Creato da: la.luna.piena1 il 15/03/2014
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Messaggi di Febbraio 2024

 

21 OTTOBRE 1630 UNA TRAGICA VERITA' Capitolo nr 10

Post n°295 pubblicato il 18 Febbraio 2024 da la.luna.piena1

Fra' Anselmo lasciò in fretta e furia il magister con i due chierici e si diresse verso l'entrata del ghetto ebraico. Non gli interessava  delle voci che sarebbero nate appena si sarebbe saputo della sua visita, lui voleva trovare il bandolo della matassa e fare, finalmente, luce su questo omicidio, anzi duplice perchè era sempre più convinto che le due vittime fossero collegate tra loro. Si diresse verso Via Sabbioni dove  abitava la persona che senza ombra di dubbio lo poteva aiutare . La persona, anzi la vedova di un ricco commerciante( imprestava pure denaro a chi ne aveva bisogno, senza fare differenza fra ebrei e cristiani) abitava in una casa talmente maestosa che poteva ospitare tranquillamente una sinagoga all'interno del cortile. Sviluppata in un palazzo maestoso e quasi facendo confine tra il ghetto e la città cristiana, si apriva su un lussuoso ingresso dove ad attenderlo vi era colei che lo poteva aiutare. Non erano sconosciuti Fra' Anselmo e la vedova perchè la loro conoscenza era nata a Roma, e si scambiarono un affettuoso abbraccio appena furono vicini. La vedova fece strada attraversando un cortile che era circondato da vari accessi. In uno di questi, l'inquisitore, vide una stanza con un camino scoppiettante e con degli affreschi che coprivano senza ombra di dubbio tutte le pareti, dando un senso di calore a chi aveva la fortuna di entrare in quella stanza. La vedova ( Rachele Dafermo, questo era il suo nome)si indirizzò verso una stanza e dopo aver fatto accomodare l'inquisitore gli chiese qual buon vento lo portava a Ferrara che non era tanto vicina alla città eterna. Il nostro inquisitore  le rispose che era stato mandato a Ferrara per i lutti che vi erano stati. L'inquisitore , guardandosi intorno, disse che un'idea già si era fatta nella sua mente ed era li proprio per chiedere conferma alle sue supposizioni. La vedova con finta aria stupita gli chiese a che supposizioni intendeva dire. Le disse che la sua casa era ai limiti  estremi del ghetto e dalla finestra si potevano vedere i cancelli che separavano il ghetto dal resto della città. La vedova confermò quello appena detto e aggiunse che era una esigenza del suo povero marito per i suoi affari.

 Disse inoltre che tutta la città sapeva che in quella casa si concludevano affari sia con cristiani e ebrei; bastava solamente chiedere udienza e si concludevano affari con un profitto equo per le due parti. La vedova Rachele, guardandolo gli chiese seriamente se la voleva denunciare alle guardie papali dato che era un reato molto grave e a volte si veniva condannati e requisite tutte le proprietà. Fra' Anselmo la rassicurò, dicendole che era ben lungi da lui l'idea di denunciarla, ma gli servivano alcune informazioni proprio inerenti all'attività del marito e che sicuramente non era stata abbandonata dopo la sua morte. Sicuramente vi erano famiglie più o meno nobili che si rivolgevano a lei per avere un prestito di scudi in attesa di tempi migliori . Ecco, lui voleva sapere quali erano chi si trovava in difficoltà. Rachele disse che non era una cosa fattibile e anzi molto pericolosa per la sua incolumità. Quale famiglia si sarebbe rivolta ancora a lei sapendo che poi tutta la città o il tribunale dell'Inquisizione sarebbero stati informati?. Disse che era una cosa troppo pesante da chiedere, anche nel nome della loro vecchia amicizia e caso mai l'avrebbe aiutato o cercato di aiutarlo in altri modi. Fra' Anselmo non disse nulla per farle cambiare idea anche perchè sapeva che ciò che aveva appena sentito era la nuda e cruda verità. La vedova  gli disse solamente una frase sibillina: Si farebbe prima a menzionare chi non è mai entrato in questa casa a chiedere denari......  

