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Ascari: I Leoni d' Eritrea. Coraggio, Fedeltà, Onore. Tributo al Valore degli Ascari Eritrei.

 

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L'Ascaro del cimitero d'Asmara.

Sessant’anni fa gli avevano dato una divisa kaki, il moschetto ‘91, un tarbush rosso fiammante calcato in testa, tanto poco marziale da sembrare uscito dal magazzino di un trovarobe.
Ha giurato in nome di un’Italia che non esiste più, per un re che è ormai da un pezzo sui libri di storia. Ma non importa: perché la fedeltà è un nodo strano, contorto, indecifrabile. Adesso il vecchio Ghelssechidam è curvato dalla mano del tempo......

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Storia. RIASSUNTO ANNI 1935-36

Post n°153 pubblicato il 11 Settembre 2008 da wrnzla

Fonte Testi: Cronologia.Leonardo.it

RIASSUNTO ANNI 1935-36

(Oggi diremmo che sono di parte; ma questo leggevano gli italiani; non dimentichiamolo)
(Noi qui cerchiamo solo di capire)

* LA POLITICA COLONIALE DAL 1878
FINO ALLA CONQUISTA DI ADUA (giugno 1935)
(una lunghissima storia)
(PRIMA PARTE)

* NAZIONE-GOVERNO - POLITICA COLONIALE dal 1878 FINO ALLA CONQUISTA DI ADUA (agosto 1935)
(seconda parte)
* RAPPORTO DEI "13" DEL 6 OTT. 1935 della S. d. N.: L'ITALIA "HA AGGREDITO!" - SANZIONI! !
(gli articoli sopra in neretto seguono nelle successive pagine)
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L'Italia, che era uscita con le « mani nette» dal Congresso di Berlino del 1878, che era rimasta impassibile di fronte alla occupazione francese di Tunisi nell'81, che aveva opposto un rifiuto all'invito inglese di collaborazione in Egitto nell'82, ai primi di febbraio dell'85 occupò Massaua.

I precedenti dell'occupazione sono abbastanza noti : preso inizio dalla proposta avanzata nel '59 da Monsignore Massaia di acquistare un punto sul litorale del Mar Rosso per fondarvi una colonia penale, attraverso le iniziative delle Associazioni per l'esplorazione dell'Africa in virtù delle quali all'idea originaria di avere una colonia penale era andato sostituendosi il proposito di organizzare una stazione marittima commerciale, la opportunità di possedere un po' di terra fuori dei confini della Patria aveva avuto finalmente una concretizzazione nell'acquisto fatto a varie riprese dall'armatore Raffaele Rubattino di una zona sul mar Rosso intorno ad Assab dove, nel 1880, si era insediato un governatore civile ; a due anni di distanza, tutta la zona, per un'estensione di 630 chilometri quadrati, era stata dichiarata « Colonia italiana ».

Dall'80 all'85 intercorre un periodo vivace di ricerche e di esplorazioni nelle quali il Giulietti e il Bianchi trovano la morte: l'eccidio, anzi, della spedizione Bianchi è il pretesto corrente che determina la occupazione di Massaua.
Così, grosso modo, sono cominciate le vicende coloniali della Italia costituita a Nazione.

Al Congresso di Berlino del giugno '78, le Potenze europee, impressionate dei vantaggi derivati alla Russia dalle sue vittorie e dal trattato di Santo Stefano, stipularono una limitazione degli acquisti russi nell'Asia, proclamarono l'indipendenza della Serbia e del Montenegro, dichiararono la costituzione della Bulgaria in principato tributario del Sultano, stabilirono la cessione di Cipro all'Inghilterra e la sottomissione della Bosnia e dell'Erzegovina all'Austria, concessero libertà di azione alla Francia per Tunisi e... si compiacquero, nell'intimo del loro cuore, che da tutto codesto pasticcio l'Italia del buon Cairoli se ne uscisse monda e linda con la coscienza evangelicamente pulita e con le saccocce squallidamente vuote : semplicità di francescani !

