Luglio 2017: Fabrizio De André – CREUZA DE MA (1984)

Creuza de ma

 

Data di pubblicazione: Marzo 1984
Registrato a: Felipe Studio (Milano), Stone Castle Studios (Carimate)
Produttore: Mauro Pagani & Fabrizio De André
Formazione: Fabrizio De André (voce, chitarre, bouzouki), Aldo Banfi (synclavier), François Bedel (percussioni, zarb), Walter Calloni (batteria), Mauro Pagani (bouzouki, oud, saz, mandolini, violino, viola, flauti, cori), Massimo Preti (percussioni), Massimo Spinosa (basso), Edo Martin (sintetizzatori), Franco Mussida (chitarra classica, mandolini)

 

Lato A

                        Crêuza de mä
                        Jamín-a
                        Sidún

Lato B

                        Sinàn Capudàn Pascià
                        Â pittima
                        Â duménega
                        D’ä mê riva

 

 

Crêuza de mä di Fabrizio De André uno uno dei dieci album migliori di tutti gli anni ’80
(David Byrne)

Non poteva che essere lui il primo artista italiano ad avere l’onore di essere trattato in queste pagine virtuali. Fabrizio De André è più che un semplice cantante: lui è la poesia in musica, l’arte stessa che si esprime in storie di sbandati, cani randagi, poveri cristi che si barcamenano senza meta nel tragico destino che la vita gli ha riservato. Dopo che una fredda mattina di gennaio del 1999 ce l’aveva strappato, al termine di un triste percorso di degenza dolorosa, abbiamo assistito ad una sorta di “canonizzazione” dell’artista genovese, spesso dimenticando o snaturando la sua vera attitudine di artista scomodo e irriverente. Si è confuso spesso la sua anima squisitamente anarchica, poco conforme alle buone maniere, con l’alternativismo concordante così tanto sbandierato come etichetta di prestigio da parte di chi si allinea “ma non troppo” . De André non era certo il prototipo del cantante da Festival di Sanremo, dalle melodie orecchiabili e le storielle mielose. Ad una società ancora chiusa nel suo bigottismo e nella “faccia lavata dal buon senso”, lui proponeva storie di puttane gentili, ubriachi e sbandati, di un Gesù meno ieratico e più umano, delle “graziose” di Via del Campo, di topi di fogna e scarti di monnezza che la società “civile” si ostinava a ripugnare ipocritamente, chiusa nel comodo individualismo borghese. Quello stesso artista “maledetto” che cercherà di proiettare, purtroppo tragicamente, nel melenso carrozzone della canzone italiana, il suo conterraneo e concittadino Luigi Tenco, cui dedicherà l’accorata e desolata Preghiera in gennaio!
Nato e cresciuto in una famiglia della Genova alto-borghese, da subito Fabrizio manifesterà il suo senso di disadattamento in una società ovattata e piena di ipocriti nonché squallidi cliché. Il suo desiderio di libertà si esprimerà in un atteggiamento ribelle e scostante, spesso in compagnia del suo amico di bagordi Paolo Villaggio. Il folgorante incontro con la musica gli viene da due dischi di un cantautore che suo padre porterà di ritorno da un viaggio in Francia: quell’artista era Georges Brassens. Il canto di quelle storie era per lui l’eco di una sirena che lo conduceva verso territori inesplorati e affascinanti, tanto che spesso lui ne tradurrà alcune canzoni per alcuni suoi dischi. Da lì in poi la carriera dell’artista genovese è una continua ascesa verso l’empireo della musica italiana; le storie sono tutte bellissime, aperte quasi provvidenzialmente da una “Preghiera in gennaio” nel suo primo album del 1967, e chiuse altrettanto provvidenzialmente da una specie di inclusione ermeneutica da una “Smisurata preghiera”, che chiudeva Anime salve del 1996, suo testamento spirituale e artistico di una carriera che mai aveva conosciuto cali creativi, semmai al contrario era sempre un crescendo verso qualcosa di sempre più alto.

