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1 Maggio 2011 Santo Subito...

Post n°540 pubblicato il 30 Aprile 2011 da unagoccia1972
 

 

beatificazione giovanni paolo II

 

 

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papa giovanni paolo II

 

Questo era il motto apostolico di Giovanni Paolo II

questo è stato lo spirito cristiano che lo ha accompagnato

durante il suo percorso.

Domani primo maggio come richiesto a gran voce

da tutti i presenti al suo capezzale il 2 Aprile 2005

Il Mio Papa verrà proclamato

BEATO!!

E COSì SI CONCLUDE DEFINITIVAMENTE CIO' CHE ERA INIZIATO

SUL SAGRATO DI SAN PIETRO IL GIORNO DELLA SUA MORTE

QUANDO LA TV CI TRASMETTEVA L'IMMAGINE DELLA SUA UMILE BARA

CON SOPRA IL VANGELO CHE VENIVA TOTALMENTE SFOGLIATO DAL VENTO,

ED IO COME ALTRI FEDELI HO LETTO IN QUEL GESTO IL COMPIMENTO DI TUTTO.

E DOMANI VERRA' SCRITTO L'ATTO FINALE.


funerale papa giovanni paolo II


papa giovanni paolo II funerale


Vi lascio con le parole della persona che gli è rimasta vicino più di tutti e che probabilmente ha vissuto in pieno tutta la sua vita papale.


navarro valls e giovanni paolo II


Era il 1984.
"Davanti a me c'è il capo della Chiesa Cattolica, il successore di Pietro, di cui avevo letto alcuni testi ma che conoscevo soltanto da lontano, come giornalista. Mi chiede se avessi qualche idea per migliorare la comunicazione della Santa Sede".
In che lingua parlavate?
"In italiano. La vostra, anzi, la nostra lingua come aveva detto la sera della elezione, parlando dalla Loggia".
Lei che idee gli propose?
"Gli dissi che non sapevo che cosa dire, così, su due piedi. E lui, ridendo: e lei me lo dica lo stesso. Lui taceva, mi studiava con il capo un po' piegato, quei suoi occhi taglienti, ironici, allegri, lo sguardo che mantenne anche quando gli occhi furono imprigionati nella maschera della sofferenza".

Per due decenni, fino a quando l'infermiera suor Tobiana Sobodka riferì di avere sentito il Papa mormorarle all'orecchio in polacco "... pozwólcie mi odejsc do domu Ojca...", "lasciatemi tornare alla casa del Padre", nella sera del 2 aprile 2005, Navarro-Valls avrebbe guardato ogni giorno in quegli occhi, cercando di capire quello che lui stesso non poteva capire, il mistero di un Pontefice destinato al cielo delle beatitudini cristiane.

"Me lo domandavo, agli inizi, anche io chi fosse, che cosa fosse il mistero di Wojtyla. Ha cambiato la storia della politica e della diplomazia, senza essere né un politico né un diplomatico. Ha rivoltato le premesse della filosofia dominante senza esercitare più la professione del filosofo, ha affascinato il mondo dei media prendendo posizioni impopolari. Voleva appassionatamente attirare l'attenzione sul messaggio, ma il mondo sembrava ossessionato dal messaggero. Credevano di amare il cantante, e non si rendevano conto, o non volevano ammetterlo, che in realtà erano attratti dalla musica".

