Creato da: arrivialnerocancello il 21/04/2008
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PAROLE

Ci sono parole che non significano nulla. Ci sono parole che esprimono sentimanti. Ci sono parole che fanno capire le cose. Ci sono parole che propongono uno scambio. Ci sono parole false. Ci sono parole che non vorresti mai sentire.

Ci sono parole incomprensibili. Ci sono parole in altre lingue. Ci sono parole che informano. Ci sono parole vuote. Ci sono parole stupende, ma che dette da qualcuno perdono il loro valore. Ci sono parole inutili.

Ci sono parole timide. Ci sono parole che stentano a venir fuori. Ci sono parole che si dicono troppo in fretta. Ci sono parole senza significato. Ci sono parole importanti. Ci sono parole che si dicono, ma non se ne si sa il significato.

Ci sono parole pesanti. Ci cono parole in russo. Ci sono parole in italiano.

Ci sono parole che assumono significati diversi a seconda di chi le pronuncia. Ci sono parole forti. Ci sono parole che mettono di buon umore.

Ci sono parole dette al telefono. Ci sono parole che fanno piangere. Ci sono parole che messe in rima, formano una poesia.

 

Ci sono sguardi che valgono più di mille parole. C'è un sentimento che cresce giorno dopo giorno. C'è un cuore che batte.

 

Ci sei tu.

 

LA PHOTO

L'infinito ricorderà il di della foto
quando, di nero vestita ti mettesti in posa
i tuoi occhi e il tuo sorriso, come fior di loto
sbocciaron e illuminaron perfin la sposa.
D'un tratto dal buio e dal rumore
un centesimal silenzio piombò d'improvviso
un click del mio cuor pieno d'amore
un flash illuminò l'intero tup viso.
Eruttante di luce, come fossi stella
con un fil di voce ti dissi:" Bella! ".

I tuoi occhi dal castano al verde
che per forma non trovai in mille gatte
e la chioma che nella notte si perde
le lucide labbra tue di rosa nuvola fatte.
E diamante nel perfetto tuo sorriso
e diamante nel solco dividente,
il verde di castano intriso
dal bianco che come di spada fendente
l'ardor del mio cuor accende all'improvviso
dalle labbra il fuoco del sorriso.

Dai lobi tuoi appena ammiccanti,
oggetto di ilare mistero
perle oro e gemme accecanti
dan il via al corpo, focoso maniero.
Fonte di ardor fremente
dalle mie labbra più volte baciato
unico confin tra corpo e mente
il collo tuo, vulcano venerato.
Atrio per le tue parti più formose
che, ahimè, dalla foto posso solo ricordar come rose.

Dal castano-verde alla mirabie cascata color bianco,
mi sorprendo a confessar che null'altra vorrò al mio fianco. 

 

 

 

