Creato da torossis il 08/08/2010
Perfidie di Stefano Torossi

Area personale

 

Archivio messaggi

 
 << Luglio 2014 >> 
 
LuMaMeGiVeSaDo
 
  1 2 3 4 5 6
7 8 9 10 11 12 13
14 15 16 17 18 19 20
21 22 23 24 25 26 27
28 29 30 31      
 
 

Cerca in questo Blog

  Trova
 

FACEBOOK

 
 
Citazioni nei Blog Amici: 3
 

Ultime visite al Blog

torossisslavkoradiccarmelo.rizzo70minarossi82aristarco7dudeziochiarasanyenrico505tobias_shuffleRavvedutiIn2Sky_Eaglechristie_malryunastella43isolde6antelao63
 

Chi può scrivere sul blog

Solo l'autore può pubblicare messaggi in questo Blog e tutti possono pubblicare commenti.
I messaggi e i commenti sono moderati dall'autore del blog, verranno verificati e pubblicati a sua discrezione.
 
RSS (Really simple syndication) Feed Atom
 
 

Messaggi di Luglio 2014

Il sollucchero dell'alligatore

Post n°288 pubblicato il 27 Luglio 2014 da torossis

 

  IL CAVALIER SERPENTE

 Perfidie di Stefano Torossi

 28 luglio 2014

   IL SOLLUCCHERO DELL'ALLIGATORE

 


Il sollucchero dell'alligatore

Smentiamo vigorosamente le voci che danno facebook come sentina di trucchi e madre di tutte le balle. E' invece una fucina di informazioni.  Proprio oggi leggiamo una fondamentale notizia che dovrebbe interessare sia gli zoologi che i musicisti (e anche noi, purché curiosi, naturalmente).

Jeff Klinkenberg, un giornalista americano che da anni studia gli alligatori della Florida, nel riascoltare per la centesima volta il profondo ribollente muggito con cui nella stagione degli accoppiamenti i maschi chiamano le femmine, ha avuto una pensata.

Per cominciare, diapason alla mano, ha determinato che il muggito dei lucertoloni è un si bemolle profondo. Uguale per tutti; naturalmente con qualche piccola variazione di timbro: nessuno rinuncia a fare il solista se può, specialmente in occasione di un fidanzamento.

Poi si è trattato di passare all'esperimento: riprodurre artificialmente il richiamo e vedere se funzionava. Un organo sarebbe andato bene, solo che per il trasporto c'era qualche difficoltà.

Idea: Jeff telefona all'amico Bill Bickleson, affermato solista di basso tuba nella locale orchestra, il quale decide, anche se con qualche perplessità, di mettersi in spalla lo strumento e scendere in palude. E chi avrebbe rifiutato?

Detto fatto, si piazza sull'imbarcadero, piedi a penzoloni e tuba imbracciata, e si mette a sparare, con una certa fatica perché non è una nota facile, una raffica di si bemolle bassi.

Successo: decine di alligatori, per l'appunto in sollucchero, affiorano nello stagno in cerca della compagna evocata.  Ci rimangono male perché invece di un'alligatrice (si dirà così?) c'è un musico spernacchiante al quale, per la delusione e conseguente desiderio di vendetta, i rettili tentano di strappare a morsi i piedi.

Ma l'esperimento è riuscito. Potenza del si bemolle.

Qualche amico tubista ce l'abbiamo anche noi. In mancanza di paludi infestate dagli alligatori dalle nostre parti, potremmo suggerirgli di andare al rettilario dello zoo con lo strumento, suonarlo, vedere l'effetto che fa, e poi prudentemente darsela a gambe (più per paura dei custodi che degli animali).

Solo che non sappiamo quando è la stagione degli accoppiamenti.


Camillo De Lellis, da mascalzone a santo.

Mercoledì 23 luglio, basilica di San Giacomo in Augusta, Flavio Colusso: Feste Musicali Jacopee - Labyrinthus, esercizio spirituale concertato.

 Alternandosi a brani musicali del seicento (tranne uno di cui diremo dopo) la voce di Silvia De Palma legge frammenti di una spassosissima biografia contemporanea di Camillo De Lellis, il santo legato alla chiesa in cui stiamo e soprattutto all'annesso ospedale di San Giacomo.

Dunque, parlando del personaggio, il biografo comincia subito a definirlo "di cervello terribile e dedito principalmente a questionare e a giocare a carte".

