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LA CRISI FINANZIARIA IN ITALIA

Post n°10 pubblicato il 09 Maggio 2014 da anna_maria_bruno

 

LA CRISI FINANZIARIA IN ITALIA

 

 

Nell'ambito di questo vero e proprio tsunami finanziario si è trovata anche e logicamente  la Borsa di Milano la quale,   nello stesso periodo, non solo ha subito una flessione del suo indice  più importante (S&P/MIB), ma ha subito anche e logicamente forti flessioni  sul piano della capitalizzazione di borsa e delle quotazioni azionarie.

 

 

INDICE DI BORSA

Strumento di analisi statistica che consente di sintetizzare con un solo numero l'andamento di un intero mercato o di un certo insieme di titoli. Gli Indici sono di diverso tipo:  generali (come ad es. il FTSE Italia) o settoriali (come l'FTSE Italia Tecnologia o il NASDAQ USA attinenti il solo mercato telematico dei titoli tecnologici), azionari o obbligazionari, semplici o ponderati.

Come luogo di scambio dei principali strumenti finanziari, la Borsa rappresenta un fondamentale indice dell'andamento dell'economia di un paese, in quanto mostra le aspettative di stabilità, di crescita o di crisi delle aziende quotate. In tal senso tornano particolarmente utili gli  indici di Borsa (Mib, Dow Jones, DAX, Nikkei), che rappresentano la media dei prezzi dei titoli considerati,  in una determinata unità di tempo.

In seguito alla fusione tra la Borsa di Londra e quella di Milano, nel giugno del 2009  lo S&P/MIB (Standard & Poor's/Milano Indice Borsa) ha cambiato denominazione in  FTSE MIB (Financial Times Stock Exchange/Milano Indice Borsa)

 

CAPITALIZZAZIONE

DI  BORSA

Valore complessivo delle azioni di una società quotata in borsa ad una certa data.

 

La capitalizzazione di borsa, pertanto, è data dal prodotto del  numero di azioni in cui è diviso il capitale di ciascuna  società ivi quotata, per il relativo valore di mercato ad una data prefissata.

 

 

 

        Prima di parlare delle perdite subite a livello  nazionale, occorre precisare che il nostro sistema bancario e finanziario presenta caratteristiche diverse rispetto a quelli degli Stati Uniti e di grandi paesi europei come il Regno Unito,  nei quali le banche non solo  sono molto più  specializzate  (come nello specifico nel campo dei mutui immobiliari, in cui  organismi specialistici sono esclusivamente ed interamente dediti allo scopo),   ma  hanno inoltre sempre potuto contare su una minore entità di risparmio nazionale,  visto il noto cospicuo e generalizzato indebitamento delle famiglie residenti e a  differenza del sistema italiano in cui, come sappiamo, non solo le famiglie sono sempre state caratterizzate da  una propensione al  risparmio tra le più alte del pianeta, assicurando  al sistema bancario una costante e cospicua liquidità, ma si caratterizza anche  per  una minore specializzazione delle grandi banche che attraverso le  società appartenenti al proprio gruppo e una diffusissima rete c.d. retail, operano lungo tutto il canale monetario e finanziario (dalla gestione del c/c, ai mutui immobiliari, agli investimenti finanziari agli investimenti delle PMI e delle grandi imprese).

 

 

I DEBITI DEGLI ITALIANI

 

 

L'indebitamento del settore privato in Italia è inferiore a quello osservato negli altri principali paesi.

 

Per le famiglie i debiti finanziari rappresentano il 49 per cento del reddito disponibile, (contro il 90 dell'area dell'euro e il 150 circa del Regno Unito e degli Stati Uniti);

 

Per le imprese non finanziarie, invece,  il rapporto fra debiti e prodotto è pari al 75 %, circa 12 punti percentuali in meno della media europea.

 

 (FONTE: Convegno Scuola di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza del 4/3/2009: "La  crisi finanziaria internazionale e le banche italiane" - Intervento di Stefano Mieli, Direttore centrale per la vigilanza bancaria e finanziaria della Banca d'Italia)

 

Inoltre, com'è del resto assai noto, mentre negli USA la quotazione e gli investimenti in borsa prevalgono nella scelta degli investimenti delle imprese e degli investitori, in Italia il mercato di borsa ha sempre avuto una consistenza molto meno spiccata e marcata, sia per quanto riguarda la richiesta di finanziamenti da parte delle imprese (orientate molto più  verso il prestito bancario), sia per quanto riguarda gli investimenti dei  risparmiatori, meno orientati a quelli di borsa e più a quelli  in titoli a reddito fisso.

 Viste le caratteristiche del nostro sistema bancario e finanziario e la ridotta incidenza nei bilanci delle banche italiane di operazioni più esposte alla crisi finanziaria internazionale,  le  turbolenze sui mercati  non hanno provocato crisi  di liquidità e/o  dissesti finanziari di banche o società (così  come è successo in altri paesi come gli USA, l'UK e la Germania) e non si sono verificati episodi, come ad es, nel caso della Northen Rock britannica,  i cui depositanti  si sono trovati a fare la coda per ritirare i propri  depositi.

