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Sapere imparare per conoscere, capire e saper ringraziare e anche perdonare!
 

 

 
 

QUELLO CHE LE DONNE VERE DESIDERANO

Post n°100 pubblicato il 14 Dicembre 2011 da sensuale_tt
 
 
 

prostituzione

Post n°99 pubblicato il 09 Dicembre 2011 da sensuale_tt
Foto di sensuale_tt

 "troppe donne, ancora, non vivono per sé ma mettono a disposizione dell'altro il proprio tempo e, nel caso, il proprio corpo. La moglie assicura all'uomo un luogo di accudimento o la discendenza o un necessario stato sociale, la prostituta assicura all'uomo il luogo-teatro ( un mondo sessualmente e magicamente irreale, lo definisce una prostituta) dove trovano appagamento le sue fantasie erotiche. Così, io credo che anche le prostitute più pagate non fanno che ribadire l'ordine superiore/inferiore, di chi chiede e chi dà su domanda."

Estratto da:

http://www.universitadelledonne.it/prostituzione.htm

Quest'inverno ho partecipato a Torino ad un seminario sul tema della prostituzione, organizzato dal Gruppo Abele di Don Ciotti. Si è discusso di prostituzione legata al crimine del traffico di ragazze dall'Est o dalla Nigeria, ossia di tutte quelle ragazze migranti che vengono portate in Italia nei modi più ingannevoli.

Don Ciotti e gli altri partecipanti si sono occupati di quella prostituzione in cui le donne coinvolte sono vittime: vittime da salvare e da proteggere. Anche su Il paese delle donne gli articoli apparsi sul tema, non si discostano da questa scelta ossia, in generale, viene considerato dell'ampio spettro della prostituzione soltanto il segmento relativo alla prostituzione forzata.

C'è una prostituzione, invece, di cui una qualche reticenza impedisce di parlare e su cui, invece, vorrei tentare alcune riflessione: è l'esercizio della prostituzione, per scelta. Mi sono imbattuta, in questi mesi, in due libri : Prostitute di Damiano Tavoliere (Edizione Stampa Alternativa) e Le gambe della libertà di Wendy McElroy ( Leonardo Facco Editore). Il primo riporta, quasi senza commenti, le interviste-storie di prostitute italiane (donne e transessuali), il secondo ci offre un quadro della prostituzione negli Stati Uniti; la prostituzione, dunque,di qua e di là dall'oceano.

Ciò che accomuna entrambi i libri è il fatto che si parla di prostituzione per scelta; questa scelta, anzi, è rivendicata da tutte le prostitute intervistate come segno di quella libertà implicita, dice Wendy McElroy, nello slogan: Il corpo è mio e lo gestisco io delle femministe negli anni '70. Questo libro, si legge ancora, è una difesa individualista-femminista del diritto della donna di vendere i propri servizi sessuali ed un attacco all'idea che lo Stato debba imporre la virtù, compresa la versione femminista della virtù. …Quando (le femministe) cercano di negare il diritto di una donna adulta ad usare il proprio corpo pacificamente nel modo che ritiene più opportuno - anche prostituendosi- allora devono essere combattute (le femministe). Io personalmente - benchè non eserciterei mai questa attività ! - non posso che rispettare , di principio, la scelta del libero commercio del proprio corpo ma i due libri citati mi hanno suggerito interrogativi e condotta ad alcune riflessioni su cui vorrei confrontarmi con altre donne e, se mai ci fosse l'occasione, con le prostitute stesse. Mettiamo da parte, innanzitutto, il problema della prostituzione-forzata (è un crimine e come tale va perseguito!) e consideriamo soltanto la prostituzione-libera.