Grande, grosso e tardivo (quando nasce, nel 1550, la madre ha già sessant'anni) comincia litigando con tutti i compagni di giochi, che picchia regolarmente; poi, appena ha l'età si arruola come soldato di ventura. Ideologia zero; bisogno di soldi illimitato perché tra i tanti altri ha anche il vizio del gioco, ma a livello psicotico. Tutto quello che guadagna se lo gioca, ed essendone malato, anche se vince, poi se lo rigioca e alla fine, come è noto, quel tipo di giocatore perde sempre.

Finalmente (come usava dire allora) piace a Dio di mandargli la piaga. Una piccola ulcera a un piede, che a forza di grattarla e per le condizioni igieniche dell'epoca, degenera in cancrena che gli prende tutta la gamba. Si ricovera all'ospedale degli incurabili di S. Giacomo, dove fa voto alla Madonna di abbandonare il gioco se lei lo guarisce.

La Madonna è di parola. Lui no; naturalmente si ridà alle carte, riperde tutto, finisce a mendicare per strada e, giustamente in quanto recidivo, piace a Dio di rimandargli la piaga. Nuovo ricovero, sempre allo stesso ospedale. Guarisce ancora, ma stavolta il messaggio arriva. Dopo la seconda grazia divina rimane all'ospedale come inserviente, e qui si rende conto delle terribili condizioni in cui raramente si salvavano, più spesso morivano gli ammalati.

In breve, si fa sacerdote, organizza un nuovo sistema di assistenza, che ancora funziona, e finalmente diventa santo. Fine della storia.

Torniamo all'esercizio spirituale. Durata: un'oretta di un, come già detto, divertente racconto illeggiadrito da intermezzi per clavicembalo e violino. Musiche di Marco Uccellini (1603 - 1680), di Giacomo Carissimi (1605 - 1674) e di Flavio Colusso (1960 - ).

Ecco, visto che il suddetto gode di ottima salute e il suo decesso ci appare non solo imprevedibile, ma anche piuttosto lontano, vedere sul programma, fra le parentesi, la data di nascita non seguita da quella di morte come per gli altri autori, ma comunque seguita da quel trattino che implicitamente ammicca in quella direzione, ci è sembrato un po' malaugurante: 1960, sì; trattino, no!

Con tanti auguri di lunga vita all'amico musicista.


                                         

 

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 

La Casa (di riposo) del Jazz

Post n°287 pubblicato il 20 Luglio 2014 da torossis

 

  IL CAVALIER SERPENTE

   Perfidie di Stefano Torossi

       21 luglio 2014

     LA CASA (DI RIPOSO) DEL JAZZ

 

 

Veneziani inquieti

I nostri antenati veneziani si saranno rigirati nella tomba lunedì 14 luglio a guardare Voyager, RaiDue: un servizio su Venezia condotto, anzi, trascinato faticosamente da Roberto Giacobbo.

Avanti e indietro per i saloni di Palazzo Ducale: sempre con il fiatone quando parla, che fa tanto Indiana Jones; implacabili primi piani di lui che sale le scale, ma anche del suo retro mentre le scende, invece di quello che gli spettatori vorrebbero vedere: quadri, panorami, architetture, e non le fatiche del conduttore. Giaccone inqualificabile (evidentemente tira il "look infagottato", brutto ma tosto, comune ad altri presentatori sul campo: Angela junior e il non dimenticato Osvaldo Bevilacqua di Sereno Variabile), dizione a morire (l'ultima parola di ogni frase bisbigliata in modo da renderla incomprensibile) notizie generiche, vaghe e spesso sceme. Un prodotto di livello molto basso. Questo per dire che la divulgazione, che supponiamo sia il sacrosanto target di questo programma, deve senz'altro essere semplice, ma può anche essere intelligente e di buon gusto. Ah, riuscirci.


Il Ministero risparmia

Terapia presunta: diminuire le dosi fino a decesso del paziente, così si liberano i letti.

L'amico Giancarlo Rostirolli, presidente dell'Istituto di Bibliografia Musicale ci manda un paio di paginette contenenti la stupefacente cartella clinica delle sovvenzioni ministeriali.