A Montecitorio il trattato di Santo Stefano fece fiorire una serie di rilievi, consigli, suggerimenti, pronostici : l'On. Miceli opinò che, in omaggio ai principi del Risorgimento, unica soluzione conveniente all'Italia per il conflitto orientale fosse che « le popolazioni (dovessero) essere le sole eredi della successione ottomana aperta in Europa » ; l'on. Musolino, spesso e da più parti interrotto, fece voto :
1°, che il Governo, messosi d'accordo con i Gabinetti inglese e austro-ungarico, propugnasse, in un eventuale Congresso, una politica comune,
2°, che fossero mantenuti vivi il trattato di Parigi del 1856 e la convenzione di Londra del '71,
3°, che le province europee e asiatiche dell'Impero ottomano venissero riconosciute e garantite neutrali da tutte le Potenze.
Visconti Venosta, accettato il concetto che l'Italia in Oriente non avesse ambizioni di sorta, visto e considerato che se le avesse avute si sarebbe posta in contrasto con i santi dogmi in nome dei quali aveva acquistato l'indipendenza, non si dispiacque di insistere sulla teoria del piede di casa anche perché non gli sembrava utile destinare forze e denari a scopo che non fosse lo svolgimento del « benessere sul suolo stesso della Patria » - e non mancarono i bravo e i benissimo alla paciosa dichiarazione - ; proclamò, tuttavia, la giustezza delle aspirazioni morali e commerciali italiane in Oriente le quali, a suo giudizio, solo con un savio equilibrio mediterraneo avrebbero avuto difesa e tutela.

L'On. Depretis, Presidente del Consiglio, impegnatosi a difendere l'opera propria e a tentar di mettere nell'imbarazzo il Visconti Venosta che, uomo di Destra, aveva pur maneggiato la politica estera fino a due o tre anni prima nei gabinetti Ricasoli, Lanza e Minghetti, esaltò retoricamente l'indirizzo seguìto dal suo governo nelle contigenze recenti : « politica di neutralità e di pace, - egli disse - d'umanità e di giustizia, giacché nei limiti del possibile abbiamo difeso e cercato di far prevalere sempre gli interessi della giustizia e della umanità, pur mantenendoci liberi per poter portare la nostra legittima influenza sia a ridonare all'Europa i benefici della pace, sia a difendere gli interessi morali e materiali che l'Italia ha e deve conservare illesi nella grande questione d'Oriente ».

Come fosse sperabile di conciliare tanti umanitarismi con la tutela degli interessi « morali e materiali » dell'Italia non apparve né appare chiaro, a patto che la soluzione non la si voglia vedere nella bella accademia che ebbe luogo nel gennaio dell'anno seguente quando l'On. Cairoli intervenne nella discussione sul Bilancio degli affari esteri per rispondere ai parecchi oratori che avevano criticato la sua opera di ministro.
Dire che tutti quelli oratori mostrassero di possedere una chiara visione della condotta che al Congresso di Berlino sarebbe stato doveroso seguire é un pochino azzardato : il Petruccelli della Gattina, ad esempio - oratore fecondo e ingegno brillante - pur riconoscendo che la Destra, cadendo nel '76 dal potere, aveva lasciato il Paese in buone condizioni internazionali, divagò nel muovere appunti, lui, Sinistro, al Visconti Venosta, non sufficientemente adatto, secondo il suo parere, a comprendere la convenienza per l'Italia di non vagheggiare eccessive velleità antirusse ; il De Renzis deplorò l'incertezza della politica estera governativa, e l'Alvisi chiese una maggiore lucidità nell'azione della nostra diplomazia ; suppergiù si espressero il Maurigi, il Pierantoni, il Musolino ; ottimista fu il Visconti Venosta che dichiarò : « il trattato di Berlino non ha offeso alcun interesse diretto e positivo dell'Italia ; noi non abbiamo avuto che un danno morale : il danno di assistere passivamente, di rimanere all'infuori degli accordi e delle intelligenze fra le grandi Potenze» (un'inezia !), e l'On. Crispi preferì - ahimé ! - di fare il processo alla politica estera della Destra fino al 1876....