Una musica che all'orecchio del tempo sembrava stonata.
"Perché suonava alla rovescia rispetto agli spartiti dominanti dell'epoca: il pessimismo e la cupezza della nostra esistenza e della nostra condizione umana dietro il benessere materiale del nostro piccolo spicchio di mondo, Europa e Americhe. Il messaggio di Giovanni Paolo II è radicale, rivolta quegli spartiti. Diceva: voi uomini siete molto meglio di quanto la cultura moderna vi faccia credere, siete molto meglio di quanto voi stessi crediate di essere. Dunque non abbiate paura di essere ciò che siete, creature divine".
Recalcitravano, le porpore?
"La Curia era non soltanto utile ma necessaria. E lui, come Papa, marcava la strada".
Una lunghissima strada. Duecento viaggi dentro l'Italia, poi in centosessanta nazioni fuori dall'Italia.
"Una volta mi disse una cosa che sembrava elementare: "Sa, nel passato era la gente ad andare in parrocchia. Oggi è il parroco che deve andare dalla gente". Questa, così apparentemente semplice, era una un'illuminazione straordinaria che lui portava con sé da una lunga esperienza nel proprio Paese".
Lei che è un credente, un uomo dell'Opus Dei, si rendeva conto di vivere accanto a un santo?
"Lo andavo comprendendo standogli accanto giorno dopo giorno, non avevo dubbi. La fede non l'ho avuta da lui ma accanto a lui il contenuto della fede si "vedeva", e lo metta tra virgolette perché questo andrebbe spiegato. Quello che cercavo di imparare era come la santità si sarebbe fatta carne in lui, in noi cristiani. Questo lo avrei scoperto soltanto nella convivenza quotidiana".
Per esempio?
"La preghiera. Per un credente, la preghiera spesso è un obbligo. Oppure il risultato di una convinzione fondata. Per lui era una necessità, un bisogno, come per noi respirare".
Aveva un preghiera preferita?
"Nutriva la sua preghiera con i bisogni degli altri. Gli arrivavano migliaia di messaggi di tutto il mondo, in tutte le lingue: una malattia, un problema famigliare, l'angoscia di un futuro senza futuro... L'ho visto in ginocchio per ore nella sua cappella con questi messaggi in mano: tutte le sofferenze umane come tema della sua conversazione con Dio. Penso che per se stesso non rimanesse alcuno spazio nella sua preghiera. Penso che lui non avesse delle "cose sue". Solo cose degli altri".
E c'era una costante nel parlare con Dio?
"Lui, che pure aveva riportato l'ottimismo nel mondo incupito e pessimista, custodiva un suo segreto. Era convinto che quello di cui veramente l'essere umano avesse più bisogno era la misericordia di Dio. Per questo la cerimonia di beatificazione avverrà il primo maggio, il giorno della Misericordia. Sembrerebbe un paradosso. Tanto fiducioso, tanto ottimista, lui che apriva orizzonti sterminati alla persona umana, eppure con il senso della limitatezza della creatura umana. L'ultima messa, celebrata nella stanza in cui morì, era già la messa della domenica, la messa della Divina Misericordia".
"Era un uomo allegro, è verissimo. L'ironia era il suo tratto caratteriale più evidente. Ma la sua gioiosità non era quella banale delle persone che non sanno fare a meno della risata da barzelletta. Le fondamenta del suo carattere, che io definisco allegro, stanno tutte in due righe".
Di diari? Di confessioni?
"No, della Genesi. Dove si dice che siamo stati creati a Sua immagine e somiglianza.
Lo sentiva scherzare?
"Molto. Amava scherzare, stuzzicare e prendere affettuosamente in giro anche i suoi collaboratori, i parroci e i preti diocesani delle parrocchie romane che andava a visitare. Incontrandoli la sera prima, voleva sapere quanti vecchi, quanti bambini, quante donne incinte, quanti malati gravi fossero sotto le loro cure, per poi trovarsi preparato a tutto. Ma come, Santità, gli disse un cardinale quando già stava poco bene, vuole andare a visitare un'altra parrocchia romana? Guardi eminenza che forse lei dimentica che io sono il vescovo di Roma".
Cercava sempre il contatto con la gente?
"C'era una grande fisicità in lui, baciava le donne in fronte e coccolava i loro bambini, prendeva sottobraccio i vecchi, afferrava le mani di chi gliele tendeva. "Ma sei proprio tu quello che ho visto in televisione?", gli domandò un bambino colombiano sfuggito alla sorveglianza e corso sul palco del Papa. Prima che lo riacciuffassero, lui lo abbracciò e tolse al bambino quel dubbio - che a quella età doveva essere importante".