Il Ministero dei Beni Culturali (art 8 legge N. 534) ha dato, nel 2011 come sostegno all'Istituto di cui sopra 2.000 euro, poi più niente. Lo stesso è successo alla Fondazione Pierluigi da Palestrina.

L'Istituto Italiano per la Storia della Musica (stesso articolo di legge) riceve la bizzarra cifra di 4.910 € per il 2011; 3.000 € per il 2012, e basta.

Ma è con la Fondazione Italiana per la Musica Antica che si ride di più: come contributo per la biblioteca, ecco 2.000 € nel 2010; 2.600 € nel 2011, poi si cala a 1.000 € nel 2012, e si precipita a 390 € nel 2013.

Meno male che in alto si è deciso di dare un taglio a queste faraoniche spese per la cultura, altrimenti chissà dove saremmo andati a finire.

 

La Casa (di riposo) del Jazz

Onore al merito: l'autore di questa irrispettosa ma calzante definizione di una gloriosa istituzione romana in agonia è il musicista Pasquale Innarella, che ce l'ha servita nel corso della Jazz Reunion ospitata dall'Eutropia Festival al Mattatoio, martedì 15.

Come tante altre volte, anche oggi l'assemblea degli artisti segue il copione standard di questo genere di riunioni: all'inizio saluti e manate sulle spalle fra colleghi, poi la sessione è aperta dall'artista preparato che espone il problema in modo pacato, articolato e comprensibile (il già citato Innarella), interrotto dopo non molto dall'artista concitato (nel nostro case, Ivano Nardi, batterista e, per sua stessa dichiarazione, diventato oggi fruttarolo) che a suon di "le chiacchiere stanno a zero", "li mortacci loro" e altre colorite espressioni, comincia a creare quella confusione inevitabilmente destinata a degenerare in recriminazioni personali e ridicoli quanto inattuabili proclami barricadieri ("annamo a occupa' la casa der jazz", "annamo a da' foco alla SIAE").

Per fortuna sopravviene l'artista pratico (Guido Silipo, musicista e consulente aziendale) che riporta l'accento sulla realtà contingente: i soldi, dove stanno e come dirottarne un po' nella direzione giusta. Poi, in mezzo alla nebbia sempre più fitta di interventi vociferanti e incasinati, talvolta riesce a emergere l'artista saggio (Luigi Onori, scrittore e critico musicale) col ricordare ai convenuti che fare le barricate significa stare fuori dalle istituzioni; se invece si vuole stare dentro, com'è opportuno, allora bisogna mediare.

Mentre la faccenda prosegue secondo partitura (improvvisazioni e free jazz), stuzzicati da un piacevole profumo di pollo alla cacciatora che esce dalle cucine lì vicino, ci allontaniamo per fare un giro in questo luogo tra il magico e il desolato che è l'abbandonato Mattatoio di Testaccio, ora destinato ad attività artistiche. E' uno spazio immenso, con pochi capannoni restaurati e arredati. Ci sono ancora le carrucole e i recinti per il bestiame, tutti di ferro, che era all'epoca la novità dell'architettura industriale; i corridoi che le bestie seguivano per andare al macello, e le "stalle pel bestiame domito", termine desueto, leggiadramente letterario per significare domato (d'altra parte si dice indomito, no?), cioè pronto per essere abbattuto. Da quel lato persiste un bell'afrore di stallatico: è la rimessa delle ultime carrozzelle della città con relativi cavalli.

Lo spazio nasce a fine ottocento nella peggiore periferia di Roma. Peggiore perché vicina ai magazzini, alla ferrovia, al fiume e a una discarica. Cent'anni dopo il tempo ha cambiato un po' le cose. La ferrovia è ancora quella, non più a vapore, ma sempre rumorosa e lenta, ormai quasi un giocattolo, che quando passa sul ponte fa un bel frastuono da tamburo di latta; i magazzini sono diventati un moderno mercato coperto; il Tevere che lambisce il terzo lato è qui, senza i muraglioni, una specie di simpatica jungla casareccia piena di alberi (fra cui un albicocco con frutti squisiti) che protegge intatto l'unico segmento fluviale delle mura Aureliane, con una bella torre.