Scegliere quindi l’album che possa rappresentarlo è un’impresa tanto ardua, quanto quasi impossibile, tanto vasta e incredibilmente toccata dalla Grazia è la sua opera. Si potrebbe puntare sul magnifico esordio, che raccoglieva i primi singoli. Si potrebbe puntare sul raccolto laico dei vangeli apocrifi de La buona novella, o la sua personale interpretazione dell’Antologia di Spoon River di Non al denaro, non all’amore, né al cielo. Si potrebbe puntare su Anime salve, disco inizialmente pensato come opera a due con Ivano Fossati, poi attestato al solo Maestro. Scegliamo l’affresco mediterraneo di Crêuza de mä, reputato da David Byrne come uno dei dischi più belli mai realizzati.
Il De André che giunge a questo disco ormai non vive più a Genova, ma in una Sardegna ancora incontaminata dalla violenza distruttrice della “società civile”. Immerso nella natura selvaggia, e avendo pure vissuto la tragica esperienza del rapimento assieme alla sua compagna Dori Ghezzi, Fabrizio avverte un senso di naturale nostalgia verso la sua terra natia. Ma non una nostalgia che guardi tanto ai luoghi, quanto una nostalgia che guardi al tempo. Si perché Crêuza de mä è un viaggio nel tempo, verso una sorta di luogo ipnotico, prezioso, depurato da qualsiasi forma di impurità, verso il quale, da figlio devoto, Fabrizio De André prova solo amore. La scelta è il canto in un genovese arcaico, antico, tanto da far assurgere all’intero album quell’aura misticheggiante e pregna di devozione, un po’ come il celebre sonetto A Zacinto di Ugo Foscolo.
Il disco si apre col profumo del mare della title-track. Gli eterni viaggiatori, tra i quali lo stesso De André annovera sé stesso, riavvertono la gioia di rivedere le sacre sponde, gli echi del mercato, il fragore delle onde, e come quasi estranei riassaporano la bellezza di ritornare nella terra, e di incontrare nuovamente tradizioni lontane mai dimenticate. Segue la sensuale Jamin-à, vero e proprio inno all’erotismo, dove le grazie di una “lupa dalla pelle scura” saranno l’apoteosi di amplessi travolgenti e insaziabili. Chiude il primo lato il canto di solore di Sidùn, ossia la Sidone del Libano, introdotta dalle voci di Ronald Reagan e Ariel Sharon e dal rumore dei carri armati. I massacri della guerra fratricida e degli interessi di parte sono cantanti con straziante desolazione; Sidùn è il canto di un padre che piange il figlio ucciso, travolto dai cingoli di un carro armato.
Il secondo lato si apre con la giostra armonica di Sinàn capuàn pascià, che narra la storia vera del visconte Scipione Cicala, catturato dai Mori e poi divenuto fiduciario del sultano per avergli salvato la vita. L’opportunismo e il senso erratico della vita porteranno il visconte a “bestermmiare Maometto al posto di Nostro Signore”, ma nascondendosi quando le cose si mettono male. ‘A pittima invece riporta un’antica usanza genovese, legata alle usanze che i creditori avevano nei confronti dei loro debitori. ‘A dumenega invece rappresenta con tutta la sua ilare festosità il rito delle passeggiate domenicali che il comune di Genova concedeva alle prostitute, costrette nel resto della settimana al relegamento forzato. Questo brano, licenzioso e sboccato è la festa orgiastica di inaffidabili sbandati. Chiude l’elegiaca Da a me riva, dove il viaggio riprende, e la terra amata viene salutata con dolore.
Crêuza de mä è più che il capolavoro di Fabrizio De André: è il capolavoro per eccellenza della musica italiana. Grazie anche al lavoro del poliedrico Mauro Pagani, sempre aperto alla consonanza di nuovi suoni e alla loro comparazione con l’antichità, qui viene disegnato un capolavoro con selvatica vitalità, drammatica ed epica poetica, e trasfigurazione emotiva. Il viaggio proseguirà con Le nuvole e si concluderà con Anime salve. E se come tutte le più belle cose, De André visse solo un giorno come le rose, la sua arte è l’eterna primavera che resta nei secoli dei secoli!

Crêuza è stato il miracolo di un incontro simultaneo fra un linguaggio musicale e una lingua letteraria entrambi inventati. Ho usato la lingua del mare, un esperanto dove le parole hanno il ritmo della voga, del marinaio che tira le reti e spinge sui remi”.
(Fabrizio De André)

Luglio 2017: Fabrizio De André – CREUZA DE MA (1984)ultima modifica: 2017-07-24T17:58:50+02:00da pierrovox

Potrebbero interessarti anche...