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Perfidie di Stefano Torossi

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Messaggi di Settembre 2014

Questo è il prezzo

Post n°297 pubblicato il 29 Settembre 2014 da torossis

 

  IL CAVALIER SERPENTE

   Perfidie di Stefano Torossi

  29 settembre 2014

   QUESTO E' IL PREZZO

 

                                                                                                 

                                                                         

Quante persone arrivano da fuori e ci dicono, a noi che abitiamo a Roma: "Cosa avete fatto per avere gratis tanta bellezza?" Possiamo rispondere tranquillamente che spesso ce la fanno pagare.

20 settembre, Capo di Bove, Via Appia Antica 222, inaugurazione della mostra "Come il cielo fra le ali degli uccelli", opere inedite di Elisabet Norseng (insignificanti scarabocchi definiti minimali dall'autrice, in realtà solo brutti). Ore 13 concerto. David Alberman al violino solo esegue una straziante mezz'ora di squittii e stridori, presentati cercando di fare lo spiritoso, cosa che raramente riesce a un musicista specialmente se scandinavo, dal compositore Sven Kahrs.

Una faccenda spiacevole, irritante e soprattutto inutile. Questo è il prezzo.

Il premio è Capo di Bove, una meraviglia che ci ripaga del sacrificio. Terme private di una confraternita in epoca romana, casale dal medio evo fino al 1945, poi moderna villa di lusso; finalmente sede dell'Archivio Cederna, e museo dell'Appia Antica. Questi ruderi, abbandonati e coperti di terra la dicono lunga sul cambiamento di alcuni fondamentali costumi dall'epoca classica in poi: prima ci si lavava spesso e comodamente, poi, avanzando nei secoli bui e con il repressivo contributo della chiesa, l'igiene diventò un'abitudine molto sospetta, addirittura peccaminosa. Alla fine su questa sana pratica cadde l'oblio, con festa di pulci e cimici, e trionfo di pestilenze.

C'era anche, oltre a un gradevole tiepido sole, un simpatico rinfresco, del quale abbiamo approfittato per ammortizzare il tormento del violinista, adagiati sul prato con il panorama della campagna romana negli occhi e un bicchiere di ottimo bianco gelato, più fragranti ciambelline.

Precisamente con una ciambellina sotto i denti, lo sguardo ci è caduto su un antico mosaico esposto sul muro della villa. Proprio bruttino. Perché di mosaici, come di affreschi romani brutti ce ne sono, e parecchi. Naturalmente anche di bellissimi. L'importante è non credere che bastino venti secoli per trasformarli tutti in capolavori.


Stesso giorno, ma di sera. Oratorio del Caravita convertito in bagno turco da un'umidità asiatica. Strumenti d'epoca con corde di budello che, come si sa, appena c'è un certo grado di questo inconveniente, frequente a Roma, richiedono continui stop nell'esecuzione per essere tirate e accordate. Anche noi del pubblico grondavamo e avremmo avuto bisogno di un'accordatina. E questo è stato il prezzo.

Il premio: un'esecuzione superlativa del complesso Seicentonovecento, coro e orchestra con quattro eccellenti cantanti solisti, il tutto diretto con la consueta straordinaria partecipazione artistico ginnica da Flavio Colusso, che alla fine era fradicio come un pugile all'ultima ripresa. A parte il sudore ci è parso molto soddisfatto. Anche noi lo eravamo.

L'opera: "L'esaltazione di Mardocheo", oratorio semisconosciuto del semisconosciuto compositore Giuseppe Geremia, catanese di fine Settecento, recuperato, integrato, provato ed eseguito, come abbiamo detto, benissimo, per la prima volta in tempi moderni. Festival "I confini del barocco", un'iniziativa partita dalla Sicilia e approdata a Roma con questo ultimo evento che ci ha permesso di apprezzare l'eleganza e la intensa levità di questa musica, a noi fino a stasera ignota.


Villa di Livia a Prima Porta. Finalmente riaperta dopo anni di restauri. Non è rimasto un gran che, tranne la bellezza del posto, mozziconi di mura e qualche metro quadrato dei pavimenti originali. O meglio, l'impronta sulla base di cemento e qualche pezzo delle lastre di marmi pregiati che li facevano belli, abbandonate alla fine dell'Impero, insieme a tutto quello che non era difendibile dai barbari. Poi, crolli, incendi, radici, polvere. E i secoli.

