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Ascari: I Leoni d' Eritrea. Coraggio, Fedeltà, Onore. Tributo al Valore degli Ascari Eritrei.

 

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L'Ascaro del cimitero d'Asmara.

Sessant’anni fa gli avevano dato una divisa kaki, il moschetto ‘91, un tarbush rosso fiammante calcato in testa, tanto poco marziale da sembrare uscito dal magazzino di un trovarobe.
Ha giurato in nome di un’Italia che non esiste più, per un re che è ormai da un pezzo sui libri di storia. Ma non importa: perché la fedeltà è un nodo strano, contorto, indecifrabile. Adesso il vecchio Ghelssechidam è curvato dalla mano del tempo......

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Storia. Le responsabilità nella Guerra d'Etiopia. Parte Prima.

Post n°187 pubblicato il 27 Novembre 2008 da wrnzla

 LE RESPONSABILITA' NELLA GUERRA DI ETIOPIA. LA POSIZIONE INGLESE A DIFESA DEI PROPRI INTERESSI
da BENITO MUSSOLINI, L'UOMO DELLA PACE - DA VERSAILLES AL 10 GIUGNO 1940. Cap. VIII. Guido Mussolini e Filippo Giannini

Parte Prima. Segue Parte seconda. >>>

Il 1935 fu l’anno dei grandi avvenimenti che avrebbero condizionato la futura politica internazionale.
Scrive Amedeo Tosti, nel testo già citato, a pag.26: "Con il conflitto italo-etiopico e il conseguente urto italo-britannico si può considerare aperta la crisi che doveva condurre alla seconda guerra mondiale. I fatti sono noti e non è il caso qui di rievocarli. Il Governo fascista aveva da tempo mire espansionistiche in Etiopia. Sul finire del 1934, in seguito ad incidenti di frontiera nella regione Somalia-Ogaden, abilmente provocati da Roma (?) e, comunque, esagerati dal Governo fascista, i rapporti fra l’Italia e l’Etiopia entrarono in una fase di acuta tensione. Della controversia il Governo etiopico volle che fosse investita la Società delle Nazioni e la richiesta trovò un valido sostenitore nel Governo britannico, il quale riteneva opportuno combattere, fin dall’inizio, le chiare aspirazioni imperialistiche di un regime autoritario quale quello fascista che poteva seriamente compromettere la pace generale, tanto più che l’Inghilterra si trovava, in quel momento, di fronte ad un grande movimento di opinione pubblica, in seguito agli atteggiamenti dell’altro Governo autoritario ed antidemocratico: il nazionalsocialismo tedesco".
È bene, intanto, sottolineare che il libro di Amedeo Tosti fu scritto negli anni immediatamente seguenti il secondo dopoguerra e, quindi risente del clima di penalizzare la parte perdente. E allora, come si svolsero realmente i fatti?
Premessa: la prima forma storica dell’impero etiopico fu il Regno di Axum (dal nome della sua capitale) che si trovava nella provincia del Tigrè a nord dell’attuale Etiopia e, secondo una vecchia leggenda, la dinastia regale di Axum discenderebbe dalla regina di Saba.
Sino agli inizi dell’attuale secolo, l’Abissinia, allora dai confini molto ristretti, si accrebbe con una politica di conquiste intraprese dal Negus Menelik e proseguita da Selassiè, sottomettendo e annettendo all’Abissinia i territori dei Galla, Sidano, Arusi, i regni negri di Kaffa e Wolamo, lo Yambo, il Barau, il sultanato di Tiern e, addirittura, nel 1935 il sultanato di Jimma. È una realtà che queste conquiste altro non erano che spedizioni per razzie di schiavi.
Quel che scrive Tosti (e, come detto, condiviso da altri): "Il Governo fascista aveva da tempo mire espansionistiche in Etiopia", non è corrispondente alla realtà o, almeno, è un’affermazione che va rettificata nel tempo. Infatti, proprio nel 1923 e proprio il Governo fascista, malgrado la diffidenza inglese, s’era fatto principale sostenitore dell’ammissione dell’Etiopia nella Società delle Nazioni, E ancora, nel 1928 era stato firmato un trattato di amicizia e cooperazione italo-etiopico.