La prima domanda: perché queste donne hanno scelto la professione (perché così vogliono che sia definita la loro attività) di operatrici del sesso (sex workers) ? La risposta che emerge da tutte le interviste è banale: non per bisogno, per la sopravvivenza, ma per soldi: tanti e facili soldi. E si può arrivare a una forma di intossicazione da soldi, così da far dire: Non parlo mai con i clienti - dice Margot - …faccio quello che devo fare e basta. Se parlo perdo tempo e se perdo tempo perdo soldi e io sono alla ricerca dei soldi. …A me non interessa avere un lavoretto da un milione e mezzo-due milioni al mese, come si fa a vivere con una cifra del genere? Allora è molto meglio fare marchette e guadagni 10-15-20 milioni al mese. Tutte, prima della loro scelta di prostituirsi, avevano un lavoro normale; alcune anche un lavoro di un certo livello, essendo in possesso di una laurea. Tutte dichiarano che i loro guadagni, rispetto al precedente lavoro, si sono moltiplicati per dieci, per cinquanta.

Le transessuali, invece, motivano principalmente la loro scelta per una ricerca di identità; la prostituzione è il solo luogo, così dicono, da cui ricevono riconoscimento della loro effettiva identità femminile, anche se è confusa in un corpo imperfetto, ambiguo. Avrei fatto la prostituta - dice Marzia - per il desiderio di essere riconosciuta come donna… In più la transessuale - dice Leila - vede nel prostituirsi un modo per sentirsi riconosciuta e confermata nella sua nuova identità esteriore… A molte trans - dice Margot - la strada serve per affermare e riaffermare la propria capacità di seduzione, la propria femminilità. Carlos è molto richiesto dai clienti, e in generale penso che oggi travestiti e transessuali sono più ricercati che non le donne, - dice Gloria. - Per me la ragione è che loro sono più femminili di noi donne-donne…

Ma ecco che altre domande mi urgono: il ricorso massiccio (massiccio perché la prostituzione è un fenomeno vasto e trasversale a tutti i livelli della società) degli uomini ai servizi delle operatri del sesso rappresenta una sconfitta delle lotte di liberazione sessuale degli anni '70? Le prostitute, che considerano la loro attività una scelta e affermano di non essere sfruttate ma di sfruttare l'uomo, hanno ragione? La prostituzione può veramente essere considerata un'attività come un'altra? E perché non ci sono uomini-prostituti ?

Prima degli anni '70 le ragazze, cosidette per bene, per la maggior parte non avevano rapporti sessuali prematrimoniali e questo motivava, anzi quasi giustificava, la necessità dell'esistenza della prostituzione: agli uomini venivano riconosciuti ineludibili esigenze sessuali fisiologiche a cui bisognava che, in qualche modo, la società provvedesse…E la prostituzione, si diceva, svolgeva, inoltre, una funzione di salvaguardia dell'integrità delle donne definite oneste. Se, allora, questa motivazione poteva ipocriticamente passare, oggi, in una condizione di ampia libertà sessuale delle donne, non regge.

Una risposta a questo interrogativo viene dai due libri, quando si consideri il tipo di prestazioni sessuali richiesto più frequentemente. La maggior parte degli uomini, di qua e di là dall'oceano, chiedono di esercitare una sessualità passiva, e più specificatamente, innanzitutto rapporti orali a cui sembra che le mogli o le compagne si rifiutino; al secondo posto vi sono richieste di rapporti anali e, ancora, rapporti di tipo sadomasochistico.
Ho dei mariti -
dice Letizia - che insistono a dirmi che i pompini come li faccio io non glieli fa nessuno e che le mogli sono solo brave a fare tortellini e lasagne… Non è il solito tran tran che hanno con le mogli, se magari la moglie è una che si mette a gambe aperte ed è lì che aspetta…con me è diverso, è il cliente che non fa niente e sono io che faccio tutto, me lo giro, me lo rigiro… Ci sono tantissimi uomini che non hanno il coraggio di chiedere alla moglie di fargli un pompino e vengono da noi per quello o si vergognano di chiedere alla moglie tutto quanto non è sesso normale. Attualmente - dice Marzia - parecchi transessuali si stanno specializzando nell'arte del sadomasochismo perché molti uomini che fanno sesso a pagamento hanno problemi sessuali e fra questi tanti sono sadici o masochisti , per la verità molto più masochisti…

E nei riguardi delle donne 'oneste' le prostitute mostrano una certa durezza:…un uomo che frequenta le prostitute è alla ricerca di un'attività sessuale, come il sesso orale, che la moglie non gli fornisce. L'uomo sta soddisfacendo un bisogno naturale e sano. Ciò implica che la moglie che non fornisce ciò che il marito desidera è responsabile del suo bisogno di ricorrere ad una prostituta, così si legge nel libro della McElroy.