capitolo 23

Post n°23 pubblicato il 10 Agosto 2011 da arrivialnerocancello

A volte basta così poco.
Un gesto. Uno sguardo.
Amici che non si ritrovano da anni, ricordano di se stessi solo nel vedersi.
Ideologie si dimenticano.
Amori finiscono, altri iniziano.
Stati d'animo cambiano.
Emozioni si rinventano.
Memorie passate tornano a galla.
Così fu per me, nel vedere quell'uomo, odiato, malvisto, eppure stranamente estremamente familiare.
Ero nel letto di quel torrente dove pochi mesi prima, prima di conoscere Andrèe e la sua famiglia, mi ero, come da un lungo letargo, svegliato.
Lui era sull'argine, che mi guardava, con quel suo occhio saggio e al contempo soggiogante. Emanava una forza quasi disumana. Un'aura di assoluto potere. Come grande condottiero che infonde fiducia nelle sue truppe, mi guardava. 
E sembrava sorridere. E con lui sorrideva Andrèe mentre teneva in pugno i semi ritrovati.
Il tempo era in una sorta di stasi.
Tutto era fermo, come in un doveroso momento nel quale i rovi, la polvere non erano protagonisti. Tutto aspettava che succedesse qualcosa.
Solo i lenti ma incessanti spostamenti delle nubi che lasciavano trasparire solo languidi raggi di sole, dicevano che il mondo non si era fermato.
Ero immobile. Lo sguardo pieno d'odio verso quell'uomo che neppure conoscevo, ma che tanto aveva fatto male alla persona a cui dovevo il mio mantenimento.
Lui invece mi fissava e sorrideva. Da sotto il cappuccio, un lungo ciuffo di capelli gli copriva metà il volto.
"Vai da lui." mi disse Andrèe.
Con una mano provò a toccarmi una spalla e a farmi pressione. Ora, come ho già detto, il mio capo era una persona molto piccola, minuto e magro. Io al contrario sono alto, grosso. Forzuto. Quindi il gesto era sinceramente in buona fede.
"Vai da lui." ripetè Andrèe.
"Il babbo ha ragione, vai da lui." Era la vocina flebile di Condra. Ma non era possibile, Condra col fratello e la madre erano rimaste a casa tre giorni prima quando eravamo partiti.
Occhi spalancati. La paura crebbe dentro di me. Forse avevo avuto una sorta di allucinazione auditiva.
"Fidati di me anche questa volta, vai da lui. E tutto ti sarà chiaro." Era ritornata la voce del mio capo che mi supplicava di fidarmi di lui. Mi voltai verso Andrèe, e solo per un'attimo, un millesimo di secondo vidi Condra accanto alla sua gamba. Poi la bimba svanì. Non dissi nulla, per il momento. Le urgenze erano altre. Magari più tardi, fra qualche giorno, nel confort della magione avrei ripensato a quanto successo e ci avrei riso su.
Ora il mio destino era arrivare da quell'uomo che mi fissava.
E sorrideva.
Feci il primo passo verso di lui.
Avevo circa tre metri di arrampicata per arrivare al suo cospetto. Mi aiutai con le mani. Risalii il pendio. Fatica. 
Hallow mi fece spazio per la mia arrampicata. Mi porse una mano, per aiutarmi ad issarmi.
Cosa avrei dovuto fare?
Fidarmi di Andrèe? Non fidarmi dell'uomo che mi aveva accolto in casa sua sfamandomi e offrendomi un lavoro?
Dovevo forse rifiutare quell'aiuto? Quella mano? Quella mano assassina?
Dovevo forse fare finta di accettare l'aiuto ed invece scaraventare il ladro, il traditore giù dalla scarpata? E punirlo severamente, intascando la lauta ricompensa che LORO avevano offerto in cambio della sua testa?
Cosa dovevo fare?
A volte....
La sua mano era lì, a pochi centrimetri da me. Mi chiedeva fiducia. La mia mano, sporca di sabbia e polvere e segnata dalla salita, si staccò autonomamente dal suolo.
....basta.....
Le mani si unirono, le dita si intrecciarono.
....poco.
Il tocco di quell'uomo mi fece ricordare chi ero. Il mio nome. la mia origine. Il mio viaggio. Tutto ebbe un senso. Molti punti erano ancora oscuri ma la cornice era integra.
Mi alzai. Sorridevo anche io. Feci per inchinarmi e iniziare la "tiritera" del saluto, ma Hallow mi bloccò sul nascere. Mi porse la mano. Io gli porsi la mia. Ce la stringemmo.
"Così mi hai insegnato tu, molto tempo fa. Amico mio."
Voce calma, calda. A vederlo avrei pensato ad una voce più cattiva, da assassino.
Provai a dire che era vietato, che LORO ci avrebbero perseguiti. Ci avrebbero trovati, puniti.
Non feci in tempo ad aprire bocca che Hallow mi disse:" Tu ci hai insegnato questo modo di salutarci. Da allora, noi ci siamo sempre salutati così tra noi. Bentornato a casa, Stygo. Amico mio!".
Mi abbracciò.
Ricambiai l'affetto.
"Grazie Hallow. E' sempre bello ritrovarti."
A volte basta così poco, basta dare fiducia alle persone.
Finalmente avevo un nome, avevo un passato. 
Tra poco tempo sarei stato pronto per il mio futuro.

