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Perfidie di Stefano Torossi

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Malati gravi

Post n°263 pubblicato il 10 Febbraio 2014 da torossis

 

  IL CAVALIER SERPENTE

 Perfidie di Stefano Torossi

  10 febbraio 2014

   MALATI GRAVI


Collezionismo. Un argomento al quale sembra che nessuno possa rimanere indifferente: o non lo capisci, oppure ti fa ammalare. Domenica 2 febbraio all'Hotel Aran, settima edizione del Music Day di Roma, organizzato, bene, da Francesco Pozone. Ci raggiunge verso mezzogiorno di una infernale giornata di pioggia (la famosa bomba d'acqua che ha allagato mezza città, Tevere in piena e sobborghi impantanati) un nostro amico, dermatologo nel mondo reale, cacciatore di vinile in quel mitico universo di forsennati che costituisce il pubblico dell'evento. E' su di giri per l'occasione, ma distrutto di stanchezza per essere andato, sempre sotto l'infernale diluvio, alle sei di quello stesso mattino al mercato di Porta Portese in cerca di qualcosa di speciale. Malato grave, si definisce. Ma questo non gli impedisce di continuare la caccia a qualsiasi pezzo raro da aggiungere alla sua modesta (!) raccolta di venticinquemila dischi.

Il salone è gremito, molti gli stand. Ospiti vintage come Stelvio Cipriani. Si parla di compilation di vecchie colonne, si presenta "Discomania", catalogo-bibbia di settecento pagine destinate a gratificare le morbosità del vinilofilo. "Nuovo Ciao Amici", un periodico rinato dalle ceneri del passato festeggia Don Backy; e così via in una giornata proprio retrò.

A questo ritorno nel tempo ha davvero contribuito Tarantino. Per fortuna, invece di starsene tranquillo a Hollywood a fare i suoi film è venuto a ficcare il naso dentro la cassapanca della nonna dove stavano a fare la muffa colonne, temi, sonorità di qualche anno fa, e ha tirato fuori tutto. Benissimo per chi ha visto un bel revival di diritti SIAE da brani che ormai si davano per defunti. E anche per qualcun altro che vorrebbe essere nei suoi panni, e che può continuare a illudersi che non si passa mai di moda.

La manifestazione è anche un mercato in cui si trattano soprattutto vecchi LP, o forse potremmo dire le loro copertine, che all'epoca offrivano un perfetto spazio per invenzioni grafiche, fotografiche e pittoriche. C'erano addirittura quelle che si aprivano in tre. Trittici sull'altare del rock. Altra cosa dai miserelli CD di adesso. Ma i collezionisti, dentro le copertine ci vogliono anche i dischi. E non solo perché, già che ci sono, tanto vale tenerli. No, potrebbero essere proprio i dischi l'oggetto del desiderio. Però si tratta di supporti deperibili, e spesso deperiti, e allora neanche ci si pensa a metterli sul piatto e suonarli.

E' un po' una raccolta fantasma: il materiale sta piazzato su uno scaffale, e lo si tira giù di rado, per un minuto, per riguardarselo, per mostrarlo a qualche amico fidato o a qualche rivale da ingelosire. Forse il collezionista non ha nessun desiderio (e neanche il tempo. Abbiamo calcolato che per suonare venticinquemila LP ci vorrebbero dodicimilacinquecento ore, ovvero cinquecentoventi giorni, quasi due anni senza fermarsi mai) di ascoltare il suo amato, raro LP; gli basta sapere di averlo. Sta lì, al sicuro dentro la sua bella copertina. Non serve altro.

Da queste ultime righe forse si capirà che noi non siamo fra i forsennati, ci troviamo piuttosto dalla parte degli scettici. O meglio, non proprio scettici, tolleranti. Gli amici dall'altro lato della barricata, anche nel loro furore malato, speriamo che scuseranno la nostra insensibilità.


 

Basterebbe pensarci. Venerdì 7, alla libreria Koob (capito la trovata? book-koob) si presenta "Il sonno del reame" di Annarosa Mattei. Lo stanzone sotterraneo in cui ha luogo il fatto, raggiungibile in modo labirintico e anche un po' claustrofobico, ve lo andiamo a raccontare: piastrelle granulari verdoline a terra, quadri indescrivibili, anzi, sarebbe meglio dimenticabili, alle pareti, tavolo dei relatori miserando, un cannone zincato di aereazione che squarcia il soffitto. Particolari migliorabili, certo, ma con qualche spesa. E va bene, si sa, i soldi sono finiti. E' che questa cronaca è lo specchio di tanti altri pomeriggi del nostro gironzolare letterario, uguali, in stanzoni uguali; e ogni volta ritroviamo un'uguale imperdonabile disattenzione a un fatto.

L'illuminazione! L'elemento meno costoso, più intuitivo, più semplice da manipolare, e di effetto garantito. Bastano due faretti puntati sul tavolo; magari due piccoli abat-jour che facciano emergere dalle tenebre libri e occhiali; basta illuminare chi parla e lasciare nella penombra chi ascolta. Tanto più che la merce in vendita non è un'orata di cui è saggio riconoscere la freschezza dall'occhio, o un tessuto la cui trama potrebbe essere fallata. Si tratta di idee, sensazioni, emozioni. Roba che non richiede la vista, ma orecchio, cuore e un po' di immaginazione. E in più, sviando l'attenzione in questo modo, si risparmia sull'arredamento.

Invece, niente: sempre bianco, livido neon. Che proprio non dona né agli autori né ai lettori né, ancora meno all'opera.

Come detto in testa: basterebbe pensarci.

Del libro nulla possiamo dire perché non l'abbiamo letto, anche se le abili e affettuose parole dei relatori ce ne hanno fatto venire voglia. Abbiamo solo notato quanto sia fotogenico il De Chirico (uno dei suoi magici panorami urbani) che illustra la copertina. Ma questa è una osservazione frivola, mentre forse avremmo dovuto parlare con profondità dei contenuti. Un'altra volta.



PS. Credevamo di avere chiuso con l'argomento. Invece, di ritorno, pochi minuti fa, da un'altra presentazione ci ritroviamo a dover ripetere le stesse cose. Stavolta niente da dire sull'ambiente, il magnifico Museo Ebraico sotto il Tempio Maggiore. Salone strapieno; alle pareti preziose stoffe rituali e testimonianze dell'antica comunità di Roma; fra il pubblico rappresentanti di mondanità e cultura. Eppure le due poltrone e il tavolino riservati al presentato e al presentatore, Fabio Benzi e Paolo Mieli, anche questa volta erano smarriti in una mezza luce indistinguibile dal resto della sala, con il risultato di rendere appena visibili le espressioni e di dirottare l'attenzione perfino del più vivace fra i presenti. Eppure, anche qui, una lampada a stelo, due spottini, mica tanto di più...



                                         

 

 
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