E dalle interviste a uomini che frequentano abitualmente le prostitute si ottengono le medesime motivazioni.
Louis: cerco innanzitutto sesso anale; alla maggior parte delle donne non interessa. Chiedo anche sesso orale che molte donne tendono a considerare schifoso… Tom: non le va ( a sua moglie) di fare cose come usare un vibratore o indossare biancheria sexy. Poi è molto contraria al sesso anale… Ciò che emerge dalle pagine di entrambi i libri è che gli uomini mostrano una struttura psichica in cui è ben netta la scissione tra sesso e amore, o tra sesso e bisogno sociale di famiglia/figli. E questa scissione si ritrova negli uomini di ogni classe sociale, dall'operaio al professionista, al politico, …; certo, a secondo del proprio reddito, l'uomo si rivolgerà alle prostitute di strada o alle ragazze squillo, ma le motivazioni sono le stesse.

Qualcuno dirà, forse, che il numero degli uomini che cercano le prostitute è molto limitato? Bene, fate un breve calcolo del numero delle prostitute di strada ( che si conosce, escluse dunque le ragazze squillo) della vostra città in relazione al numero medio di clienti che ciascuna prostituta dichiara di soddisfare per giorno-notte di lavoro; togliendo dalla popolazione cittadina donne, bambini, adolescenti e anziani vi renderete conto che non potrete che dedurre che quasi tutti gli uomini della vostra città, prima o poi, hanno rapporti mercenari.
Mi sono chiesta, allora: l'ampio fenomeno della prostituzione di oggi è una sconfitta di quelle lotte di liberazione sessuale degli anni '70, in cui si desiderava che nei rapporti uomo-donna amore, passione e sesso coesistessero armoniosamente? Forse più che una sconfitta, è stata una guerra persa in partenza; ma noi ci illudevamo!
Le prostitute, quelle libere che si autodefiniscono operatrici del sesso, hanno ragione ad affermare che esse sfrutttano le debolezze dell'uomo e sono più autonome e libere delle donne non-prostitute?

Io penso che questa contrapposizione sia sviante perché, di fatto, i ruoli di mogli/compagne e prostitute di qualsiasi livello, di strada e non, rispondono in questa società principalmente ai bisogni maschili. In altri termini troppe donne, ancora, non vivono per sé ma mettono a disposizione dell'altro il proprio tempo e, nel caso, il proprio corpo. La moglie assicura all'uomo un luogo di accudimento o la discendenza o un necessario stato sociale, la prostituta assicura all'uomo il luogo-teatro ( un mondo sessualmente e magicamente irreale, lo definisce una prostituta) dove trovano appagamento le sue fantasie erotiche. Così, io credo che anche le prostitute più pagate non fanno che ribadire l'ordine superiore/inferiore, di chi chiede e chi dà su domanda.
Le prostitute libere intervistate ci tengono a ribadire che loro sono professioniste come l'impiegato, il medico, lo scrittore; loro, semplicemeente, vendono sesso. Non è bellissimo il loro lavoro? E quanti lavori in questa società sono poco gratificanti, penosi, e in più malpagati?- dicono tutte. Quante commesse scelgono di stare otto ore in piedi con le vene varicose in agguato? Quanti infermieri e infermiere non vedono l'ora di arrivare in ospedale a vuotare padelle?, ecc. ecc. ecc…

…Qualsiasi lavoro coinvolge la vendita di qualche parte del tuo corpo. Tu puoi vendere il tuo cervello, la tua schiena, le tue dita per scrivere al computer. - dice Rosa - Io ho scelto di vendere il mio corpo come voglio e ho scelto di vendere la mia vagina. No, io penso che la prostituzione non può essere messa sullo stesso piano di qualunque lavoro, per quanto penoso e faticoso sia.