 
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capitolo 11

Post n°22 pubblicato il 13 Febbraio 2011 da arrivialnerocancello

Avevo perso qualcosa.
Andreè mi disse che dovevamo partire.
Bisognava tornare là, dove tutto era iniziato.
Ero sicuro, in cuor mio, che il mio capo sbagliava.
Ma era il boss. Guai a disubbidire a chi ti sfama.
Una mattina presto ci incamminammo.
Tutta la fattoria si alzò all'alba per vedere partire la famiglia di Andreè, Victor e il sottoscritto. Gli altri braccianti augurarono alla compagnia un buon viaggio. E dopo gli inchini del caso  tutti i riti antecedenti alle partenze, eravamo già sulla strada maestra, diretti al fiume dov mi ero svegliato alcuni mesi prima.
Nelle lunghe notti precedenti, Andreè continuava a chiedermi se ricordavo cosa era successo prima del mio risveglio.
Io, gli dissi più volte che la mia amnesia perdurava.
Ma lui insisteva:"Sei sicuro che non avessi nulla con te?"
"Non credo!"
"Sarebbe molto importante che tu e ne ricordassi, James. Ne va del destino di molta gente!"
Non capivo a cosa si riferisse.
Beh, naturalmente aveva ragione lui!
Nelle notti prima della partenza avevo iniziato ad avere incubi. Sognavo talmente forte che, a volte, mi usciva il sangue dal naso.  Mi svegliavo sudato, infreddolito. Tremante come di febbre.
A volte ero talmente sudato che la branda, sulla quale dormivo, era completamente zuppa e fradicia.
Mal di testa.
Era come se dal mio cranio dovessero uscire delle punte arroventate.
Mi sentivo come se il cervello avesse voluto uscire da ogni poro della mia fronte.
Sognavo sempre più spesso le foreste. Una vegetazione fitta, lussureggiante. Verde in ogni direzione.
Erba.
Pinete di conifere.
Latifogli ovunque.
E acqua. Pioggia.
Nel sogno avevo sete. Correvo per le conifere lungo un piccolo dirupo, cercando il grande fiume. Sapevo che era alla fine del mio viaggio.
Sete.
Umidità nel verde.
E io correvo fino a quando, udivo il fragore incessante del letto del fiume. Ci arrivavo di corsa, ma prima di potermici specchiare, mi svegliavo in un oceano di sudore.
Ricordavo tutto molto chiaramente.
Un'unica immagine mi risultava oscura. Sapevo che poco prima del brusco risveglio, nel sogno, mentre mi specchiavo nel fiume, annichilito dalla sete, riuscivo a vedere una piccola parte di me. Quel momento, forse assolutamente senza senso, non mi era dato di ricordarmelo.
Andreè diceva che se avesssi ricordato quel punto forse avrei abbandonato il mio stato di smemorato.
Comunque, stavamo partendo in vista di quel ponte franato dove pochi mesi prima mi svegliai.
Sulla strada, lasciata la fattoria, mi sentivo osservato ma non dalla mia nuova famiglia. Uno sguardo distante. Guardingo. Come se qualcuno, dal monte dietro di noi mi stesse seguendo con lo sguardo. Che strana senzazione!
Dovemmo attraversare la città. Ricordando i posti dove per la prima volta vidi Vincent e Condra. Io con lòe mie belle bretelle verdi e gialle.
Arrivammo a tarda notte nel punto che mi fece da giaciglio. C'erano ancora vaghi resti di quel così poco ordinario letto. Dormimmo.
Ancora quel sogno.
Correvo nel verde, sete.
Poi il fiume e nel momento in cui riuscivo a specchiarmi mi svegliavo.
Ma stavolta fu diverso. Quella notte, così vicino al fiume che mi portò in questo mondo, avevo la netta senzazione che, nel sogno, non ero un uomo. Ero una bestia.
Un animale assetato.
E un altro particolare: prima di svegliarmi, ero riuscito a specchiarmi. Avevo visto.
Corna.
Come di Bodex ma più lunghe. Rosse, sanguigne e appuntite.
Sete, corsa, fiume e corna. 
Non feci in tempo il giorno dopo a parlarne con Andreè, che partiti molto presto raggiungemmo la riva del rigagnolo, sotto il ponte caduto in rovina da tempi immemori.
Il mio capo diceva che doveva essere in quel posto. Ma nessuno di noi sapeve cosa stava cercando.
L'avremmo scoperto solo quando lo trovammo.
Esattamente nel punto in cui io mi ero svegliato, c'era una piccola tasca di pelle marrone, legata la una corda anch'essa di pelle, ma più chiara. I due lacci erano rotti. Forse l'avevo addosso e mi era caduta.
Credo fosse andata proprio così.
Restava il mistero di come Andreè sapesse di quel piccolo oggetto, celato perfino ai miei ricordi.
Andreè prese in mano il fagottino. Lo aprì. Fece segno di si con la testa e abbozzò un sorriso.
Aveva una strana luce negli occhi. Un lampo quasi famelico, quasi di pazzia.
Sorrise a denti stretti. Strinse i pugni come se avesse trovato il bandolo della matassa.
Lui era l'unico di noi che dava il viso all'argine. Alzò lo sguardo verso l'argine che divideva il fiume dalla piccola foresta di rovi, prima della strada. Sorrise.
Tutti noi ci girammo all'unisono, per vedere a chi il grande capo, proprietario del più grosso allevamento di Bodex e Fener della regione, aveva sorriso.
Una figura alta si stagliava sopra di noi.
Un uomo incapucciato. Non vidi quel giorno la sua faccia, ma scorsi un grosso ciuffo corvino che gli copriva per metà il volto.
Hallow ci aveva seguito.
L'assassino, il reietto, l'abominio fatto uomo era sopra di noi.
Ci guardava.
Mi guardava.
Sorrideva.
Nessuno fece un passo. Nessuno indietreggiò.
Lo fissai, come lui fissava me.
Percepivo il suo sguardo.
Sguardi diversi: il mio carico d'odio, il suo quasi riconoscente.
Andreè aprì con facilità la piccola saccoccia che teneva in mano, attento a non rompere quello che conteneva.
Aprì la mano e con l'altra fece scivolare fuori quello che il sacchetto conteneva.
Sorrideva.
Terra. Un centinaio di piccoli semi gli scivolarono in mano.
Semi.
Cosa c'entravano quei semi con me?
Perchè facevo quel sogno?
Verde, sete, fiume e corna.
Chi ero io?
E sopratutto chi era l'upmp che come un avvoloio mi guardava da sotto il suo mantello, e cosa Diavolo aveva a che fare con me e con la mia vita?
Terra. Semi.
Corna.