Il Cairoli, asserito che l'insuccesso era dovuto più che alle deficienze degli uomini alla ineluttabilità delle circostanze, ricordate le dimostrazioni antiaustriache avvenute in quel tempo e riconosciuto il nesso della politica estera con la politica interna la quale « per essere buona, deve, col rispetto delle leggi, mantenere quello delle fondamentali libertà », si vantò di aver lasciato l'Italia, alla sua uscita dal Ministero, in cordiali rapporti con tutte le Potenze europee.
Il Depretis, poi, fece un lungo discorso in cui sarebbe assai disagevole rintracciare una documentazione storica qualunque della pur interessante situazione politica d'allora.
Né più sottili furono, in genere, gli oratori al Senato i quali, concedendo che l'Italia non fosse uscita menomata dal famigerato Congresso, porsero l'occasione al Depretis di prendere atto di simile facile accontentabilità e di sbrigarsela in cinque minuti con poche parole : « Mi pare che sia unanime il giudizio dei Senato, o almeno che sia l'opinione di molti oratori, che i nostri rappresentanti hanno fatto tutto quello che si poteva fare al Congresso. È stato anche ammesso - soggiunse - che dal trattato di Berlino un danno vero e reale non é fatto all'Italia. Mi pare che anche su questo molti oratori siano d'accordo ; anzi, parmi credano che questo trattato sia un miglioramento notevole che possa facilitare la soluzione definitiva della gran questione d'Oriente ».

Il Chiala informa che « le dichiarazioni dell'On. Depretis tornarono assai gradite a Vienna » e che il conte Andrassy ne trasse motivo per manifestare al generale Robilant - nostro rappresentante nella capitale austriaca - i suoi sentimenti di viva sodisfazione ( LUIGI CHIALA, Pagine di storia contemporanea, fasc. 2° Torino, Roux Frassati & C., 1895, pag. 30.), ma non ci informa se proprio quella sodisfazione non fosse la riprova- migliore della sconfitta della nostra politica internazionale.
La questione tunisina o, per essere più esatti, le macchinazioni della Francia per stabilirsi definitivamente e risolutamente in Tunisia e che avevano già formato tema di dibattito e offerto motivo di non infondate apprensioni, furono denunziate a viso aperto nel luglio del '79 dall'On. Damiani il quale elencò una bella filza di atti di imperio arbitrari dei quali uno solo avrebbe dovuto essere più che sufficiente a convincere dei veri intendimenti che animavano il Governo di Parigi e i suoi esecutori : sostituzione di uomini e di funzionari non abbastanza docili ai rappresentanti francesi, sviluppo di reti ferroviarie interne utili agli interessi della Repubblica, impianti telegrafici del pari richiesti da mire conquistatrici, servizi postali e di navigazione non tanto d'indole commerciale quanto d'indole strategica e militare, fondazione di istituti e costruzione di opere di non dubbia natura guerresca....

Alla denunzia, cui fecero corona rilievi svariati e richiami molteplici, non vennero opposte obiezioni di saldo valore : tra le riserve tacite e le riserve palesi, né il Depretis né il Cairoli seppero dimostrare la bontà dei loro propositi e la consistenza dei loro programmi : solite premesse e solita retorica : « conservare rettitudine nei rapporti con le Potenze estere », « adoperarsi affinché i patti corrispondano agli intendimenti », « avere una politica conciliante ma nello stesso tempo ferma, onorevole, degna dell'Italia » : contraddizioni e vuotaggini.
Le discussioni dell'anno dopo confermarono il senso di disagio e di malcontento che, a dispetto delle parole tranquillanti, era in fondo all'animo di ognuno : la stessa irrequietezza che portò nel marzo dell'80 Destri e Sinistri a rinfacciarsi crudamente i reciproci errori - veri o supposti che fossero -ne fu dimostrazione eloquente : il Cairoli accusò il Lanza di aver falcidiato nel '66 le spese per l'esercito quando più minaccioso si faceva l'orizzonte politico in Europa ; il Lanza ribatté dicendo di ignorare se il Cairoli, qualora si fosse trovato nel '66 al potere, avrebbe piuttosto seguito la politica di Aspromonte e di Mentana ; il Sella, tirato in ballo dal Cairoli, aggiunse che era molto comodo per il Gabinetto cercare dei punti di critica sulla politica della Destra anziché difendere con argomenti sostanziali la politica propria ; il Cairoli replicò richiamando la Convenzione di settembre e parlò di decoro nazionale non interamente rispettato, e il Visconti Venosta protestò esprimendo il sospetto che se il Cairoli fosse stato al Ministero degli Esteri dieci anni prima, l'Italia, il giorno in cui si fosse preparata ad andare a Roma, avrebbe avuto « il crudele imbarazzo di trovarvi i soldati e la bandiera francese ».