Molti grandi santi, antichi e moderni, hanno confessato di avere vacillato, di essere stati aggrediti da dubbi. Lo so che sembra una bestemmia, detta per un Papa e oggi un beato, ma Karol Wojtyla credeva davvero davvero, come dice lei, in Dio?
"Penso che possa rispondere qualsiasi persona che lo abbia visto e seguito. La sua fede la si vedeva. Alla fine ormai della sua vita, nel 2005, quando dovettero praticargli una tracheotomia all'ospedale Gemelli per permettergli di respirare e quindi non poteva parlare, in sala post-operatoria fece un gesto. Sembrava voler dire qualcosa che non poteva dire. La suora capì. Gli portò un cartoncino con un pennarello. Lui ci scrisse sopra con decisione, a grandi lettere irregolari: TOTUS TUUS. Era mettere per iscritto la sua accettazione di quello che Dio voleva per lui anche in quel momento".
Era rassegnato.
"No, era convinto della propria totale appartenenza a Dio, attraverso l'intercessione di Maria. Ho detto convinto, perché questa era stata la motivazione profonda di tutta la sua vita di Papa. Non voleva vincere, voleva convincere, come lui stesso era stato convinto dallo Spirito quando era un giovanotto che giocava a calcio come portiere e remava sul suo adorato kayak in Polonia".
La lettera segreta di Giovanni Paolo II fece quello che le potenze militari e la Guerra fredda non avevano saputo fare.
"Quando andammo a Praga nel 1990, pochi mesi dopo la caduta del Muro di Berlino, il presidente Vaclav Havel ricevette il Papa all'aeroporto e, da buon letterato, gli disse: "Io non so se so che cosa è un miracolo. Ma oggi mi sembra di vedere un miracolo"".
Ci fu però un'altra risposta, un anno dopo la resa sovietica di fronte alla Polonia. In Piazza San Pietro. Il giorno 13 maggio del 1981. Ali Agca.
"La sofferenza era già entrata nella sua vita da anni ma probabilmente quello fu il suo primo incontro, brutale, inaspettato, con il dolore fisico: uomo robusto e sano, non lo aveva davvero mai affrontato. La prima di una serie tremenda di prove".
La corsa all'ospedale Gemelli, destinato a diventare il "Vaticano 2". Il complicato lavoro dei chirurghi sull'intestino, perforato da due dei quattro proiettili sparati dall'aggressore, con colostomia temporanea.
"Era ancora cosciente, sull'ambulanza. Perse i sensi arrivando in ospedale, per la perdita di sangue e il crollo della pressione sanguigna. Ma riuscì in un momento di lucidità a dire ai medici di lasciargli al collo lo scapolare, il rettangolo di stoffa dei carmelitani dedicato alla Vergine. Fu operato con lo scapolare addosso, quella volta e in tutti gli interventi successivi che dovette subire".
Ebbe la certezza dell'intervento provvidenziale, "materno" come lo definì, della Madonna per deviare le pallottole e non colpire organi vitali. Ci fu chi lo accusò di un peccato di superbia, per averlo pensato.
"È esattamente il contrario. Per una persona che ha il senso della totale dedizione alla Madonna, è semmai un riconoscere di aver ricevuto un dono e di avere un debito".
Ma qualche dubbio doveva averlo.
"Non sull'attentato ma sul possibile collegamento dell'attentato con il terzo segreto di Fatima. Per questo prima di far pubblicare quel testo anni dopo, mandò il cardinale Tarcisio Bertone, allora segretario della Dottrina della fede sotto il cardinale Ratzinger, in missione da suor Lucia, l'ultima superstite dei tre bambini che videro la Madonna. Voleva essere certo, sapere se l'ultimo segreto fosse davvero la profezia dell'attentato al Papa. Bertone chiese a suor Lucia se questa interpretazione fosse coerente con quello che la Madonna le aveva rivelato. Suor Lucia rispose di sì; che era coerente con quanto lei aveva scritto con l'ingenuità di una bambina di allora dieci anni che lo aveva visto attraverso questa immagine. Fece inviare a Fatima il bossolo di un proiettile sparato da Agca che ora è incastonato all'interno della corona della Vergine nel santuario".
