La ragazza dei crediti

Dall’inizio di quel timido capolino attraverso la porta, sei entrata ed uscita dalla nostra stanza non ricordo più quante volte, una decina? Non le ho contate ad essere sincero ed ero anche un po’ perso o più opportunamente concentrato sui tanti ragionamenti all’ordine del giorno.

La riunione era iniziata alle 9:30; c’era ancora molto da discutere malgrado le prime due ore già trascorse. Lo startup della nuova banca ci impegnava su troppe criticità ancora da smarcare, quale sarebbe stato il target dei clienti campione? Quali i criteri per la generazione dei portafogli?

Sei entrata per utilizzare la fotocopiatrice, la più vicina al tuo ufficio, ed è stato in quel momento che la cravatta mi stringeva al collo più del normale e l’ambiente mi sembrava chiuso di un’aria troppo pesante.

Sono bastati venti metri al massimo di quel tuo passo deciso, quei movimenti perfetti, stretti in un tailleur blu, le gambe nude – alte – che laceravano l’aria con un fruscio di pelle… ed un sorriso di padronanza che mi ha lasciato disorientato.
Roberto e Mario che analizzavamo gli ultimi flussi di dati, si sono arrestati per fissarmi attendendo una risposta ad una domanda posta che non avevo udito in alcun modo.

– ma sta seguendo Ingegner Penna? –
– no, scusate, ma oggi il condizionatore è rotto vero? –

Loro non mi hanno di certo capito, ma il tuo accenno di sorriso mentre eri di spalle a loro, ha segnato un sottile traguardo di complicità.

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Alberto

Poteva essere solo questione di qualche anno e dunque lo avrei conosciuto.
Cosi come è stato per Bevilacqua, per la Maraini alla presentazione di ‘voci’ nel ’93; era allora che frequentavo quel salotto culturale a Casalotti, un quartiere di Roma. E’ stato proprio all’incontro con la Maraini che ho iniziato ad appassionarmi così per lui, nelle narrazioni di lei e per come le brillavano gli occhi parlando del compagno ormai scomparso da qualche anno.

Cosa ha di particolare Moravia? Sinceramente non lo so.

Forse un po’ tutto il neorealismo italiano mi appassiona; c’è qualcosa di assolutamente semplice in quei racconti e allo stesso tempo una ricerca di profondità di pensiero che non è propriamente ovvia. Mai nulla di scontato e mai nulla di troppo fantasticato, tipo quelle storie inverosimili da improbabili colpi di scena che alla fine ti distaccano dal poter prestarci fede.

C’è la realtà di tutti i giorni e di tutti noi.

C’è l’esposizione di una verità attraverso il susseguirsi di situazioni. Ciò che difatti assume valore è proprio questa verità e non tanto la ricerca di stile; oggi mi sembra che la ricerca d’espressione sia in primo piano rispetto al pensiero… comprendi quello che voglio dire? Pagine di metafore e giri pindarici ma per arrivare a cosa? E il concetto?

E poi amo la scrittura in prima persona dove la narrazione è condotta esclusivamente dallo scrittore stesso e non da un terzo individuo che somiglia ad un suggeritore di teatro nascosto nella buca; senza dimenticare poi che Moravia è un Voyeur e che io sono un fotografo.
Le sue sono descrizioni visive che riconducono sempre a qualcosa di fotografico, inquadrature, particolari messi a fuoco, tagli.. luci, ombre.
Non è un caso che più registi abbiano usato i suoi libri come sceneggiature: la ciociara, la noia, l’uomo che guarda, ieri, oggi… domani – Sì, ieri, oggi.. domani, hai presente il secondo episodio della snob Milanese? Ebbene si, è un racconto moraviano…. si potrà dire moraviano?

Lo so…

…sono in conclusione… lo so, mi rimane poco altro da leggere di lui… cosa farò quando avrò finito di leggerli tutti? Non lo so… forse farò come i film di Truffaut, andrò a riprenderli uno ad uno, alla ricerca di nuove angolature, per scavare in profondità ancora qualche nuovo significato non compreso precedentemente, sì perché, tutto sommato, ciò che osserviamo risulta sempre essere differente nel tempo, rispetto alle nostre consapevolezze del momento, ma soprattutto anche rispetto al nostro stato d’animo transitorio.

self

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Pioggia in primavera

C’è un tempo scontento, una domenica da restarsene a letto, profumi di candela e tuoni alla finestra. I nostri vestiti abbandonati sul tappeto, cosa importa se siamo solo amici… se siamo nudi, se non siamo amanti… cosa importa?

Tu che ricerchi una programmazione di cinema d’autore, li guarderemmo in sequenza, sottraendoci tra il primo e il secondo tempo.
Scorri il dito lungo la mia collezione… intanto io ti dipingo un disegno inesistente, con il dito che scorre lungo le tue spalle nude.

Fai cadere briciole tra pieghe di lenzuola mangiando biscotti di riso; sai che mi arrabbio? In colpa le recuperi portandole alla bocca, ridi come una ragazzina…
sai che mi fai sorridere?