 
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capitolo 10

Post n°21 pubblicato il 06 Febbraio 2011 da arrivialnerocancello

La porta si aprì.
Non fece rumore, solo un leggero sibilo e fu subito ingurgitata dal muro.
Non aveva fotocamere, benchè erano centinaia di anni che in città porte con la maniglia non esistevano più.
Questa era una porta particolare, come, del resto era particolare la stanza nella quale il vecchio stava entrando.
Era una stanza non adibita a qualsiasi cittadino: vi si svolgevano ricerche o atti testamentari.
Il vecchio era li per un assemblaggio di entrambe le cose: doveva lasciare ai posteri il proprio testamento, doveva dare spiegazioni a colui che sarebbe arrivato dopo di Lui.
Per farlo aveva bisogno di quella stanza particolare.
Era fermo davanti all'ingresso, sulla soglia, non sapendo se era il momento giusto per fare ciò che andava fatto.
Intimidito da quella stanza vuota.
Luce bianca, intensa.
Le pareti prive di qualsiasi quadro o fotografia. Il pavimento: deserto. Non una sedia, non un tavolo. Tutto ci sarebbe stato, una volta varcata la soglia, ma per il momento tutto era luce.
Difficile era distinguere la fine del pafimento con l'inizio dei muri. Ammessso che poi l'uno o gli altri fossero presenti, aldilà della soglia.
La chiamavano "La stanza delle testimonianze" o "dei ricordi". Fin dall'ingressso il locale aveva un unico scopo: realizzare ciò che colui che era all'interno, abbisognava. L'apertura stessa della porta d'ingresso era condizionata solo dal desiderio che si aveva che questo succedesse. Se il vecchio fosse passato, distrattamente, davanti all'uscio, questo non si sarebbe aperto.
Il sol volere che succedesse, faceva avvenire qualsiasi cosa.
Bastava volerlo.
Gli umani l'avrebbero certo catalogata come una stanza magica, ma Il vecchio sapeva che invece era il frutto di migliaia di anni di ricerche scientifiche, di migliaia di scienziati concittadini avevano prestato le loro vite per la realizzazione di quella stanza.
La magia non esisteva. La magia era una LORO invenzione. Una truffa, creata per dare un senso a quello che gli umani non potevano capire.
La magia era una frottola.
Esisteva invece la scenza.
Qualunque cosa aveva un perchè. Molto più spesso di quello che qualsiasi umano potesse pensare, qualsiasi cosa succedesse, capitasse, qualsiasi morte improvvisa, qualsiasi fatto inspiegabile, aveva un suo perchè. E quasi sempre il perchè erano LORO.
Dieci milioni di anni passati a studiare, a progettare, programmare. E, naturalmente, nascondere la verità, la LORO esistenza.
Beffare, ingannare, mentire.
I sandali color porpora fecero, riluttanti, il loro ingresso nella stanza. Il vecchio con loro. Indossava una tunica fucsia, bordata con strani intarsi d'oro. In testa portava uno strano copricapo: una sorta  di cilindro ma senza la tesa, tipico della sua gente e del ruolo che ricopriva all'interno della comunità. Il torso, le braccia e le ganbe erano nude, salvo per dei bracciali ai polsi ed uno sul braccio destro, all'altezza del muscolo, emblema della sua grande importanza nel consiglio.
Il suo viso severo e al contempo malinconico, era capeggiato da una cascata di barba bianca, con grandi baffi e folte sopraciglia. I capelli erano lunghi e annodati con una treccia, anche quella, simbolo di grande autorità.
Il suo sguardo, in parte triste, si fermò a pochi passi dal centro della stanza.
Vuoto.
Bianco.
La porta si richiuse con lo stesso sibilo iniziale.
Era solo nel vuoto. Nella luce.
Poi iniziò a pensare ciò di cui avrebbe avuto bisogno. Non aveva bisogno di parlare. Bastava immaginare un trono, focalizzarlo nella propria testa, e quel trono con ogni dettaglio compariva.
Scienza!
"Da dove inizio?", si chiese il vecchio a voce alta. Quasi che parlando trovasse il coraggio di incominciare la grande opera che doveva fare.
La risposta gli venne in automatico:" Dall'inizio!".
Gli bastò pensare all'inizio che subito un'immagine di una grande astronave spaziale comparve al centro della stanza. Lui, seduto sul suo trono, decise che tutto quello a cui avrebbe pensato fosse registrato. Un giorno sarebbe stato utile al suo popolo, e ai nemici, sapere il perchè di tutto quello che negli anni era successo.
All'inizio dunque c'era popolo migratore, che come nomadi, viaggiava da un mondo all'altro portando dietro di se il sapere e la conoscenza delle scenze.
Il vecchio non conosceva o non ricordava da quando e da dove venisse la sua gente. Sapeva invece che erano sempre esistiti. 
L'astonave viaggiava in cerca di un pianeta sul quale approdare ed erigere le proprie mura. LORO, da sempre portavano la vita, la conoscenza e la cultura.
LORO erano da sempre il sinonimo di scienza.
E la scienza è vita. Tutto è vita; tutto è scienza. LORO portavano con se il grande segreto della vita.
Scelsero, nel loro interminabile viaggio, un piccolo pianeta, in un altrettanto piccolo sistema alimentato da una sola stella. Era la seconda volta nell'arco della LORO esistenza che arrivavano in quell'angolo di infinito universo. La prima volta fu per portare la vita sul quarto pianeta dalla stella, conosciuto oggi come Giove. Ma fu un disastro. Un esperimento non riuscito. O meglio riuscito bene, all'inizio. 
Poi le cose deteriorarono. Le LORO conoscenze non erano ancora ai livelli di oggi.
Tanti furono gli sbagli; il popolo da LORO generato finì con l'autodistruggersi, devastando il pianeta.
Spegnendo l'unica fiammella di vita in esso celata.
Il pianeta morì. 
La nave ripartì in cerca di un'altra galassia, lasciandosi alle spalle quell' esperimento fallito.
Ora, milioni di anni luce dopo, Erano entrati di nuovo  in quel sistema di pianeti che nella LORO lingua avevano chiamato Autin'sol-Ares (stella del fallimento).
Scelsero il terzo pianeta.
Una landa desolata. Un intero pianeta formato solo da acqua, con una sola enorme isola, formata da polvere atomica.
La  fine del quarto pianeta, oggi conosciuto come gassoso, per la sua formazione di idrogeno, elio, metano ed ammoniaca formò una preziosa onda d'energia che scisse il vicino terzo pianeta in due parti, formando così altri due pianeti tra esso e Autin'sol-Ares.
I nomi dati molto più terdi a questi pianeti furono Giove dall'antica lingua(pianeta che non è più), Marte(pianeta inabitabile), e Terra da T'er-rras (nuova patria).