Furono, invece, proprio i Governi pre-fascisti ad avere mire sull’impero etiopico. Analizziamo, pur se sinteticamente, i fatti: 1882, inizio della politica coloniale. Impianto delle colonie di Assab. 1885, occupazione di Massaua (Mussolini aveva due anni).
1887, fu inviato sconsideratamente in quelle terre un reparto composto da appena cinquecento uomini al comando del tenentecolonnello Carlo De Cristoforis, reparto che fu massacrato da truppe abissine guidate dal Ras Alula. 1888, spedizione di 20 mila uomini al comando del generale San Marzano contro l’Abissinia. Il sultanato di Obbia sulla costa dei Somali diventa protettorato italiano.
1889, Trattato di Uccialli: protettorato italiano sull’Etiopia.
Estensione del protettorato sulla costa dei Somali. 1890, i possedimenti italiani sulla costa africana del mar Rosso vengono raggruppati in un’unica colonia che prende il nome di Eritrea. 1895, guerra all’Etiopia. 1896, il Governo Crispi fu il responsabile, per beghe di partito fra liberali e l’opposizione socialista, del mancato invio dei rinforzi alla spedizione italiana comandata dal generale Baratieri che, proprio per le inadeguate forze a sua disposizione, subì una disastrosa sconfitta ad opera del Negus Menelik ad Adua. Erano eventi che avevano marcato in profondità la coscienza di almeno un paio di generazioni di italiani. L’umiliazione di quelle sconfitte era sentita, come sostengono alcuni commentatori: "al di là di quanto imposto dalla sua entità sia sul piano militare che politico". Ma gli appetiti coloniali dei Governi pre-fascisti si svilupparono anche verso il Nord Africa. Fu infatti il Governo Giolitti a volere l’impresa di Libia che persino Benedetto Croce, nella sua Storia d’Italia, scritta polemicamente durante il fascismo, la esaltò come iniziativa di sensibilità politica. E ancora: 1908, tutti i possedimenti italiani sull’Oceano Indiano vennero conglomerati sotto l’ unico nome di Colonia della Somalia Italiana. 1911, ultimatum alla Turchia e inizio della guerra italo-turca. Occupazione di Tripoli. La guerra venne estesa dalla flotta, oltre che in Tripolitania, anche nel Mar Egeo e nel Mar Rosso. Occupazione delle isole di Stampalia, di Rodi e di tutto il Dodecanneso. 1912, la Camera approvò con 431 voti su 470 e al Senato all’unanimità la sovranità italiana sulla Libia. Pace di Losanna tra Italia e Turchia. Istituzione del Ministero delle Colonie. Né va dimenticato che la riappacificazione della Libia, avvenuta nel primo dopoguerra, fu condotta, con mano di ferro, dal liberaldemocratico Giovanni Amendola, allora Ministro delle Colonie.
In questo contesto, va ricordata l’Albania. Infatti, per ordine del Governo Nitti vennero inviati in quel Paese notevoli contingenti di truppe italiane. A gennaio 1920 i delegati albanesi si riunirono a Lushnje e costituirono un Governo provvisorio a Tirana, chiedendo la completa indipendenza dell’Albania e, di conseguenza, il ritiro dei 70 mila soldati italiani, comandati dal generale Settimio Piacentini, che occupavano il loro Paese.Il 3 gennaio 1920, il Governo provvisorio albanese presentò un ultimatum al generale Piacentini, ultimatum che venne respinto. A seguito di ciò, il 5, il 6 e l’11 giugno gli albanesi attaccarono Valona. Le truppe italiane respinsero l’attacco e nuovi rinforzi vennero inviati in Albania.
Se quindi, ci fossero colpe da addebitare al Governo Mussolini, queste sono di essere riuscito lì dove i Governi pre-fascisti delittuosamente fallirono.
Come si giunse al conflitto italo-etiopico?