A livello interno, pertanto, differentemente da altri Stati in cui effetti e interventi sono stati molto più consistenti, gli effetti contingenti della crisi sul  sistema  bancario hanno riguardato (da quanto mi risulta)  la  sola ricapitalizzazione imposta a UniCredit (per un eccesso di ribasso nelle quotazioni),  mentre lo stanziamento di fondi è stato molto meno imponente di altri paesi quali la Germania, la Francia o il Regno Unito. Gli interventi governativi sono stati elencati in alcuni decreti (D.L. 155 /08 convertito in legge con la L. 190/08 e con il c.d. "decreto anti-crisi" - D.L. 185/08 convertito con la L. 2/09) i quali, oltre ad unificare due canali  (il risparmio postale e quello bancario) sempre tenuti su due binari diversi, prevedendo  l'allargamento delle competenze della Cassa Depositi e Prestiti nel rilascio di garanzie, concessione di finanziamenti e assunzione di capitali  di rischio (che non si sa quali benefici e/o costi sta arrecando), hanno previsto anche  la sottoscrizione pubblica di obbligazioni bancarie speciali (c.d. "Tremonti bond"), al fine di assicurare un adeguato flusso di finanziamenti all'economia e un adeguato livello di patrimonializzazione alle grandi banche del paese .

Se a livello di liquidità e di patrimonializzazione delle banche,  la crisi finanziaria in Italia non ha portato grandi stravolgimenti così come in altri paesi, non si può certo dire che la stessa non abbia provocato effetti a livello di capitalizzazione di borsa e di quotazioni azionarie.

 

BORSA ITALIANA - PRINCIPALI INDICATORI (anni 2000/2013)

 

 

 

 

ANNO

 

SOCIETA

QUOTATE

 

CAPITALIZZAZIONE DI BORSA

 

 

MLD DI €

% SUL PIL

 

 

 

2000

 

297

 

818.384

 

68.7

 

 

 

2001

 

294

 

592.319

 

47.4

 

 

 

2002

 

295

 

457.992

 

35.4

 

 

 

2003

 

279

 

487.446

 

36.5

 

 

 

2004

 

278

 

580.881

 

41.7

 

 

 

2005

 

282

 

676.606

 

47.4

 

 

 

2006

 

311

 

778.501

 

52.6

 

 

 

2007

 

344

 

733.164

 

47.8

 

 

 

2008

 

336

 

374.126

 

23.8

 

 

 

2009

 

332

 

457.126

 

30.3

 

 

 

 2010

 

332

 

425.099

 

27.2

 

 

 

2011

 

328

 

332.374

 

21.0

 

 

 

2012

 

323

 

365.466

 

22.9

 

 

 

2013

 

326

 

446.641

 

28.7

 

(FONTE: BORSA ITALIANA)

 

 

 

 Analizzando i dati esposti in tabella, non solo è chiaramente visibile lo shock finanziario del 2001, avvenuto in tutte le borse mondiali  in seguito al crollo delle Torri Gemelle (recuperato in gran parte negli anni successivi), ma è anche chiaramente visibile lo shock provocato dalla successiva crisi finanziaria del 2008.  Rispetto al valore raggiunto nel 2006, (il più alto dal 2001), il valore della  capitalizzazione della nostra  Borsa ha subito una nuova contrazione,  come dimostrano gli indicatori relativi al agli anni successivi i quali,  non solo indicano chiaramente che la crisi c'è stata e ha provocato perdite consistenti,  ma dimostrano anche che gli effetti della crisi sono ancora e  tutt'ora in corso, essendo i valori raggiunti dalle quotazioni al di sotto dei valori degli anni immediatamente precedenti  il  2008 ed essendo chiaramente visibile come si sia notevolmente ridotta l'incidenza delle operazioni di borsa sul Prodotto Interno Lordo.

 

Bisogna ricordare che il nostro paese ha subito anche un'altra crisi finanziaria interna,  successiva al 2001 e  precedente al  2008,  come ricordano  i vari crack  del primo quinquennio del decennio scorso, quali  Parmalat, Cirio, Giacomelli e  A.C. Lazio.

 

Questi importanti episodi di mala finanza, pur non avendo provocato stravolgimenti negli indici e nella capitalizzazione di borsa, non sono stati certo scevri di effetti: non solo hanno distrutto parte o l'intero  risparmio di centinaia di migliaia di risparmiatori (le perdite dei bond Argentina, Cirio e Parmalat ammontano nel complesso a   più di 25 miliardi di Euro e  hanno coinvolto più di 500.000 risparmiatori) ma,  a differenza di crack del passato, caratterizzati da titoli atipici collocati da avventurieri della finanza, si è trattato di  titoli emessi da note imprese, collocati sui mercati da prestigiose banche internazionali e distribuiti ai risparmiatori da primari istituti di credito; primo segnale delle  squilibrate relazioni e interconnessioni esistenti tra società quotate, istituti di credito e società di rating. 

 

 

 

La perdita di ricchezza provocata  della crisi finanziaria appare però ancora più evidente se si analizzano i dati della tabella che segue,  nella quale sono riportate le quotazioni delle principali società italiane quotate alla Borsa di Milano,  in una serie di date comprese tra il 28/12/2007 (prima quindi dello scoppio della crisi) e  il 9/5/2014.

A parte casi in cui la variazione risulta positiva per rivalutazioni e ricapitalizzazioni avvenute negli anni (vedi Pirelli & C.) e addirittura a livello odierno (vedi ricapitalizzazione effettuata dalla Banca MPS), tutte le quotazioni presentano variazioni negative,  essendo il valore delle azioni molto più basso rispetto alla quotazione del 2007 (presa come riferimento base):  in molti casi, com'è chiaramente visibile,  la riduzione delle  quotazioni  supera del   50% e oltre il valore della quotazione originaria e, in qualche caso, addirittura del 75% e oltre.

 

 
 
 
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