 
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CAPITOLO 9

Post n°19 pubblicato il 02 Ottobre 2010 da arrivialnerocancello

Il sole era da poco sorto irradiando , con tenue luce, l’intera vallata.
Dal monte, l’uomo, appena uscito dalla caverna, la sua attuale abitazione, stava a torso nudo e guardava l’orizzonte.
Da quel punto poteva vedere tutta Tyrant-City, la fattoria di Andrèe, il maestoso deserto di rocce ed il piccolo fiume con il ponte distrutto, che formava piccole insenature dalle quali spuntavano sciami di rovi e foglie rossastre. Un piccolo bosco lo divideva dalla strada maestra sulla quale gente di ogni età andava e veniva. A volte da soli, a volte trainando carretti oppure con dei Bodex al proprio fianco. In alto nel cielo grosse nubi cariche di pioggia si stagliavano all’orizzonte, indicando che anche quella giornata sarebbe stata piovosa. 
Erano anni che all’uomo non capitava più di assistere ad una giornata di sole. Stormi di Frenin, grossi lucertoloni, con l’innata capacità del volo, si libravano alti nel cielo.
Anche se era considerato raro vederne, per l’uomo non era la prima volta. Addirittura un tempo, ne aveva anche cavalcato uno. Il giorno della partenza di Trix.
Alla sua sinistra c’era la villa.
La villa c’era sempre.