Dopo i disastri sopra accennnati, sull’Etiopia si erano concentrati gli interessi, oltre che commerciali anche strategici, della Gran Bretagna e della Francia. A testimonianza della crescente attenzione, su quella zona africana, delle potenze europee, è l’attestato dell’accordo, siglato nel 1906 il quale fissava le rispettive zone d’influenza in Etiopia fra quelle due potenze e l’Italia.
I nostri rapporti con quel Paese africano si andarono deteriorando nel 1930.
Guariglia,(6) in una memoria del 1932 scrisse "Il problema del nostro rapporto di Potenza con l’Etiopia e della nostra penetrazione pacifica e militare in essa, s’impose, ripeto, fin dal momento del nostro sbarco ad Assab".
La tensione nei rapporti italo-etiopici si aggravarono alla fine del 1934, quando un contingente abissino si accampò davanti al fortino di Ual-Ual difeso dai Dubat, soldati somali fedeli all’Italia, al comando del capitano Roberto Cimmaruta.
Ual-Ual era una località posta al confine, sin da allora incerto, fra Somalia ed Etiopia, ma mai rivendicato dal Governo Abissino.
Il 5 dicembre di quell’anno, dopo che i Dubat rifiutarono la richiesta abissina di sgombero, questi scatenarono l’assalto e lo scontro si concluse all’alba del giorno seguente con la vittoria italiana, ma le nostre truppe coloniali lasciarono sul terreno 120 morti.
Bruno Barrella su Il Giornale d’Italia del 18 luglio 1993, rammentando i fatti di Ual-Ual, scrive: "È l’ultimo di una catena di episodi di sangue che avvenivano lungo uno dei confini più labili dell’epoca.
Mussolini da tempo aveva deciso di completare la conquista del Corno d’Africa, ma la difficoltà maggiore era costituita proprio dall’appartenenza dell’Etiopa alla Società delle Nazioni come Membro a pieno titolo e dalle garanzie che il Negus Hailè Selassiè aveva da tempo ricercato, e trovate presso gli inglesi, di cui era un vassallo fidatissimo. Dieci giorni dopo Ual-Ual, il Negus, nonostante la sua piena responsabilità nella strage, chiede alla Società delle Nazioni l’avvio della procedura necessaria per un arbitrato internazionale per dirimere i contrasti con Roma. Mussolini invece pretende le scuse, la punizione dei responsabili e il riconoscimento della sovranità italiana sulla regione dove sono avvenuti gli incidenti. Ogni composizione attraverso gli organismi internazionali, fa sapere, non è desiderata né accettata. Ed a Pietro Badoglio, allora Capo di Stato Maggiore Generale, vengono assegnati i piani della guerra.
Per risolvere pacificamente il dissidio creatosi a seguito degli incidenti di Ual-Ual, venne istituita una commissione arbitrale italo-etiopica, presieduta dallo specialista greco di diritto internazionale Nicolaos Politis. La commissione il 3 settembre 1935 emetteva la sentenza attribuendo le cause degli scontri agli atteggiamenti ostili di alcune autorità locali abissine, escludendo, di conseguenza, ogni responsabilità italiana.
Una testimonianza, forse unica sulle colpe abissine per gli "incidenti" ai pozzi di Ual-Ual, ci viene fornita da un lettore de Il Giornale d’Italia, che in data 20/08/1996, quale persona presente ai fatti, scrive: "Il sottoscritto in compagnia di un maggiore del Regio Esercito nel territorio di Ual-Ual, vide i 14.000 armati etiopi che il Negus inviò contro la Somalia italiana, lungo il fiume Uebi Scebeli (3000 da una riva del fiume ed 11.000 dall’altra riva) e che solamente dietro intervento dell’aeronautica italiana, in particolare del velivolo comandato dal M.llo pilota Perego si riuscì a far indietreggiare il predetto contingente. Purtroppo diversi militari etiopi, disertori o disgregandosi (così nel testo ndr) rimasero lungo il confine che imbattendosi con i Dubat italiani, originarono l’intervento Italo-etiopico".