Ma ancora peggio dei barbari invasori, della natura e del tempo, diventarono nel medioevo i rozzi artigiani che, come animali spaccavano tutto nel tentativo di recuperare le lastre, e invece si trovavano in mano solo schegge. E questo fu il prezzo.

Le schegge erano comunque bellissime e colorate. Le cave dei marmi africani, greci, iberici impossibili da raggiungere perché non c'erano più navi, cavatori, e civiltà. Gli artisti dovevano lavorare con materiali recuperati in questa immensa discarica classica.

Da questa insensata distruzione venne fuori l'arte di ritrovare i frammenti, sagomarli in piccole approssimative forme geometriche e con queste comporre quei magnifici tappeti che ancora ci troviamo sotto i piedi in moltissime chiese: i pavimenti cosmateschi. E questo fu il premio.


           


                                       


 

 
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Doh!

Post n°296 pubblicato il 21 Settembre 2014 da torossis

 

  IL CAVALIER SERPENTE

   Perfidie di Stefano Torossi

    22 settembre 2014

    DOH!

 

 

L'altro giorno, per puro caso, abbiamo ripescato sui selezionati scaffali della nostra libreria, in un'edizione del 1964 i "Racconti ed Episodi Morali" di quel finissimo predicatore che fu San Bernardino da Siena. Ci siamo messi a leggere con grande diletto gli aneddoti istruttivi, scritti nella prima metà del quattrocento, e cosa abbiamo trovato in testa o in coda alle battute più vivaci? "Doh!" quasi a ogni pagina. "Doh, guarda colui quanta crudeltà...", "Doh! Io mi ricordo...", "...non debbo io sapere come m'è lecito? Doh, doh!"

Allora (nel quattrocento, ovvio, ma anche nel '64) non esisteva ancora Homer Simpson, a noi caro, oltre che per la genialità del personaggio, anche per i "Doh!" che spara a ogni occasione (rimasti uguali nell'originale inglese e nella traduzione italiana).

Homer Simpson e San Bernardino da Siena abbinati da una coincidenza linguistica?

Mah! Anzi, Doh!


Siamo seri.

Festival di Letteratura e Cultura Ebraica, lunedì 15 al Ghetto. Antonio Monda tenta di indurre alla parola Ennio Morricone, il quale è insensibile alle moine sempre in agguato sulla lingua degli intervistatori. Se non sente bene una domanda, e questo è successo diverse volte, un po' forse per difetti nell'impianto di amplificazione del Palazzo della Cultura, un po' probabilmente per difetti nell'impianto di ascolto del Maestro stesso (che va verso i novanta), se la fa ripetere senza imbarazzo. E si guarda bene dal farsi incastrare dal giornalista, o dal seguirlo se la domanda non gli garba. Va per la sua strada senza cercare di fare il simpatico.

Perché Morricone al Ghetto? ci siamo chiesti. Poi è uscito l'ovvio: protagonista di "C'era una volta in America" è la comunità ebraica del Lower East Side di New York.

Abbiamo visto qualche sequenza. Sappiamo tutti che film è. E poi c'è la sua musica, così ricca di temi che neanche Puccini...

Poche parole del maestro sulla cautela nell'uso della musica a supporto, anzi a servizio delle immagini; perché questo è il suo compito: integrare nell'orecchio il flusso drammatico, senza rubare niente all'occhio. Tanto è vero che, se serve, è ancora più efficace il silenzio. A sostegno di quest'ultima teoria ci hanno ammannito la lunga scena della violenza in auto. Vari minuti, appunto senza una nota. Francamente inutile; il concetto ci era arrivato. Un po' come se a una degustazione ad alto livello, ti facessero bere un bicchiere di Tavernello, e poi ti chiedessero: "Hai capito?"


