Ottobre 2018: The Monks – BLACK MONK TIME (1966)

Monks - Black monk time

 

Data di pubblicazione: Marzo 1966
Registrato a: Polydor Studios (Colonia), Polydor Studios (Amburgo)
Produttore: Jimmy Bowien
Formazione: Gary Burger (voce, chitarra), Larry Clark (voce, organo), Roger Johnston (voce, batteria), Eddie Shaw (voce, basso), Dave Day (voce, banjo elettrico)

 

Lato A

 

                        Monk time
                        Shut up
                        Boys are boys and girls are choice
                        Higgle-dy-piggle-dy
                        I hate you
                        Oh, now to do now
 

Lato B

 

                        Complication
                        We do wie du
                        Drunken Maria
                        Love came tumblin’ down
                        Blast off!
                        That’s my girl
 

 

I Monks nacquero negli stessi locali maledetti dei Beatles,
ma con tre anni di ritardo, e la loro musica sprizza
delirio e pazzia da tutti i pori
(Julian Cope)

 

Siamo nel 1966, anno in cui vennero alla luce alcuni dei più grandi album album di tutta la  musica rock: Blonde on blonde di Bob Dylan, Freak out dei Mothers of Invention di Frank Zappa, Afthermath dei Rolling Stones, Pet sound dei Beach Boys, Revolver dei Beatles… Sono tutte espressioni di uno standard medio della musica popolare in netta crescita. In tale contesto appare uno sconosciuto gruppo americano ma che risiedeva in Germania, i Monks, che partorivano il loro primo ed unico album: Black monk time.
Band particolarmente curiosa, i Monks era composta da cinque ragazzi cresciuti a pane e rock’n’roll. E mentre la maggior parte degli autori discettava di guerra da semplici osservatori e giudici lontani, i cinque “monaci” vissero sulla loro pelle quelle esperienze, che indelebilmente si sarebbero poi trasmesse nella loro arte. Questo li allontanerà dalle filosofie dylaniane, o dagli scenari romantici beatlesiani (in più di un’occasione manifestarono un’aperta rivalità ai quattro di Liverpool), dal teppismo di strada stonesiano o dagli sberleffi freak zappiani; i Monks rappresentano uno stile di vita cinico, verista, lontano da ogni posa intellettuale, di qualunque forma essa fosse. Laddove gli altri si lasciavano andare alla poetica, loro preferivano la brutalità, e laddove si cercava di edulcorare lo stile del rock, loro preferivano un suono grezzo, duro, caotico, violento, primitivo, come nessuno prima di loro era riuscito a fare. La guerra, la violenza, la morte, la disperazione, eruttano semplicemente dai solchi del loro album, dove la musica è accompagnata da un lirismo semplice e brutale. La loro idea di musica era semplice e geniale allo stesso tempo: preso un tema dominante, lo si brutalizzava con bordate di feedback o di organo dissonante, mentre basso e batteria seguivano un percorso destabilizzante e straniante. Il punto di partenza era il rock’n’ roll, ma in poco tempo questo si trasformava in un baccanale assordante senza via d’uscita.
Il loro stile sonoro variegava anche grazie alla curiosa presenza di un banjo elettrificato. Ma non solo: l’organo dominante di Clark sembrava venire direttamente fuori da un Jerry Lee Lewis impazzito, mentre la chitarra di Burger si distingue per un uso costante e razionale del feedback. Batteria e basso costituivano d’altro canto una ritmica inesorabile, devastante e destabilizzante. Questi furono gli elementi che lo videro come uno dei primi gruppi ad usare il rumore, la cacofonia, il caos, in maniera cosciente, funzionale alla musica e al significato che essi volevano darle.
Il disco viene aperto da Monk time, messa in scena  su un tappeto di basso distorto e batteria al fulmicotone devastato da una mitragliata d’organo. La guerra in Vietnam è il tema centrale. Shut up è un pezzo brutale e devastante; tutti gli strumenti suonano all’unisono per sostenere un organo che detta la “melodia”, se così si può definire, per un ipotetico dialogo fra il soldato impaurito e il comando militare, che ordina di stare zitti e non piangere, riesce nel miracolo di mettere in scena tutta la follia della guerra, tramite il canto amaro e sprezzante, vertigini di organo e chitarre impazzite. Si prosegue col rock’n’roll supersonico e spassosissimo di Boys are boys and girl are choise seguito dal lento rotolare nel caos di feedback ed organo di Higgle-Dy, Piggle-Dy”. In I hate you basso e batteria creano una danza adatta all’inferno, calda e ubriaca come la contorta dichiarazione d’amore di questa canzone: “Ti odio ma chiamami”. Organo e chitarra non si fanno pregare per dar vita alla lava e allo zolfo che popolano questa danza infernale.
Il disco prosegue sullo stesso livello, sperimentando in forme diverse sempre lo stesso canovaccio: devastare le melodie col caos e il rumore. In questo si segnalano Complication , il lancio spaziale di  Blast off  e la spassosissima Drunken Maria. E il resto in sceletta è una scarica abrasiva e devastante.
Spesso sono stati classificati come proto punk o garage rock, ma i Monks non possono rientrare in nessuna di queste classificazione proprio per l’unicità del suono e dell’idea alle fondamenta della loro arte. Profeti del caos e dello stupro della canzone, i Monks proposero intuizioni che mai prima si erano udite e che avrebbero caratterizzato la musica rock per decenni.

Ottobre 2018: The Monks – BLACK MONK TIME (1966)ultima modifica: 2018-10-11T15:38:33+02:00da pierrovox

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