Mussolini cercava l’assicurazione che, in caso di conflitto, Francia e Inghilterra non sarebbero state ostili. Per quanto riguarda la Francia, nell’incontro di Roma del 4 gennaio 1935 con il Primo Ministro francese Laval, questi, in cambio di una politica più morbida dell’Italia nei Balcani e un freno nelle rivendicazioni dei diritti italiani in Tunisia, assicurò il benestare francese all’iniziativa italiana in Etiopia.
Questi accordi non risultano dai testi ma si svelano dallo scambio segreto di lettere tra Laval e Mussolini dove risulta, secondo quanto scrive Renzo De Felice in Mussolini il duce, che la Francia "lasciava mano libera" all’Italia in Europa. Il testo della lettera di Laval era volutamente ambiguo e dichiarava che l’interesse francese sarebbe stato solo di natura economica. In ogni caso, con la Francia, che avrebbe preferito avere l’Italia al suo fianco contro Hitler piuttosto che avversaria, l’accordo fu raggiunto.
E l’Inghilterra?
Scrivono molti storici, piuttosto frettolosamente, e citiamo ad esempio Max Gallo in Vita di Mussolini, pag. 199: "(Mussolini ndr) respinge un Piano Eden di compromesso, arringa centomila soldati (...)".
Ma cosa veniva ad offrire Eden a Roma il 23 giugno 1935?
A mezzo del suo Ministro degli Esteri Antony Eden, il Governo Baldwin presentò una proposta di compromesso che si articolava in questo modo: l’Etiopia avrebbe ceduto all’Italia l’Ogaden ricevendo in cambio dall’Inghilterra il porto di Zeila. Ma questo avrebbe accresciuto il prestigio dell’Etiopia a danno dell’Italia che, con l’Ogaden, avrebbe ricevuto kilometri quadrati di sterile deserto. I giornali di allora scrissero che era una proposta indecente.
Guariglia nei suoi Ricordi a pag. 245, attesta: "Mussolini seppe conservare tutta la sua calma di fronte a questa manifestazione inglese dove non si poteva dire se predominasse l’ottusità, l’improntitudine o il disprezzo assoluto non tanto verso la politica italiana, quanto verso il popolo italiano, fascista o non fascista che fosse, della cui intelligenza non si faceva, da parte inglese, il benché minimo conto".
Alessandro Lessona, allora Ministro delle Colonie del Governo Mussolini, nel 1937, così testimoniò: "Io ho il privilegio d’essere l’unico collaboratore di Mussolini a conoscenza del suo segreto pensiero e devo, per la verità, dichiarare solennemente ch’egli si augurò sempre di evitare il conflitto armato con l’Etiopia. Anche quando più decisi erano i preparativi, continuò a coltivare la speranza che "ritenendolo deciso alla guerra" si potesse giungere ad una soluzione pacifica. Cadono dunque le illazioni e le responsabilità che si sono volute addossare sulle spalle di Mussolini per aver voluto provocare la guerra etiopica ed aver così acceso la fiammella della seconda guerra mondiale. Se responsabilità vi furono, sono da attribuire alla testardaggine, all’animosità con le quali Eden condusse le trattative ginevrine".
Ma cos’era in definitiva che spingeva la diplomazia inglese ad una simile linea? Riteniamo, in primo luogo, una diversa politica inglese nei confronti del pericolo tedesco; infatti pochi giorni prima la Gran Bretagna aveva stipulato con Hitler quell’indecoroso accordo navale del quale sopra abbiamo accennato. Secondo: escluso che alcun inglese si preoccupasse davvero dell’indipendenza o meno dell’Etiopia, altri e più sottili timori furono a smuovere il Governo britannico e cioè, una volta che l’Etiopia fosse stata popolata da milioni di coloni italiani e dotata di un esercito formato da nazionali ed indigeni, essendo quel Paese posto in una posizione strategica vitale nel seno dell’Africa, sarebbe stato un serio pericolo per i possedimenti britannici in quelle aree.
