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Certi luoghi... sono nell'anima

Post n°102 pubblicato il 31 Luglio 2012 da Larbo
Foto di Larbo

Sapevo che sarei tornato, sapevo che sarei tornato un giorno ... anche da solo..., a rimirare dal belvedere, questa grande montagna che non sa e non vuole metter paura, chiede solo di essere guardata, ispirando ammirazione, coraggio, libertà di esistere. Amo queste gole, la serpentina di strade che vedo dall'alto, le pareti nude di roccia, e il verde dei boschi che declinano a valle... all'orizzonte le montagne incrociano i loro destini; vorrei essere un gigante che siede sulla vetta e guarda in ogni dove... ma al tempo stesso anche l'insetto più piccolo che si posa sul fiore più piccolo... e contaminare ugualmente la mia anima di tutti i soffi di vento che rendono precaria la mia meravigliosa pausa. Vorrei saper dipingere e portare il quadro di queste scene sulle pareti di casa mia... Le campane della piccola chiesa rintoccano, spezzando un silenzio dolcissimo, ma unendosi al canto delle cicale, al battito d'ali di un uccello, alla quiete dei lampioni di nero ferro battuto... messi lì... come fari in un mare solido di roccia... Arrivano giorni in cui ti è chiaro che ascoltare è la prima cosa che devi fare... e devi iniziare a capire... a sentire.... a giocare e a meravigliarsi dei sensi... a sfiorare le venature di una foglia e sorprendersi.. immensamente. Forse non saremo sempre uomini....e non saremo sempre vivi, ma potremo lasciare voci, messaggi... se non agli uomini, ad ogni cosa che non è possibile toccare, ma che sappiamo esistere.... al silenzio, agli odori... alle ombre che si allungano... o alle luci che scaldano... e allora potremo dire loro di aver condiviso le loro voci, di aver guardato nella stessa direzione del vento e di aver goduto della compagnia di piccoli sentieri di montagna.... essere felici cantando le note del silenzio non è facile..... ma sapere che esiste la sua musica è un piccolo passo verso la gioia.

 
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C.P.T.

Lento scorre il tempo, in questo luogo contenuto da sbarre di ferro e viali di cemento. Bordi di grigio, racchiudono un quadro grigio. Timidi fili d’erba cercano di riprodurre una natura stretta in gusci di calce. Qualche tombino quà e la spezza la monotonia del piatto, creando fosse di piombo zigrinato ove si adagia la guazza di un’ennesima notte. Antenne come cipressi robotici si piegano al vento della sera e lampioni dagli steli affusolati, offrono i frutti di una luce fredda, racchiusa in boccioli di plastica e nettare di tungsteno. I cancelli che vedo di pesante imponenza claustrofobia, danzano ripetutamente, basculando negli stetti passi di un binario scollinato, pronti a ballare agli ingressi o alle uscite dei tanti girovaghi. Tetti e ombre, cartelli e tasti esausti di essere pigiati e una macchinetta automatica del caffé che sgorga ritmicamente miscele nere di noia per dissetare gole a volte incapaci di fare altro. Il libero andamento di questo micromondo si dissolve oltre il vetro che mi contiene; un uomo s’avvicina alle acustiche fessure dello scambio umano. Sua moglie lo attende qualche muro e sbarra più in la. Con una busta in mano, percorre i soliti passi nei soliti giorni, portando magari con se in quella busta vestita di bianco, piccole ampolle di aria lontana, da far respirare ingordamente alla sua amata. Siamo qui, come ieri, come domani a guadagnare un posto nell’olimpo dei vigilanti, dei trascrittori di nomi, dei bevitori di cappuccino, dei compositori di numeri, dei pigiatori di tasti, dei culi sprofondati nelle sedie, dei pensatori lontani che volano con la fantasia oltre le fessure equidistanti di un recinto; siamo qui a stretto contatto col nulla a condividere il niente e a sentire il senza. Si potrebbe dire basta a tutto questo, spogliarsi di un’assurda contestualità di sfere che rotolano sempre nello stesso verso e nel medesimo istante liberarsi di una cravatta nera che si slega dal suo calice di stoffa, e ritrovare finalmente il senso delle cose. Nessuna gabbia in fondo ha mai contenuto i pensieri di un sognatore.
 
 
 

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