Solo dalla sua tana riusciva a non vederla.
L’uomo, a occhi chiusi, stava in piedi, immobile a braccia e dita spalancate. I palmi rivolti alla terra.
Aveva un corpo snello e asciutto. Segnato da duemila anni di lotte.
Occhi chiusi.
Tranquillità. Calma.
Aveva un amuleto a forma di uncino che gli pendeva dal collo, tramite una corda fatta con pelle animale.
Spalancò gli occhi azzurri.
Piccole saette blu sgorgarono dalle mani verso le pietre sotto di lui, attraversandogli l’intero corpo. Era il suo modo di attingere energia dalla Grande Madre Terra. La sera con lo stesso rito restituiva l’energia in eccesso.
Piccoli e graziosi lampi di energia gli fluivano nel corpo.
Dai piedi, alle forzute gambe fino ad arrivare al petto.
Energia. 
Il collo, la testa, le possenti spalle.
Lui era l’unico essere sulla Pangea ad essere a conoscenza della verità. 
Un grosso fardello.
Aveva capelli scuri e folti. Un lungo ciuffo gli scendeva coprendo per metà il volto; la sua parte più brutta. La parte animale. Il suo lato oscuro.
Ogni muscolo delle braccia fu attraversato da piccole scariche blu.
Dalle braccia per ritornare alle dita delle mani.
Il suo vero nome era EC1: Esperimento Contrario 1.
Tanto tempo fa, LORO avevano fatto esperimenti sugli animali della Pangea: alcuni intenti a formare nuove specie, altri a dare poteri straordinari agli esseri umani, la Loro più grande invenzione.
Lui fu il primo.
La serie di esperimenti dovevano fare evolvere i mastodontici animali che vivevano sulla grande isola-continente, in esseri più simili agli umani ma che mantenessero forza, violenza, ferocia, tenacia e poca intelligenza, per farne degli ottimi schiavi al servizio di LORO.
L’uomo fu il primo.
O meglio: fu il primo a restare vivo.
EC1. Esperimento Contrario 1.
Lui sapeva la verità.
Lui però detestava quel nome.
Fu proprio l’amico d’infanzia Trix che gli diede il nome col quale era conosciuto, al giorno d’oggi.
Offertosi volontario per una missine quasi suicida, Trix volle seguire le gesta di LORO per capire da dove venissero e chi fossero. Sapevano entrambi che solo pochi eletti possedevano i requisiti giusti per poter viaggiare nell’altro mondo.
Era una missione suicida.
Ma nulla andò male.
Al suo ritorno, Trix era stato via parecchio tempo. Tornò molto più colto e appassionato di quando partì.
Aveva delle risposte.
Sapeva chi erano LORO, cosa volevano e come erano arrivati sulla Pangea.
Raccontò tutto ciò che aveva imparato a EC1.
Gli raccontò che anche nell’altro mondo c’erano animali identici a quelli con i quali loro vivevano.  Ed erano per lo più estinti.
Dinosauri.
Nell’altro mondo c’erano svrariate lingue.
E c’era l’erba.
Gli animali avevano sveriati nomi. Stravaganti significati.
C’era perfino un coniglio selvatico che prendeva il nome da un noto play-boy americano, fondatore di una famosa rivista di costume.
Nomi strani.
Comunque nomi in lingue non capite sulla Pangea, ma che potevano essere capite solo da LORO. Animali uguali a quelli da cui loro erano chimicamente nati in laboratorio, chiamati con nomi altisonanti: Tirannosaurus Rex, Tricerapo, Dimetrodonte.
Diplodoco.
L’uomo dal lungo ciuffo non potè mai andare nell’altro mondo.
Non scordò mai però il nome col quale veniva chiamato nell’altro mondo l’animale dal quale l’uomo era “nato”.

H.
Aveva rinnegato da tempo immemore il nome EC1.
A.
Aveva adattato il suo nome.
L.
Ora ogni giorno, lo vedeva affisso sui muri di Tyrant-City.
L.
Era probabilmente il più famoso della Pangea. Il più temuto.
O.

Ripensando a quanto male LORO avessero fatto a lui, l’uomo, dirompente di energia vitale, unì i due polsi, pollice con pollice, mignolo con mignolo formando una conca con i palmi delle mani. Da quella, un lampo blu spiccò verso il cielo, illuminando di elettricità l’intera vallata.
W.
Per un istante, le genti che passavano sulla strada maestra si fermarono e guardarono verso le nubi, di un improbabile blu cobalto,illuminati da quel temuto lampo.
Cosa poteva essere stato?
Poi piano piano ritornarono ai loro girovagare, ai loro commerci.
Un bimbo chiese spiegazioni. Il vecchio rispose:” E’ il traditore. L’assassino. Il ricercato. E’ Hallow, il reietto. C’è una grossa taglia su di lui. E prima o poi sarò io a riscuoterla. E quando esudirò il mio desiderio, non saranno più i Bodex, saranno vino e donne. E voglio anche io una villa come quella.”
Esattamente dal giorno del ritorno di Trix, rinnegò il proprio nome e divenne Hallow.
Hallow il reietto, l’assassino, il ricercato, quello che poteva esudire il desiderio. Il traditore.
L’uomo che si doveva temere.