Altro motivo probabilmente valido e di cui ne condividiamo il contenuto, è quello esposto da Luigi Rossi in: Uomini che ho conosciuto: Mussolini, pag. 335: "Fu proprio la visione anticolonialista ed antiimperalista di Mussolini (che rompeva gli schemi classici degli interessi afroasiatici di Londra) ad impressionare sfavorevolmente gli inglesi. Mussolini, a proposito del problema delle colonie (in rapporto all’ipotesi di un reintegro dei tedeschi in Africa), aveva sostenuto che per superare i vecchi schemi (visti i fermenti suscitati dopo la guerra soprattutto da Gandhi), occorreva un salto di qualità. Era necessaria, quindi, un’integrazione euro-afro-asiatica per valorizzare globalmente le tecnologie industriali più avanzate e le risorse di materie prime dei Paesi inseriti nel circuito coloniale, allargando i benefici comuni a tutte le popolazioni indigene. Era allora una concezione ardita (...)".
Sempre nel citato Volume, Luigi Rossi chiarisce le motivazioni dell’atteggiamento di Antony Eden, nei confronti dell’Italia, in forma piuttosto colorita. L’Autore riferisce di un colloquio avuto con un giornalista inglese dell’Agenzia Reuter, Cecil Sprigge: "Immagina" disse Sprigge a Rossi "che l’Impero britannico sia una grande automobile. L’abitacolo è rappresentato dal Regno Unito, l’albero di trasmissione si snoda attraverso il Mediterraneo per arrivare fino all’estremo Oriente, ma il motore è rappresentato dai possedimenti imperiali. Ti spieghi così la ragione per cui Eden è stato sempre così pregiudizialmente contrario a qualunque politica che potesse rafforzare l’Italia nel Mediterraneo. E siccome questa politica era spinta avanti con forza da Mussolini, ti spieghi perché Eden fu sempre un irriducibile nemico di Mussolini stesso. Diverso invece il rapporto con Hitler, nel cuore dell’Europa, stretto tra la Polonia e la Francia, premuto dalla Cecoslovacchia e guardato a vista dai sovietici".
"La storia recente" obiettò Luigi Rossi (eravamo allora nel 1956 e l’Impero inglese era già in briciole) "ha dimostrato che Eden era miope. Anzi quasi cieco".
"Sprigge sorrise e mostrò di apprezzare la battuta. Infatti Sprigge non era malato di edinite"
Gli avvenimenti precipitavano: il 20 agosto Mussolini inviò una lettera a De Bono, posto a capo del corpo di spedizione italiano in quel settore: "Io credo che dopo il 10 settembre tu debba senz’altro aspettare la mia parola d’ordine".
Il 20 settembre la Home Fleet entrava nel Mediterraneo con lo scopo evidente di dissuadere l’Italia da ogni azione in Etiopia; si trattava di una forza mai vista in tempo di pace: 6 navi da battaglia, diciassette incrociatori di vario tonnellaggio, il tutto scortato da 53 caccia, undici sommergibili, più una gran quantità di unità di appoggio.
"Mussolini" scrive D’Aroma "viveva in quei giorni un’alternativa grave di pensieri e di decisioni opposte. Alle volte gli appariva che l’Inghilterra avrebbe alla fine voluto discutere e non tagliare i ponti; in certe giornate, viceversa, gli pareva certo che l’Inghilterra, una volta stremata l’Italia con le sanzioni, subito dopo avrebbe attaccato il nostro Paese".

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...Dunque tu vuoi essere ascari, o figlio, ed io ti dico che tutto, per l'ascari, è lo Zabet, l'ufficiale.
Lo zabet inglese sa il coraggio e la giustizia, non disturba le donne e ti tratta come un cavallo.
Lo zabet turco sa il coraggio, non sa la giustizia, disturba le donne e ti tratta come un somaro.
Lo zabet egiziano non sa il coraggio e neppure la giustizia, disturba le donne e ti tratta come un capretto da macello.
Lo zabet italiano sa il coraggio e la giustizia, qualche volta disturba le donne e ti tratta come un uomo...."

(da Ascari K7 - Paolo Caccia Dominioni)

 
 
 
 

 
 
 
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