolo un altro omaggio al caro estinto. Più che meritato. E' Claudio Abbado, rappresentato sul palco da Diego Matheuz che dirige l'Orchestra della Fenice con gesto che ci appare sorprendentemente privo di eleganza e di carisma. Dev'essere un inganno ottico per noi spettatori, perché lui è considerato un ottimo direttore della scuola per giovani patrocinata appunto dal commemorato. O forse sarà la stanchezza che comincia ancora prima di cominciare?

Peccato perché il tema della bellezza, scelto come guida del festival di quest'anno, è sempre stato caro ad Abbado, e, ci eravamo dimenticati di dirlo, ottimamente sostenuto ieri sera da Gian Antonio Stella con la semplice e nello stesso tempo fortissima annotazione che invece la bruttezza è, insieme al degrado, l'alleata perfetta delle mafie. Se tieni le persone lontane dal bello, non avranno mai la forza di reagire, mollare l'immondezza e andare a cercarlo, anche solo e semplicemente perché non sanno che esiste.

Stanco e scollato il monologo moraleggiante della Littizzetto. Sull'handicap, sull'accanimento contro le rughe, i segni dell'età, le tette mosce (testuale), argomento non proprio freschissimo. Lungo, lungo, lungo. Accompagnato da stanchi applausi e risatine di cortesia, con un guizzo, l'unico che ci è parso spontaneo del pubblico, su indovinate cosa? Ma un "vaffanculo" naturalmente!

Un momento di riscatto con la trovata degli A Cappella All Stars. Ben congegnata, buona musicalmente e divertente l'ammissione di Fazio che stavolta il disturbo lo aveva organizzato lui.

Bene Arbore, che è sempre garbato e piacevole. Poi anche lui sconfina nella festa di piazza: tutti in piedi a battere le mani a tempo, e via con "Come facette mammeta".  Nazionalpopolare.

Come lumache strisciamo in avanti in attesa del sonno che sentiamo arrivare. Ci sorbiamo il non antipatico astronauta Luca Parmitano, che però anche lui, dopo accorti (e nazionalpopolari) accenni culturali al Piccolo Principe, scivola alla fine sulla melassa dell'immensità del cosmo che scompare di fronte all'amore per la famiglia. La sua, naturalmente, ma anche quella di tutti gli altri italiani.

Amen.


Venerdì 21 - LA GARANZIA


La garanzia di ascoltarci un bel po' di canzoni sicuramente belle, perché filtrate e confermate dal tempo. Stasera non stiamo in pensiero: l'unica variante è l'interpretazione. Per il resto, tranquilli: il Club Tenco è responsabile della qualità.

Dopo un patetico siparietto, nella solita anteprima, di poveracci che fanno i sosia di Pavarotti e di Venditti, e ci credono, comincia lo spettacolo con big o meno big che provano, rischiando molto e non riuscendoci troppo spesso, a rifare brani famosi del passato.

Apre Mengoni, che va a riesumare "Io che amo solo te". Non ha la malinconia, e soprattutto la voce di Endrigo.

E da qui parte una bella sfilza di audaci sfide che vi risparmieremo, salvo comunicarvi la seguente nostra classifica: il migliore, Ron con "Cara" di Dalla; il peggiore Gualazzi con "Nel blu" di Modugno; la più bella schiena del festival, Simona Molinari, insieme a Rubino in "Non arrossire"; la più ricca bigiotteria, i chili di anelli, braccialetti, collane che bardano Renga in "Un giorno credi"; il momento più inquietante in "Il mare d'inverno", il duetto Ferreri - Haber con quest'ultimo in stato confusionale e camicia aperta da vecchio playboy su un decolletè grigio che sarebbe stato meglio celato sotto una cravatta ben stretta.

Impagabile momento di involontario (?) umorismo di Paoli, il quale cita tutti gli artisti della scuola genovese: Lauzi, Bindi, Tenco, De Andrè ma lascia fuori sé stesso. A Fazio che gli chiede perché, risponde: "Perché io sono ancora vivo".

Il che ci induce a proporre un paio di formazioni di riferimento fra gli storici autori delle storiche canzoni di questa serata speciale (così facciamo pubblica la nostra inclinazione verso lo spirito funerario): la squadra dei vivi e la squadra dei morti.

Della prima fanno parte (in ordine di esecuzione): De Gregori, Zucchero, Conte, Fossati, Bennato, Battiato, Paoli, Ruggeri, New Trolls, Daniele, Lolli. Della seconda: Endrigo, Dalla, Lauzi, Tenco, Bindi, Modugno, De André, Gaber, Mia Martini. Vincono i vivi per 11 a 9.

Per rimanere in tono, ecco a un certo punto l'annuncio del decesso in un incidente stradale di Francesco Di Giacomo, Banco del Mutuo Soccorso.