La discussione dei supremi interessi della Nazione degenerava, così, in un accusarsi e in un diffamarsi a vicenda : le beghe di partito e le acidità personali si sovrapponevano allo studio e alle indagini serene, ma sotto l'irrompere dei rimbrotti e sotto il rinfaccio degli insuccessi, c'era, a fondo comune, la sensazione dolorosa della sconfitta, la insoddisfazione generale per l'umiliazione subita che invano le chiacchiere tentavano di nascondere e gli sfoghi non decorosi cercavano di attenuare.
Era un malessere largamente diffuso di cui ciascuno era, un po', la causa e la vittima : causa e vittima del presupposto ridicolo di tutelare gli interessi dell'Italia e di fare, nel contempo, una politica a base di umanitarismi e di appelli continui alla giustizia, alla pace, alla libertà.

Solo il Crispi ebbe, la Dio mercé, il coraggio di indicare quale fosse la condotta per un Governo che si prefiggesse di difendere sul serio gl'interessi materiali e morali del Paese: essere forti per imporre all'Estero la propria volontà : « Per essere rispettati - e le sue parole a mezzo secolo di distanza hanno ancora il valore di un ammonimento - per essere rispettati all'estero bisogna essere forti, e non si può essere forti senza un potente esercito e senza avere una coscienza della propria forza. Non si ha la coscienza della propria forza quando si é troppo prosaici, cioé a dire quando, come l'usuraio, andiamo dietro al centesimo invece che occuparci dei grandi interessi, dallo sviluppo dei quali la Nazione può trarre inesauribili tesori... L'Italia con prodigiosa rapidità ed in tempo così breve che le Nazioni avvenire avranno motivo da meravigliarsene, giunse a unità di Stato... Ma all'Italia é mancato un uomo di genio il quale abbia saputo darle un saldo ordinamento politico. Da venti anni ci dibattiamo Destra e Sinistra e discutiamo questioni secondarie e trascuriamo le questioni importanti le quali, risolute, dovrebbero dare alla nostra Nazione non solo la potenza ma l'impronta della potenza, perché per essere rispettati non basta l'essere ma ci vuole anche il parere ».

Ma Montecitorio non cessò di restare sordo a simili voci.
Nel novembre dello stesso anno l'On. Savini rivolse al Ministro degli esteri, on. Cairoli, delle domande tassative : « Le nuove concessioni volute dalla Francia in Tunisia hanno paralizzato le concessioni italiane ? La concessione del porto di Tunisi é una utopia o una realtà ? Insomma, a Tunisi siamo o non siamo stati vinti ? » E il Damiani, anche se un po' ampollosamente, ribadì : « l'Italia non ha il solo interesse di impedire che l'Austria si avanzi nell'Adriatico ; l'Italia ha il grande interesse di impedire che la Francia si avanzi nel Mediterraneo. Mi stringe il cuore - spiegò - il pensare che l'Italia dai 28 milioni possa non tener viva dinanzi agli occhi la storia che scende dai più antichi padri nostri a quelli meno grandi e forse meno fortunati ; possa non scorgere la più terribile delle minacce, il più grande pericolo per la sua esistenza in una Cartagine che risollevi la testa dalle macerie in cui fu ridotta » ; ma il Ministro degli Esteri, dichiarata utopia la costruzione di un porto a Tunisi, si sbizzarrì in « distinguo » fra concessioni fatte alla Francia e concessioni fatte a Società francesi, ed ebbe la faccia fresca di dire che sotto le sue personali direttive la influenza italiana in Tunisia era rinata a nuova vita e a nuova prosperità.