E la discarica è, sì, sempre una discarica, ma di duemila anni fa. E' il monte Testaccio, un rilievo formato nel corso dei secoli dai frammenti delle anfore di olio e vino destinate ai banchetti imperiali, che si scaricavano al porto sottostante dalle navi in arrivo da Spagna e Tunisia. Contenitori di terracotta usa e getta, servivano solo per il trasporto via mare. Arrivati a terra, vino e olio venivano travasati e le anfore, inutilizzabili, rotte e ammucchiate fino a formare una vera e propria collina. Da spazzatura a monumento.


PS. Apprendiamo che nel finale dell'assemblea odierna, a cui, distratti da cocci e carrozzelle, non abbiamo assistito, è stata decisa una Grande Riunione alla Casa del Jazz il 30 luglio.

Naturalmente andremo, staremo più attenti, e racconteremo tutto.



                                            -


 

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 

Rumori da fuori

Post n°286 pubblicato il 13 Luglio 2014 da torossis

 

  IL CAVALIER SERPENTE

  Perfidie di Stefano Torossi

   14 luglio 2014

   RUMORI DA FUORI

 

Rumori da fuori

Domenica 6 luglio, primo dei Concerti nel Parco, a Villa Doria Pamphilij. Si festeggiano i trent'anni del quintetto di Paolo Fresu. Non è il concerto in sé, eccellente come sempre quando c'è il nostro amico alla tromba, ma un fatterello sonoro che lo accompagna che ci da lo sprint per titillare questo argomento, di attualità negli spettacoli all'aperto, quindi d'estate, quindi adesso.

Succede che nel finale del terzo brano in scaletta il crescendo e poi lo scemare della musica è accompagnato, quasi guidato dalla sirena bitonale di un'ambulanza che, correndo per la strada che costeggia il muro della villa, si avvicina, sale di intonazione fino a un perfetto unisono con la musica, poi si allontana e sfuma insieme agli strumenti, un po' calante, ma magica (è l'effetto Doppler).

Ambulanze che passano, claxon che suonano, aerei che sorvolano; e la fauna: cicale, grilli, cornacchie e gabbiani, quelli enormi, ormai diventati un pericolo (ci sono madri apprensive che temono il ratto del neonato in carrozzina).

Qualche appunto dal passato.

Accademia di Spagna al Gianicolo, 23 giugno 2011: concerto dei borsisti. Composizioni da dimenticare (col tempo i ragazzi impareranno a scrivere, si spera), ma c'è un momento miracoloso del quale siamo testimoni. Durante l'esecuzione di un brano fracassone, "Punto rosso sull'oceano" di Aurelio Edler-Copes, al riverbero di un fragoroso cluster di note sul pianoforte si sovrappone, esattamente intonato, ammesso che un cluster possa essere intonato, il rombo forte di un grosso aereo che vola basso sulla città.

E' stato affascinante (e gli stessi esecutori hanno smesso di suonare rapiti) ascoltare i motori che rubavano il suono al piano e lo portavano via nella propria scia. Secondi di pura favola. Poi, purtroppo, è ricominciata la musica.

Cicale. Più di vent'anni fa, a Caracalla, concerto di debutto dei Tre Tenori: Pavarotti, Carreras e Domingo, un evento mondanissimo, che poi si sarebbe rivelato il primo passo di un luminoso business mondiale.

In mezzo a tutta quella pompa, un particolare minimo e divertente. Durante un pianissimo, su uno dei pini sparsi in platea, una cicala si mette a cantare, facendosi inconsapevole protagonista davanti a tutti i seimila spettatori. Un paio di volte Zubin Mehta dal podio guarda accigliato (o divertito, la distanza non ci permette di distinguerne i lineamenti) verso l'albero, ma quella, tranquilla, va avanti finché tutti ci abituiamo. Neanche ci siamo accorti se e quando ha smesso di frinire.

                            

Rumori da dentro

E poi ci sono quei musicisti sfortunati che non sentivano niente da fuori, ma erano tormentati da scrosci, fischi e sibili da dentro: i sordi.

Smetana, il padre della Moldava, entrato nel tunnel a cinquant'anni mentre era in pieno lavoro, e rovinato da cure cervellotiche. Un medico famoso a Praga, il dottor Zoufal (bisogna fare i nomi dei ciarlatani) gli aveva prescritto una serie di docce di etere. Dopo le quali perse definitivamente l'unico orecchio che ancora funzionava, e cominciò a sentire prima un fischio continuo, che inserì come nota ossessiva nell'ultimo movimento di un suo quartetto, poi "un fragore incessante come se fossi sotto un'enorme cascata d'acqua". Il poveruomo, reso pazzo dai suoi suoni da dentro, finì in manicomio. Amen.