Martedì 16, stesso Festival; dalla cultura alla culinaria. Tavole all'aperto nei giardini della sinagoga. Piatti poveri della cucina romanesco giudaica, ottimo vino, tutto rigorosamente kosher. Noi non sappiamo fare neanche due spaghetti, il vino in compenso ci interessa. Quindi abbiamo cercato di approfondire la vinificazione kosher. O per le spiegazioni insufficienti, o per nostra disabilità mentale, o perché di quell'ottimo vino forse ne avevamo bevuto troppo, crediamo di essere riusciti a capire solo un paio di regole fondamentali: che tutti gli impianti devono essere lavati e rilavati a ogni uso, e questo non c'è neanche bisogno di dirlo. E che in alcune fasi della lavorazione è permesso intervenire solo a ebrei ortodossi sorvegliati da un rabbino, e questo non ci sembra altrettanto chiaro, a meno che l'ortodossia di cui sopra sia obbligatoriamente accompagnata da un buon diploma di enologo. Ma non ce l'ha confermato nessuno.


Prima di arrivare al banchetto, ci siamo affacciati all'inaugurazione dello Spazio Guidi, una magnifica ex tipografia bonificata e imbiancata, a pochi metri da lì. Tutta la mondanità galleristica di Roma era presente in modo così esagerato da provocare temperature da svenimento e da obliterare completamente le opere esposte, di cui non sapremmo niente se non avessimo in mano il programma (e non sarebbe una gran perdita). Però il fine ultimo e trionfale di questi eventi era raggiunto: l'opera non è più quella appesa al muro, ma la galleria stessa. E i suoi visitatori.


Pink Carpet, mercoledì 17. In anticipo di mezz'ora a un appuntamento al Parco della Musica, ci siamo spalmati per il tempo che ci avanzava (ma avremmo voluto rimanere anche di più) sulle transenne a sbirciare il pink carpet. Festival della Fiction, non del Cinema: il carpet è pink, non red. Un po' meno colorato e importante, insomma.

Storditi da una musica inutilmente tracotante tenuta a un volume esagerato, abbiamo visto sfilare attrici e attricette unificate da un trucco pesante ma non abbastanza da coprire la stolida vacuità delle espressioni, con minigonne inopportune, e a rischio caduta per la scarsa padronanza del tacco. Identiche alle ragazze del pubblico, altrettanto stolido e vacuo, che applaudiva. Due mondi gemelli e paralleli che nella vita vera non si incontreranno mai.


E per finire, alla presentazione della stagione del Teatro Lo Spazio. Bel programma, annunciato da Roberto Herlitzka con un intervento breve e poche, misurate e umili parole (l'Amleto è uno spettacolo che si fa da sé, ha detto).

In sala, funzionante prima, nell'intervallo e dopo gli spettacoli, un bar che abbiamo subito messo alla prova.

E promosso. Ottimo Negroni.



                                         

 

 
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Transustanziazione e frittura

Post n°295 pubblicato il 14 Settembre 2014 da torossis

 

  IL CAVALIER SERPENTE

 Perfidie di Stefano Torossi

 15 settembre 2014

               

    TRANSUSTANZIAZIONE E FRITTURA

     (Replica dal 3 settembre 2012)


                 

Qualche giorno fa ci è venuta voglia di colonne. Ci siamo fermati davanti a Sant'Anastasia, siamo entrati per guardare la nostra favorita, quella grigia, e inevitabilmente ci è tornato in mente un uovo avvelenato deposto, proprio su questo argomento, un paio d'anni fa. Eccolo. Ci pare che sia ancora fresco.


C'è a Roma, ai piedi del Palatino, la chiesa di S. Anastasia. Qui, appoggiate alle pareti, stanno otto bellissime colonne romane di scavo: sette di un bel marmo color miele con screziature bruno violette. L'ottava è di un elegantissimo grigio striato di bianco, magnifica.

Soddisfatta la nostra fissazione architettonica, eccoci al vero scoop. Nella navata di destra c'è una gran bacheca che espone, raccontati in ordine cronologico, i più clamorosi miracoli transustanziali del passato.

Per la Chiesa il miracolo eucaristico della transustanziazione, che si ripete a ogni celebrazione, è credere che nell'ostia e nel vino ci sia la carne e il sangue di Cristo. Ovviamente è un fatto che non si può, anzi, che non ci si deve sforzare di dimostrare. Crederci e basta, se no sono guai.