Basta. Chiudiamo qui l'argomento.


Passiamo all'esilarante numero di prestidigitazione in cui la perfida Littizzetto nel ruolo della cavia riesce a spiazzare quel salame in frak del mago Silvan, smontandogli ogni mossa, ogni comando, ogni agitare di bacchetta e trasformando la magia in sghignazzo. Brava!

E vale la pena di chiudere con Brignano e il suo omaggio ad Aldo Fabrizi. Uno di quei numeri del vecchio varietà, che molti ricordano con nostalgia, e della cui scomparsa, speriamo definitiva, noi invece ringraziamo il cielo. Il comico, in frak, canta accompagnato da smorfiette, occhiatacce e prevedibili spernacchiamenti del trombone; e conclude ogni ritornello con battute da vecchia provincia povera: puzza di piedi, mortacci tua, e simili.

R.I.P.


Sabato 22 - BASTA


Siamo in ritardo, quindi cominciamo precariamente l'ascolto dell'ultima serata alla radio di bordo mentre acceleriamo per essere a casa entro un'ora decente. La scenetta del matrimonio Fazio - Littizzetto celebrato da don Matteo probabilmente diverte da vedere, non altrettanto da ascoltare.

  Mentre invece, 30 chilometri di autostrada (qualche volta abbiamo superato il limite di velocità) con Crozza ci sono sembrati francamente troppi. Non c'è dubbio che qualche peperoncino Crozza riesce sempre a infilarlo nel pappone, ma se poi la porzione è troppo abbondante, va a finire che il tutto diventa indigesto. E ancora ci sfugge, ma forse lo capiremo in seguito, perché, nella sua imitazione, Renzi abbia la voce di Jerry Lewis.

Alle 23.09 sprofondiamo nel divano davanti alla TV con la Littizzetto in maniche a sbuffo che fa la picciona, poi c'è Rubino e la sfilata dei concorrenti.

Salamelecchi dei presentatori alla Cardinale che, civettando sulla propria bellezza, legge i premi della critica. Da quasi coetanei ci corre l'obbligo di esternare un nostro vetusto concetto di gestione del pericoloso binomio vecchiaia e bellezza.

La prima arriva implacabile (l'alternativa è peggio), l'altra altrettante implacabilmente se ne va. Chi ci si trova in mezzo deve avere la capacità di mettere a frutto quel poco o tanto di esperienza che è entrato in magazzino, e il buon senso di abbandonare, appena si rende conto che è arrivato il momento, qualsiasi bamboleggiamento e insistenza sul perduto fiore dell'involucro esterno.

Facile da dire, certo, e difficilissimo da mettere in pratica.


Scendiamo dall'olimpo della saggezza e occupiamoci, prima di chiudere, di Stromae, cantante spilungone, metà belga, ma con l'aria di stare meglio nell'altra metà, quella ruandese. Costui presenta la canzone di un ubriaco maleducato e infelice che tenta malamente di avvicinare una passante. Drammatizzazione di un buon brano, ma con linguacce e barcollamenti davvero un po' troppo pesanti e insistiti, e con un discutibile finale: lo sbronzo cade a terra fulminato dall'alcool. E quando è giù cosa fa? Accenna a rialzarsi e grida "Sanremo! Viva l'Italia!"

Si può essere più scemi? (o più furbacchioni?)


                                         



 

 
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Commenti al Post:
Utente non iscritto alla Community di Libero
Franco AQ il 02/04/14 alle 18:26 via WEB
Solo per segnalare che ho la netta sensazione che Renzi sia il sosia di Jerry Lewis. Ho confrontato tante foto e sembrano gemelli. Peccato che Jerry come comico è ancora un mito mentre ......
(Rispondi)
Utente non iscritto alla Community di Libero
federico il 13/04/14 alle 11:38 via WEB
Certo che fa un po' pena vedere un "critico" attempato che a quasi ottant'anni suonati scrive di musica attuale. Il vecchietto che scrive questi articoli fa bene a chiamarli perfidie, perché tali sono. Nulla hanno infatti a che vedere con la critica musicale. Ci sono critici di alto livello (pochi) e ci sono critici che scrivono semplicemente per sfogare le proprie frustrazioni perché sono stati musicisti mancati, compositori mancati e quant'altro. Mettiamo che uno tenta di fare il compositore ma alla fine non ci riesce tanto bene, perché la sua musica non è sufficientemente apprezzata. Costui può mettersi su un piccolo blog e sfogarsi con gli altri che forse qualcosa in più di lui l'hanno fatta. La vita è anche questo: sfogare i pochi anni rimasti in frustrazioni. Molti articoli di questo blog sono imbarazzanti: errori, incongruenze, contraddizioni ecc. Forse questo signore ha studiato musica alla scuola Radio Elettra. Poveretto, che pena.
(Rispondi)
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