 
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21 0TTOBRE 1630 Una tragica verità capitolo9

Post n°294 pubblicato il 04 Febbraio 2024 da la.luna.piena1

Mentre , nel ghetto ebraico, si poneva domande su domande, supposizioni su supposizioni senza venirne a capo minimamente, nella città, il domenicano Fra' Anselmo iniziava a fare le sue indagini personali. Per prima cosa, volendo vedere la ferita mortale e come era stata inferta, decise di vederla con i propri occhi e quindi decise che il cadavere della prima vittima doveva essere riesumato.  Fra' Anselmo, si diresse verso il palazzo sede del tribunale dell'Inquisizione per chiedere alcune cose all'Inquisitore di Ferrara, ma senza far trapelare la vera ragione per non destare sospetti o contrasti, anche se lui aveva avuto dal Papa, carta bianca e doveva rendere conto delle sue azioni solamente al Pontefice in persona. Arrivato in tribunale, Fra' Anselmo si diresse verso l'ufficio del suo "collega", ma a metà strada gli fu detto che lo poteva trovare di sotto a bruciare libri in odore di stregoneria e di eresia. Fra' Anselmo, odiava questa cosa di bruciare libri che contenevano sapienze del tempo passato e che l'unica memoria per poterle tramandare erano proprio i libri. Che delitto  nefasto e quanta ignoranza fra gli uomini di fede. Non si doveva avere paura di parole solamente scritte perchè non recavano nessun male , a differenza degli atti compiuti da esseri umani. Fra' Anselmo si ritrovò in una stanza semi buia dove l'unica luce era dovuta al bruciare dei libri che l'Inquisitore guardava con aria soddisfatta. Quando si accorse della presenza estranea, si girò e chiese il perchè di questa visita e se per caso era poco soddisfatto degli alloggi messi a sua disposizione. Non erano lamentele che voleva fare, anzi i suoi alloggi erano troppo sontuosi, ma bensì erano delle piccole curiosità che lo avevano portato in quelle stanze. L'inquisitore capo , credendo che volesse chiedere  il perchè del rogo dei libri, disse che non si dovevano far circolare libri eretici e che potessero minare la fede della povera gente, analfabeta e credulona. Talmente credulona che era facile potesse cadere nelle tentazioni del maligno. Fra' Anselmo voleva ribattere, ma si morse la lingua per tacere e piano piano portò il discorso sugli argomenti che interessavano a lui. Dopo due ore di discorsi, a volte inutili e a volte preziosi, si era convinto che la cosa necessaria da fare era riesumare. Congedandosi si indirizzò verso l'università per cercare un magister in medicina e per mettersi d'accordo per l'operazione. Trovò un magister che prima fu stupito per la strana richiesta di un uomo della chiesa, ma poi accettò anche per il bene della scienza e della giustizia. Nelle prime ore del pomeriggio si trovarono nel luogo prestabilito e insieme a loro due vi erano due chierici adibiti al trasporto del cadavere al laboratorio del magister, caso mai questo dovesse aver bisogno di approfondire meglio l'esame. Non essendoci il guardiano del cimitero,( meglio così perchè meno testimoni presenti, meno si sarebbe saputo poi) l'onere della dissepoltura toccò ai due chierici. Sbuffando, manovrando con poca maestria le pale, alla fine arrivarono a far sbattere  la pala contro la misera cassa che conteneva il corpo del rabbino e furono interrotti dal magister immediatamente. Questo disse che prima di aprire la cassa era meglio proteggere naso e bocca per evitare di respirare i miasmi della decomposizione e in fretta e furia spiegò a loro come fare. La visione che si presentò a loro, appena ruppero il coperchio fu da ricordarsi per un bel po'. La pelle era diventata nera, gli occhi non erano più presenti nelle orbite e i muscoli della bocca avevano causate smorfie da brivido. Furono investiti da miasmi fetidi e che si sentirono lo stesso pur avendo le vie respiratorie protette.

Il magister era impaziente di esaminare il corpo e pungolò i due chierici a muoversi con molta più lena per arrivare  a destinazione.
Il corpo fu deposto su un tavolaccio di freddo marmo, un marmo ancora sporco del sangue e delle interiora di alti cadaveri sezionati in quel posto, sia per lezione, sia per voglia di conoscere a fondo il funzionamento della macchina chiamata corpo umano. Esaminarono a fondo la ferita all'addome, videro che aveva leso organi vitali, ma con enorme stupore di Fra' Anselmo, il magister disse che il rabbino  era già morto quando fu accoltellato. Per confermare ciò che aveva appena detto fece girare la testa dell'uomo e mostrò un enorme bernoccolo dietro. Anticipando la domanda sul bernoccolo che forse poteva essere stato causato dalla caduta a terra della vittima. indicò la posizione di questo e disse che una persona cadendo non poteva mai cadere in quel modo e quindi il colpo era stato dato quando la vittima era ancora in piedi o al massimo seduto su una sedia. Fra' Anselmo chiese di fare tutte le sezioni possibili e disse ai due chierici di soddisfare tutte le richieste del magister in sua assenza. Doveva fare alcune domande e queste erano per una persona che molto probabilmente la si poteva trovare nel ghetto.

 
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