Si sa che quando ci si affaccia all'indimostrabile si scivola anche nel baraccone dell'ingenuo e del grottesco. Qui ci stiamo dentro in pieno. Dalla bacheca abbiamo scelto i casi più pittoreschi. Uno meglio dell'altro.


Primo. Anno Domini 595. Miracolo di San Gregorio Magno. A messa, una donna di fede poco salda scoppia a ridere sonoramente (sottolineato nel testo) mentre si comunica. Scandalo in chiesa. Il papa blocca la funzione. A questo punto il pane dell'ostia diventa carne e si mette a sanguinare. La donna si pente, il papa si tranquillizza, e tutti tornano a casa felici e contenti.

Secondo. Il miracolo dell'ostia fritta (non è un titolo nostro, sarebbe troppo facile. Sta scritto proprio così nella bacheca). Siamo nel nono secolo dopo Cristo. Una (attenzione) ebrea si intrufola in chiesa, ruba un'ostia, se la porta a casa, e per sfregio, dopo aver messo sul fuoco una bella padella di olio bollente, ce la butta dentro per cucinarla. Colpo di scena: l'ostia non solo non frigge, ma si mette a sanguinare inondando in poco tempo tutta la casa. Emozione al paesello. Viene convocato il vescovo, si organizza in quattro e quattr'otto una processione per espiare il sacrilegio, e il luogo del peccato è trasformato in chiesa. Della donna non si sa più niente; siamo un po' preoccupati per la sua sorte.

Terzo. Miracolo di San Pier Damiani, è il 1050, località sconosciuta. Una donna, cedendo a suggestioni abominevoli, per fare un maleficio a casa sua, ruba un'ostia e la porta via nascosta sotto le sottane. (Qui bisogna stare molto attenti perché in quell'area corporea, specialmente in un'epoca in cui le mutande erano poco usate, ci possono essere dei punti molto rischiosi per un'ostia innocente). Un prete furbo se ne accorge, l'insegue, l'acchiappa e recupera l'ostia, la quale, questa volta chissà per quale capriccio si divide in due parti, una rimane di farina, l'altra si trasforma nella solita polpetta sanguinolenta.

E quarto. Anno 1228, miracolo di Alatri. Una giovane suggestionata dal cattivo consiglio (continuiamo a riportare fedelmente le parole dei testi) di una malefica femmina, dopo aver ricevuto dal sacerdote il corpo sacratissimo di Cristo, lo trattiene in bocca fino al momento in cui lo può sputare fuori per nasconderlo in un panno.

Qui ci tornano in mente le minacce del nostro insegnante di catechismo che ci preparava alla prima comunione e ci aveva proibito di toccare l'ostia coi denti per non rischiare di far male a Gesù. E ricordiamo anche la sensazione di angosciosa apnea quando questo tondino si appiccicava al palato, perché neanche con un dito lo si poteva spostare.

Torniamo a noi. Dopo tre giorni la giovane suggestionata va ad aprire il panno e trova, ancora una volta, l'hamburger al sangue, a quanto pare ben conservato. Immediata confessione e pentimento. Minaccia di punizioni efferate soprattutto per la femmina malefica a cui viene attribuito il ruolo di mandante. Però stavolta c'è il lieto fine. Dopo averle spaventate a morte, le autorità ecclesiastiche rimandano a casa le due con una ramanzina e basta.


Ci fermiamo qui, anche se ci sarebbe altro. Tutto vero. Piazza S. Anastasia al Circo Massimo, andate a vedere coi vostri occhi. Noi non vogliamo esagerare e cadere a nostra volta nel ridicolo. Ma ci teniamo a sottolineare due punti. Primo: quasi tutti i miracoli cessano appena compaiono tecniche o apparecchi capaci di registrarne una testimonianza. Secondo, e qui stiamo messi molto peggio, le peccatrici, le dubbiose, le eretiche, le ladre sono tutte donne. La Chiesa non si smentisce.

Il diavolo, c'è poco da fare, sta sempre sotto le sottane.