Fauré, autore del famoso Requiem, fece in tempo a scrivere molto, perché, mentre già la sua musica girava per il mondo rendendolo famoso, la sordità lo catturò a settant'anni, e lo costrinse a rinchiudersi in casa a non fare più niente tranne fumare, fumare e fumare. Un povero vecchio asmatico, alla fine morto di polmoni.

Il più famoso, che neanche nominiamo, si prese la fregatura suprema davvero presto, a ventotto anni, anche lui con fischi e rombi nel cervello, vergognoso di dovere ammettere "un'infermità proprio in quel senso che in me dovrebbe essere più perfetto". C'è l'aneddoto, chissà se vero, dell'esecuzione della Nona, nel 1824, diretta da lui stesso. La musica finita, gli applausi esplosi; ma lui continuava ad agitare la bacchetta, finché il contralto Caroline Unger lo tirò per la manica e lo fece girare verso il pubblico. E' chiaro che i suonatori non seguivano lui, ma il primo violino; ma come mai il maestro, anche se preso dalla passione, non si era accorto che gli archetti erano fermi?

In mezzo a tutta la santificazione romantica dell'artista infelice, ci sembrano particolarmente irritanti le osservazioni del critico e biografo, Maynard Solomon, il quale, scrivendo degli ultimi problematicissimi anni di Beethoven, la spara grossa.

"In un certo senso - dice - la sordità ebbe un effetto positivo sulla sua creatività, permettendogli di concentrarsi totalmente sulla composizione". E continua, il sadico: "In questo suo mondo di sordo, poté sperimentare, libero dai suoni invadenti dell'ambiente esterno". Una fortuna, insomma.

Per noi. Ma così pensiamo all'artista e dimentichiamo l'uomo. E siccome a noi piacciono le sue sinfonie, non ci viene neanche in mente che magari lui personalmente avrebbe preferito scriverne una di meno, ma sentire gli zoccoli dei cavalli sul selciato, le bestemmie dei vetturini e lo spignattare della cuoca in cucina. O, ancora meglio, quello che scriveva.



                                        

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 

Si scopron le tombe...

Post n°285 pubblicato il 07 Luglio 2014 da torossis

 

  IL CAVALIER SERPENTE

   Perfidie di Stefano Torossi

    7 luglio 2014

     SI SCOPRON LE TOMBE...

 

Il bar

28 giugno, nel giardino, spazio fresco di alberi sotto la modernissima facciata del Maxxi. L'occasione: il concerto del gruppo Cabaret Contemporain, a chiusura del Festival Suona Francese.

E' cominciata la nostra stagione preferita. Nei fine settimana la massa degli sconsiderati emigra verso destinazioni extraurbane affollate e trafficate e ci lascia la città vuota. Per noi snob (o forse semplicemente single senza bambini e famiglia) che rimaniamo, si aprono le porte di un paradiso tranquillo che dura almeno due giorni.

Il giardino, dicevamo, con comode sedie e tavolini è rinfrescato da un piacevole ponentino, e i suonatori sono abbastanza lontani da permetterci di ignorarli senza sensi di colpa, mentre chiacchieriamo con gli amici. I tavoli appartengono al bar annesso al museo. Cosa manca per farci felici? Quello che nessuna ristorazione museale mette mai nel menu: la buona cucina.

Il buffet espone una triste distesa: arrosto cartonato, insalata moscia, melanzane livide. Il tutto al prezzo ridicolo di dieci euro, birra compresa. Siamo convinti che chiunque sarebbe disposto a pagare il doppio per accontentare lo stomaco, mentre allo spirito provvede l'arte.

Perché quelli del ramo non ci pensano? Eppure non è difficile: più qualità, più affari.


Si scopron le tombe...

Lunedì 30 al Teatro Argentina "Prologo d'amore e arte per l'Italia Europea", in apertura del semestre italiano. Titolo pomposo per un evento striminzito, poco professionale e inutile. Con qualcosa di buono, certo, ma si direbbe per puro caso.

La scaletta: davanti al Presidente della Repubblica e al Sindaco di Roma fioccano in apertura i soliti saluti istituzionali. Fra gli altri, il direttore del teatro, Calbi, fa un distinguo spagnolesco, dando a Napolitano dell'illustrissimo, e solo dell'illustre a Marino (accolto, quest'ultimo da un paio di sonorissimi fischi).