Nell'incalzare degli avvenimenti, nell'aprile dell'81, il Di Rudini tornò a domandare:
« È vero che l'Inghilterra ha consentito alla Francia l'occupazione permanente della Reggenza di Tunisi ? È vero che Germania, Austria Ungheria e Russia conoscevano codesto accordo e lo hanno approvato ? È vero che il nuovo Gabinetto inglese - liberali contro conservatori - é solidale con gli impegni presi dal Gabinetto precedente ? È vero che le truppe francesi hanno già varcato i confini della Reggenza ? È vero che il Governo italiano ha permesso l'occupazione anche parziale della Tunisia ? »

E analoghe interrogazioni formulò il Damiani ; fatica sprecata : il Cairoli, dopo essersi lasciato sfuggire la imprudente confessione: «siamo davanti a un avvenimento improvviso e impreveduto», e dopo aver ricapitolato a modo suo la storia delle ultime vicende tunisine affermando candidamente che, rebus sic stantibus, non si poteva « negare alla Francia il diritto di difendersi alla frontiera » purché si fosse tenuta « nei limiti prefissi da questo scopo », di fronte all'ingrossar della tempesta tentò di salvarsi facendo chiedere dal Depretis, ministro dell'interno, il rinvio con lo specioso pretesto che una discussione su Tunisi, oltreché delicata e difficile, era anche prematura ! Ma la Camera non fu del suo avviso e il Gabinetto rassegnò allora le dimissioni che non furono, peraltro, accettate.

Nel maggio dell'81 scoppiò la bomba : la Francia aveva occupato Biserta.
Il concetto che ispirò il Mancini, ministro degli esteri, nella questione egiziana, fu chiaramente intravisto dall'On. Marselli in un discorso pronunziato alla Camera nel marzo del 1883 : « rispetto allo statu quo e conservazione dell'autorità Kedivale ; offerta di una cooperazione morale per aiutare simile autorità ; se un intervento fosse necessario, preferire quello delle forze ottomane che non potrebbe qualificarsi vero intervento ; coordinare siffatto intervento con la direzione suprema che al concerto europeo avrebbe dovuto essere riservata ».
E sopra una serie di presupposti di tal genere fu impostato il rifiuto all'invito dell'Inghilterra per un intervento a due nelle faccende egiziane.
Neppure dopo il bombardamento di Alessandria, il Mancini si ricredette sulla possibilità di un intervento turco, e proseguì in una politica incerta ed ambigua che, mentre a tratti era politica di raccoglimento e a tratti politica di intervento, rivelava un sostrato caratteristicamente assurdo : la speranza di difendere gli interessi italiani senza pericoli e senza spese con la illusione che gli altri avrebbero rischiato e avrebbero speso per noi.
Il Sonnino completò le non difficili induzioni del Marselli elencando le fasi della politica manciniana in Egitto: tentativo di cooperazione con la Francia e con l'Inghilterra che l'Italia avrebbe voluto riconciliare aggiungendosi ad esse per organizzare lo Stato ; sollecitazione ai tre Imperi per un'azione collettiva in virtù della quale una ipotetica quadruplice alleanza avrebbe ostacolato l'intervento isolato inglese; e, infine, rifiuto a un passo decisivo. E, prospettato l'avanzare inesorabile di tutte le Potenze europee verso obiettivi chiaramente fissati: la Russia verso il Bosforo, l'Austria verso l'Egeo, l'Inghilterra in Egitto e la Francia a Tunisi, si chiese angosciosamente che cosa facesse, che cosa pensasse di fare, in mezzo a tanti appetiti, l'Italia : l'Italia ?

 
 
 
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- Perchè viva il ricordo degli Ascari d'Eritrea caduti per l'Italia in terra d'Africa.
- Due Medaglie d'Oro al Valor Militare alla bandiera al corpo Truppe Indigene d'Eritrea.
- Due Medaglie d'Oro al Valor Militare al gagliardetto dei IV Battaglione Eritreo Toselli.

 

 

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Medaglia d'oro al Valor Militare alla Memoria.

 

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A DETTA DEGLI ASCARI....

...Dunque tu vuoi essere ascari, o figlio, ed io ti dico che tutto, per l'ascari, è lo Zabet, l'ufficiale.
Lo zabet inglese sa il coraggio e la giustizia, non disturba le donne e ti tratta come un cavallo.
Lo zabet turco sa il coraggio, non sa la giustizia, disturba le donne e ti tratta come un somaro.
Lo zabet egiziano non sa il coraggio e neppure la giustizia, disturba le donne e ti tratta come un capretto da macello.
Lo zabet italiano sa il coraggio e la giustizia, qualche volta disturba le donne e ti tratta come un uomo...."

(da Ascari K7 - Paolo Caccia Dominioni)

 
 
 
 

 
 
 
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