E’ una giornata da bagno caldo, vapore sui vetri e profumi di schiuma alla mela; attendimi ammollo, ti porto un mio accappatoio. Mentre ti alzi con ancora un po’ di sapone addosso, scoppi bollicine con un’unghia… una giornata per vederti con i capelli bagnati, per prenderti… e farti prendere così…

Ma fuori piove e prenderò l’impermeabile.

Fuori piove e passeggerò, piccoli colpi all’estremo opposto di una sigaretta per far precipitare la cima in bilico. Scalcerò qualche vetro di bottiglia infranto, invidierò qualche coppia… perché malgrado il tempo piovigginoso, non so dove tu sarai e dove te ne andrai; perché malgrado questo tempo…

…noi siamo soli…

Piove

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Di riflesso

Come sei? Remissivo o ribelle? Coscienzioso o incosciente? Razionale o impulsivo?

Sono un po’ tutto e il contrario di tutto; dipende dalle situazioni. Perché precludersi qualcosa? Ho sentito dire che si vive una volta sola e sono legato alla vita – lo ammetto. L’arte sta nel non cadere nell’incoerenza, sta nel riuscire a mettere tanti aspetti caratteriali in accordo tra loro, nel rispetto di se stessi e degli altri.

C’è una sintonia che cerco, è una frequenza d’onda armonica, cambia sulla base di un coinvolgimento emotivo che non sia mai rovinoso, spesso riesco, spesso causo danni – danni anche irreparabili.

Ed è su questo che di riflesso, rifletto.

autoscatto

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Muratti

Appena alzata ti avvicinavi alla finestra della cucina per capire che tempo faceva fuori, ti accendevi una Muratti e lasciavi che il fumo uscisse dall’imposta verso il cortile.
Io nel frattempo mi versavo del caffé appena fatto, ti osservavo di spalle mentre studiavi l’esterno oltre il sottile velo delle tende; ti sentivi bene…e ti sentivi mia.

Più o meno lo stesso rito avveniva la notte, ma fuori rimaneva tutto in ombra; mentre io dormivo, tu ti alzavi nel cuore delle ore notturne, insonne di un’ansietà traboccante.
Solamente dall’esterno, oltre i vetri e la patina di cotone, qualche felino poteva intravedere nel buio la punta della tua sigaretta accesa; eri tu in piedi alla finestra con lo sguardo perso nel buio, a domandarti, quando e come… avresti pagato tutta quella felicità che ti stavo regalando.

muratti

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ieri, oggi e domani…

Quel che c’è stato ieri
non ci sarà domani
quel che c’è adesso
è tutto.

E se mai ti avessero chiesto: “ma con lui riuscirai a dividere un futuro?”, tu avresti risposto loro che eri sono troppo presa a viverti il suo presente.

 

Manuela

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Pizzeria d’asporto

E’ comparsa solo per quella sera, poi non l’ho più rivista. Scarabocchiava disegni calcando su un taccuino a quadretti, tre/quattro pagine dopo le ordinazioni.
Era soprappensiero, aveva smalto rosso graffiato, forse era innervosita.
Io arrivai davanti al bancone, sollevò lo sguardo spicciandosi di ritrovare la prima pagina.

Un sorriso…
– Mi dica? –

Mi vergognavo ad ordinare la mia solita pizza – la Messicana, un intruglio di fagioli, pepe, salame piccante e peperoncino… come poteva un uomo come me… ad una donna come lei…

– una Margherita –

Un appunto, uno strappo… poi via fuori, ad accendersi una Diana di giustificazione. Teneva il pacchetto nella tasca destra del grembiule, l’accendino in quella sinistra, e sotto teneva delle gambe bianche.

Aspettai sulla panchina interna, oltre la vetrata, lei sulla panchina esterna al di là della medesima.
Ci separavano due centimetri di vetro piombato, antiscasso, con fette di pizza adesive, mozzarelle fondenti.
Se non fosse per quella lastra di vetro, la mia schiena avrebbe poggiato sulla sua, i suoi capelli neri avrebbero gravitato su la mia spalla sinistra… non mi voltai per tutto il tempo. …poi il telefono della pizzeria prese a squillare…

– Adriana rispondi tu… ma dov’è? Adriana… Adriana…! –

Ma chissà che fine ha fatto Adriana…

 

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Cadorna

Magari le tue non sono le medesime sensazioni, un senso di indecisione mi separa da te, oltre i due binari della metropolitana, tu in direzione Sesto, io in direzione Bisceglie.

Il tabellone dell’arrivo del treno segna quattro minuti ancora, sei seduta su una panchina, mi fai un gesto con la mano, faccio un cenno anche io …ma in realtà vorrei tornare da te e dirti di fermarti ancora.

In realtà vorrei fermare questo tempo, le persone attorno immobili, le lancette dei secondi che si interrompono, ed anche il vento, messaggero del treno che segnerà la nostra separazione, vorrei che si arrestasse per sempre.

Vorrei fermare quest’istante come un cartellone pubblicitario che ti sorride di spalle, vorrei fermarti e non so bene poi perché, imprigionarti in questo tempo dove c’è tutto e non manca nulla…. c’è luce, c’è colore, c’è quiete… c’è….

…ma il vagone travolge questa piccola eternità in un secondo.

metropolitana milano

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