Poi si entra decisamente in filodrammatica. Le sorelle componenti il coro femminile "Le Querce del Tasso" straziano i Fratelli d'Italia, complice un pianista dagli accordi fantasiosi (tutti in piedi), per passare all'inno alla gioia dalla Nona di Beethoven, stessa pappa, con fisarmonicista aggiunta, Olimpia Greco (ancora tutti in piedi: è l'inno europeo).

Segue l'ingiustificabile, e inspiegabile monologo di un'attrice improvvisata, la signora Livia Pomodoro, di professione Presidente del Tribunale di Milano (pericoloso cambiare mestiere, anche solo per una sera), che, figurando di essere Melina Mercouri, finge di incontrare la Merkel e le spara una confusa pappardella politica di durata esiziale, il cui finale supera ogni decenza. Infatti, prima di salutarsi, Melina, per bocca della Pomodoro, svela alla Merkel la magica pozione del successo: un bicchiere di buona volontà, tre tazze di pazienza, due coppe di amore per l'Europa, e così via sbrodolando in perfetto stile Baci Perugina.

E questo accade davanti a una platea non di ragazzine romantiche ma di adulti seriosi, fra cui c'è il Presidente della Repubblica. Come responsabile del testo il programma denuncia il Dott. Alberto Meomartini (secondo noi passibile di arresto), Direttore e Presidente di varie importanti società, ma, come autore, giustamente e ci auguriamo ancora per molto tempo, ignorato dalla critica.

Maddalena Crippa, che pure, vista la connivenza con Peter Stein non dovrebbe mancare di indicazioni, recita, inspiegabilmente accovacciata sul palco come una ranocchia, "All'Italia" di Leopardi. La sapevamo brava; non stasera.

Poi tocca a Lorenzo Lavia, figlio del più noto Gabriele, che legge il Manifesto per l'Europa di Garibaldi, senza un'espressione, senza mai alzare gli occhi dal foglio, ma gesticolando nello stesso burattinesco modo di un altro figlio, Alberto Angela, del più noto Piero.

Insomma, una sfilata di niente e soprattutto totale assenza di regia. Abbiamo, come in altre simili occasioni istituzional-spettacolari, la sensazione che, una volta ordinato dall'alto il nome della star, tutto il contorno venga lasciato alla scelta fra le parentele o le amicizie di qualche segretaria di poca esperienza e scarno discernimento.

Finalmente entra il Grande Attore (qualche mala lingua potrebbe dire che lo è per eredità, essendo tutti gli altri passati a miglior vita). Albertazzi, ultranovantenne seduttore del palcoscenico, solo, appoggiato con civetteria a un bastone del quale si vede che non ha nessun bisogno, ma che brandisce ora come una spada, ora come una bacchetta magica, recita, sotto un unico riflettore e con il suo lieve accento toscano che ci sta benissimo, un canto dell'Inferno, quello di Ulisse.

Padrone assoluto della voce, del palco e del pubblico. Che ne è incantato.

Un altro momento (un po' particolare e di sicuro involontario) ce lo offre, uscendo per qualche istante dall'avello, Valentina Cortese: foulard in testa, palandrana bianca con strascico, pause e birignao d'epoca. Si tratta di un brano, dannunziano nel senso peggiore del termine, di Testori: "L'Amore", impresentabile, insopportabile e interminabile, commentato da un violoncellista che alterna con uguale indifferenza le suite di Bach e il cigno di Saint-Saens.

Datata, certo; Valentina è comunque un monumento a cui molto si perdona. Tanto, ormai, non cambia più.

Ritorna Albertazzi che, seduto su un capitello, rivive un lungo brano dalle Memorie di Adriano. Recitazione più naturalistica, racconta la mortale passione dell'imperatore per Antinoo.

Standing ovation e trionfale conclusione di una serata cominciata moscia. Sarebbe bello.

Invece no; riappare Olimpia Greco, che ci manda a casa con la Nona, già ascoltata all'inizio, ma stavolta in una versione per fisarmonica sola.

Da immaginare, ma se possibile non sperimentare.

Non ci resta che stendere il proverbiale velo pietoso.



                                         

 

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 
 

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963