Hallow guardava la vallata.
Ora il rito dell’energia era concluso.
Presto si sarebbe diretto verso la fattoria di Andrèe dove lo attendevano Vlad e gli altri.
Ormai i tempi erano maturi.
Trix era tornato, per l’ennesima volta, portando con se una nuova conoscenza.
I Dynos si sarebbero ricomposti.
Presto ci sarebbe stata la marcia sulla Villa.
O la morte.

 
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capitolo 8

Post n°17 pubblicato il 17 Agosto 2010 da arrivialnerocancello

Erano già due mesi che il nuovo membro era entrato a far parte del gruppo di lavoro di Andrèe. E piano pianio era diventato un bravo allevatore di Bodex. Ora era capace di nutrire, accudire, pulire ogni tipo di animale della fattoria: dai Bodex ai Fener. Aveva anche iniziato a nutrire un forte attaccamento per Condra e Vincent e quando poteva correva sempre in loro soccorso quando l'occasione era propizia.
Cosa che faceva imbestialire Ector.
C'era odio nel suo sguardo.
Ma anche curiosità: chi era questo tipo che non aveva nemmeno un proprio nome se non James,quello che Andrèe gli aveva dato per poterlo chiamare quando aveva bisogno di lui in faccende della famiglia. Nonchè era il nome del padre di Andrèe, morto qualche anno prima in circostanze assai misteriose. Era andato in viaggio con Vlad per recarsi ad un mercato di bestiame che gli avrebbe fruttato un pò di guadagno e pubblicità coi suoi capi in Bodex. Aveva oltretutto un nidiata di piccoli Fener da vendere. Fu proprio durante lo scambio di questi cuccioli che Vlad ebbe da ridire con il compratore. Ma lo scambio che si voleva fare non era all'altezza secondo il vecchio James. Le cose andarono per le lunghe, superando abbondantemente i tre minuti a disposizione per la contrattazzione. Intervennero le guardie ma nessuno riusciva a fermare lo strano compratore e Vlad. Partì un colpo. Nessuno aveva armi con se. Non era ammesso portarle con se. Ma bastò un colpo per ferire James all'addome, procurandogli la morte quasi istantanea. Da allora Vlad non era più visto bene in fattoria anche se era stato giudicato innocente.
La colpa si era data ad uno strano personaggio incappucciato che gironzolava attorno alla fiera: un viandante dai capelli lunghi, conosciuto come Hallow, il reietto.
Era un grande onore per il nuovo arrivato portare il nome del suo predecessore. 
Non ricordava chi era, da dove venisse. Ma ugalmente frequentemente veniva invitato a cena nella casa patronale e stava a parlare con Andrèe per ore, poi bello bello se ne tornava nella propria branda.
Ector non capiva cosa c'era di diverso in quest'uomo e perchè Andrèe lo aveva preso così tanto in simpatia.
Nelle loro cene James chiedeva informazioni sulla vita a Tyran-City, sugli usi e costumi. 
Una sera, dopo che Vincent e Condra erano andati a letto Andrèe, James e Valery si riunirono attorno al tavolo.
"Toglimi una curiosità."
"Dimmi James." disse Andrèe.
"Il giorno in cui sono entrato in fattoria e tu mi accogliesti come uno dei tuoi uomini, ti eri accorto che vi seguivo da Tyran-City, che ero quel vagabondo con cui le pesti avevano parlato."
"Si, sapevo che eri tu."
"Perchè non li hai sgridati per aver parlato con uno sconosciuto?"
"Vedi James, qui a Tyran-City la gente è molto povera. I tempi sono peggiorati. I Bodex stanno piano piano scomparendo e le loro pelli si fanno più preziose. Difficilmente una persona normale possiede pelli di Bodex per coprirsi. Io ho la più importante mandria di Bodex della città eppure è dura anche per me e non mi posso nemmeno permettere un regalo decente per mio figlio. Immagina per coloro che non possiedono nulla. Tutti in città provano a dare fiducia alla gente. Se possono la aiutano. Come del resto ti hanno aiutato quando eri in difficoltà. Ti hanno vestito e nutrito. Eppure nessuno ti conosceva. Ok, ti hanno dato delle bretelle inguardabili, ma visto che non te le sei ancora tolte...."
"Hai ragione Andrèe. Sono molto attaccato a queste bretelle. Se non fosse stato per loro, le pesti non si sarebbero avvicinate a me ed io non sarei qui."
"Non conosco il motivo del perchè tu sia venuto nella mia fattoria; ma credo fortemente nel destino. E penso che se sei qui, con me, stasera, a questo tavolo ci sia una valida ragione."