                                          


 

 
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La Passeggiata del Gelsomino (mezzo morto)

Post n°294 pubblicato il 07 Settembre 2014 da torossis

 

  IL CAVALIER SERPENTE

  Perfidie di Stefano Torossi

    8 settembre 2014

     LA PASSEGGIATA DEL GELSOMINO

      (MEZZO MORTO)

 

The High Line

Qualche anno fa New York decise di demolire uno degli ultimi tratti di ferrovia sopraelevata sopravvissuti dagli anni '30, ma un comitato di cittadini (quelle cose che in America funzionano) si oppose, e così, tolti i binari, sparso uno strato di terra e buttato qualche seme, quel ponte di cemento e ferro diventò un bel giardino sospeso che si chiama The High Line.

Colpo di scena! Abbiamo scoperto che anche a Roma esiste una cosa del genere. Si chiama Passeggiata del Gelsomino e nasce da un breve tratto della ferrovia che collega la Stazione di S. Pietro con la Città del Vaticano superando su un ponte Via Gregorio VII e la Valle del Gelsomino (da cui il nome). Anche questa è stata realizzata qualche anno fa, chissà se prima o dopo N.Y.

Le cose sono andate così: evidentemente la ferrovia non serviva più un gran che al Papa che, come si sa, ormai si sposta in elicottero, quindi uno dei due binari che correvano sul ponte è rimasto per le merci; l'altro è stato eliminato e sostituito da un sentiero ben lastricato, da cui si vede bene la cupola di S. Pietro e un bel po' di panorama di Roma.

L'idea geniale è stata di piantare in una serie di vasche ricavate dentro il muretto che separa il binario vivo da quello morto ammazzato una gran quantità di gelsomini (il nome, eh?), e più precisamente di quei rhincospermum che per tutta l'estate si coprono di fiori bianchi e molto profumati, e dovrebbero arrampicarsi fino a ricoprire la cancellata di ferro.

L'idea meno geniale è stata di non tenere presente che, come tutte le piante, anche i gelsomini hanno sete. L'effetto finale lo abbiamo avuto sotto gli occhi. La terra nei vasi mai innaffiati calcificata che sembra di stare nella Valle della Morte (altro che del Gelsomino), e naturalmente la maggior parte di quelle povere piante completamente andate, o sul punto di.

Italia o Città del Vaticano, alla fine ci si trova sempre di fronte al solito andazzo da terzo mondo: buone idee, di gusto, probabilmente inaugurate trionfalmente.

E poi: manutenzione niente. Tutto va in malora perché a certe cose bisogna pensarci e allora, si sa, ci vorrebbe uno pratico.

Ancora una domanda, però, ce la siamo fatta: dove va a finire l'unico binario sopravvissuto?

Lo abbiamo seguito (con gli occhi) e abbiamo visto che a un certo punto scompare dentro un enorme portone ferrato che sbarra l'ingresso di una galleria, la quale, ci hanno detto, segna il confine con la Città del Vaticano.

A occhio e croce noi diremmo che il tunnel, più che a casa del Papa, porta direttamente al binario 9 ¾ della King's Cross Station, e che il treno su quel binario è l'Hogwarts Express (Harry Potter, avete presente?)

 

 

P.S. Volendo continuare a ficcare il naso nella gestione nuova di Roma vecchia, potremmo segnalare l'iniziativa, molto pubblicizzata dal Comune, di pedonalizzare il Tridente.

Benissimo, naturalmente, tutti d'accordo. Si comincia con Via del Babuino che diventerà finalmente una strada civile con marciapiedi abbastanza larghi per passeggiare, e carreggiata abbastanza stretta per non potercisi fermare neanche un minuto, neanche con un motorino.

I lavori sono in corso. La strada è sbarrata all'inizio, alla fine e agli incroci con gli altri vicoli.

Come? Ecco emergere in tutto il suo sublime splendore la cialtroneria romanesca.

Venendo da Piazza di Spagna il primo blocco sono tre enormi vasi di plastica, alti come una persona, senza terra, che contengono altrettanti vasi più piccoli con dentro tre palmette ballonzolanti sul fondo dei vasoni vuoti, che naturalmente nel frattempo sono diventati pattumiere.

Il secondo blocco è un pezzo di guard rail autostradale in cemento, noto agli automobilisti come "New Jersey". Ci sfugge il nesso stilistico con il centro barocco di Roma.

Il terzo invece è perfettamente in carattere: una barricata di spazzatura.


                                                    


 

 
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