L'incontro con la sofferenza morale era avvenuto molto presto, da ragazzo. La salita sul monte della sofferenza fisica sarebbe cominciata quel giorno in piazza San Pietro e non si sarebbe più fermata fino al morbo di Parkinson, l'umiliazione finale del suo messaggio, il male che colpisce la gestualità, l'espressività. Perché attendeste tanti anni, dodici, per ammettere che ne era stato colpito?
"Perché non ce n'era bisogno. Il Parkinson, con quel tremore incontrollabile alle mani e la rigidità dei muscoli facciali, è una malattia che qualunque studente di medicina del primo anno, qualunque persona che ne sia stata colpita o che abbia un parente che ne sia stato colpito, può diagnosticare guardando un minuto la persona che ne soffre. Lei pensa che è necessario presentare una persona incinta di sei mesi dicendo che è incinta? Lo si vede; è evidente. Anche nella patologia, Wojtyla non poteva e non voleva nascondere nulla".
Come guardava all'Italia, alla vita politica italiana?
"Con enorme tenerezza. In Italia facemmo più di duecento viaggi, visite, pellegrinaggi, e quella sua scelta celebre di rivolgersi alla folla in Piazza San Pietro usando l'italiano...".
... se sbaglio mi coriggerete?
"... Appunto. Fu la testimonianza di quell'affetto, del riconoscimento all'Italia che aveva donato mezzo millennio di papi. Seguiva la politica italiana ma non le scaramucce quotidiane. L'ho detto, non era un politico. Quando andò in Parlamento si rivolse alla nazione italiana, non a questo o quel gruppo; parlò di valori, non di destra o sinistra. Guardava spesso i titoli dei telegiornali alla sera e poi basta. Ma il capitolo di una sua amicizia italiana è tutto da ricordare".
L'insegnamento della Chiesa sembra essere così spaventato da questo nostro corpo, dalle sue pulsioni, dai suoi desideri.
"Non per Wojtyla. E io penso nemmeno per la Chiesa. Non aveva nessuna paura del corpo. Accarezzava e benediva la pancia delle donne incinte, faceva sport - quando poteva, e cioè non con la frequenza necessaria - lottava tenacemente per tenere in funzione il proprio corpo anche quando era logoro e già non rispondeva agli impulsi. Amava il corpo perché con il corpo l'essere umano si inserisce nella storia: nella storia umana e in quella della salvezza. Ma a questo amore per il corpo si aggiungeva il rispetto che un corpo - il proprio e quello degli altri - merita proprio perché non è un ammasso di cellule ma la condizione storica della persona. Di tutto questo rimane un suo magnifico libro - Uomo e donna lo creò - che è già un classico non soltanto della letteratura cristiana ma anche del pensiero umano".
Si può parlare di un capolavoro del pontificato di Wojtyla?
"Per me, il suo capolavoro è stato quello che verrà confermato nella sua beatificazione. Il capolavoro che, con l'aiuto di Dio, lui ha compiuto in se stesso: aver detto di sì fino all'ultimo momento a tutto quello che Dio gli chiedeva. La sua totale disponibilità ad essere quello che Dio gli domandava che fosse, sia quando era un giovane uomo vigoroso sia quando non ce la faceva più. Quando voleva parlare alla finestra e non ci riusciva e si agitava prima di calmarsi. Totus tuus, non ce la faccio più, e subito dopo Totus tuus. Questo era il presagio di santità che vedevo in lui, come mi avevate chiesto all'inizio, fino al momento in cui si arrese all'ultima volontà divina, che era quella di tornare alla casa del Padre. Non scelse di morire. Scelse - ancora una volta nella sua vita - di accettare quello che un Altro aveva scelto per lui".
Erano le 21,37 del 2 aprile 2005, quando il tracciato cardiografico si appiattì e il dottor Buzzonetti, medico pontificio, certificò la fine. Alla finestra della sua stanza nel Palazzo apostolico, fu accesa la piccola candela della tradizione polacca per i morti. Suor Tobiana gli posò la mano sulla testa. Attorno al letto di morte del Papa, "senza che ci fosse stato prima un accordo" dice ora Joaquin Navarro-Valls, suore, infermieri, preti cominciarono a intonare il Te Deum laudamus, non una nenia funebre, ma l'inno cristiano più solenne e trionfale del ringraziamento. Ringraziamento non per una morte, ma per tutta la vita straordinaria nell'ordinario quotidiano che l'aveva preceduta.
La piazza, là sotto, era piena, ma silenziosa. Le voci del "Santo subito" avrebbero presto riempito quel silenzio.


giovanni paolo II aprite le porte a cristo

 
 
 
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