"Ma potevo essere un brigante. Magari amico di quel Hallow."
"Si, potevi. Ma nel dubbio qui a Tyran-City preferiamo dare fiducia alla gente, piuttosto che essere guardinghi. In fin dei conti le pesti erano sorvegliati e per quanto riguarda il modo in cui ci hai seguito fino a casa, sei stato sotto osservazione per tutto il viaggio."
"Lo so, me ne ero accorto."
Risero.
Ma non troppo forte.
LORO ci sono. E sono in ascolto.
Tornarono seri e dopo un attimo di pausa Andrèe chiese a James:"Cosa sai tu di Hallow?"
"Nulla a dire il vero. Solo che è ricercato e che sulla sua testa hanno messo una posta molto grossa. Niente denaro, ma alla sua cattura, sarà esaudito un desiderio. Credo sia una posta grossa, visto i tempi che corrono."
"Cosa è il denaro James?"
"Non sai cosa sono i soldi?"
"No. Dimmelo tu, devono essere qualcosa di importante se scordi il tuo nome ma ricordi questa cosa."
"Diavolo! Hai ragione. Sono molto importanti. Ma non credevo così tanto...Il denaro da valore alle cose. Ogni cosa vale soldi. Chi ha abbastanza soldi può comprare più cose. E' molto difficile da spiegare."
"Hai delle strane parole, James. Prima denaro, poi soldi, poi Diavolo. Cosa è un Diavolo?"
"Un diavolo è l'opposto di Dio. Voi non avete un Dio, un essere superiore che vi ha creati, che ha creato il mondo dove vivete?"
"LORO sono i nostri signori. E' a LORO che dobbiamo obbedienza. LORO ci sono. Ogni volta che ci incontriamo dobbiamo salutarci nel modo in cui LORO ci hanno insegnato. La prassi è dovere. Facciamo un inchino e annunciamo che LORO ci sono. Un inchino per rispetto verso chi abbiamo di fronte. E rispetto verso LORO ricordandoci a vicenda che ci sono. Questa è la prassi. Questo è il dovere. Del resto LORO non chiedono sacrifici. Non chiedono nulla. Se non di rispettare il prossimo e la Loro superiorità."
"Ma se non sono  presenti, se non li accompagna il terrore perchè li rispettate?"
"SSSHHHH Non farti sentire, amico mio! LORO ci sono sempre. LORO sono in ascolto. La villa, che tu tanto detesti, perchè ti induce timore, è la Loro casa. LORO vivono lì. E' inarrivabile ed è sempre visibile. Se non è visibile perchè le case la coprono, come succede in città, essa è ugualmente messa in mostra con pitture, ritratti o statue. Per non dimenticare mai che LORO ci sono."
Fece un attimo di pausa e poi riprese:"Mi dispiace dirlo, James, ma tu temi troppo ciò che non conosci."
L'omone fece una faccia interrogativa.
"Odii la villa, ti burli delle nostre usanze, ti interessi a LORO. Li nomini. Troppo. Anche su Hallow. Cosa sai di lui? Nulla! Eppure solo perchè è ricercato e compare su un cartello "Wanted" credi che sia una cattiva persona"
"Ma... uccise tuo padre...."
" E' quello che si dice. La colpa è ricaduta su di lui. ma le prove non ci sono. Poco tempo dopo anche Vlad è  stato accusato di essere un ladro ed un assassino complice di Hallow stesso. Grazie a Ector, Vlad è morto, ma la verità non è mai saltata fuori. La prassi vuole che siano LORO a giudicare se una persona è colpevole o innocente. Non devo essere io a giudicare e nemmeno Ector. LORO ci sono. LORO giudicano. E nemmeno tu dovresti farlo."
Così si concluse quella conversazione. Entrambi sapevano che l'ora era tarda e che a LORO non piacevano tanto le lunghe conversazioni anche all'interno della stessa famiglia. Del resto era per quello che Andrèe aveva dato il nome di suo padre al nuovo arrivato: per farlo sentire parte della famiglia. Cosicchè le chiacchierate potessero durare un pò di più. E con più parole dette più ci si conosceva. Magari James avrebbe ricordato chi era. Magari Andrèe prima o poi glilo avrebbe rivelato. Sta di fatto che il momento non era ancora propizio.
Ma presto lo sarebbe stato. E quando colui chiamato James, in onore del defunto padre, avesse ricordato il suo vero nome e la sua incredibile storia allora e solo allora il destino scritto più volte si sarebbe compiuto. Solo allora i Dynos sarebbero stati ricomposti. E solo allora ci sarebbe stata la partenza.
Solo allora si sarebbe potuto iniziare a scrivere la storia.

 
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