La prostituzione non coinvolge, semplicemente, la dimensione fisica della sessualità ma qualcosa di più profondo, che inerisce anche allo spirituale, di ogni essere umano: è l'immaginario stesso, e dell'uomo e della donna, riguardo alla passione amorosa. Adolescenti, abbiamo tutti sognato l'amore che doveva coniugarsi, intrecciarsi al desiderio dell'altro, all'attesa dell'abbraccio, al contatto pelle contro pelle dei corpi. La prostituzione opera una lacerazione, una dissociazione del desiderio dell'altro dall'atto fisico che compete alla sessualità. E' un'insostenibile affermazione, a mio parere, che questa dissociazione possa essere assunta come 'normale'.
La sessualità , mediata dalla prostituzione, si riduce, nel suo livello più basso, quasi a bisogno ghiandolare, un bisogno del corpo come mangiare e bere, agito in uno spazio dove le parole e i gesti si consumano nella loro indefinita ripetizione. E l'uomo, per parte sua, ne esce, tuttavia, rassicurato in relazione al suo potere, ché è lui di fatto che tiene le fila del gioco, anche quando chiede alla prostituta di insultarlo: quando lui decide che il gioco è finito, il gioco finisce.

E non possiamo sottacere l'impatto della prostituzione sui rapporti tra i sessi, più in generale. Se ci sono donne disponibili a soddisfare i bisogni sessuali dell'uomo a pagamento, non può essere così terribile per le donne subire una costrizione a quegli stessi atti, sino allo stupro, qualcuno potrà pensare. Gli uomini, che hanno il controllo delle proprie pulsioni, si limiteranno forse a pensarlo, uomini stupidi o dediti al crimine non si faranno scrupolo a costringere giovani donne alla prostituzione. Non è inusuale che un uomo, per insultare una donna, dica: voi donne siete tutte puttane!

Gli uomini non fanno i prostituti di strada e il fenomeno della prostituzione maschile (per gli uomini naturalmente c'è !) rivolta a clienti donne è irrilevante. Spinti da motivi di sopravvivenza o di avidità, gli uomini rapinano, rubano, uccidono, ecc… ma non si prostituiscono ( che a qualcuna non venga in mente che io stia suggerendo queste attività come alternativa alla prostituzione!). Il motivo, mi si dirà, è evidentemente di tipo fisico: l'uomo non può avere l'erezione a comando o non può avere molte erezioni successive per soddisfare molte clienti. Ma la sessualità delle donne - come tutte noi sappiamo - non richiede necessariamente la penetrazione, quindi questa motivazione è risibile. Ciò, a prescindere dal fatto che le donne sembrano poco disponibili alla sessualità mordi e fuggi.

Io credo, in realtà, che gli uomini rifiutino, nel profondo, questo uso del proprio corpo perché, consapevolmente o no, sanno che con il commercio del corpo si mette in gioco altro, si mette in gioco simbolicamente la gerarchia tra i sessi. L'umiliazione della prostituta che, anche se solo teatralmente, si inginocchia davanti a un uomo - bello, brutto, giovane o vecchio che sia - e gli prende il sesso in bocca lascia tracce indelebili, a mio avviso, nell'immaginario e nello sguardo maschile anche quando esso si poserà su una donna altra; lo convincerà che noi-donne siamo esseri inferiori se possiamo essere pagate per soddisfare una qualunque loro fantasia.

La prostituzione, si dice, è il più vecchio mestiere del mondo…già… come la sudditanza della donna rispetto all'uomo. Forse, le donne-prostitute professioniste dovrebbero riflettere su quell'autoinganno di essere più libere, più autonome, più indipendenti dall'uomo perché monetizzano la loro umiliazione. Forse, non vogliono ammetterlo ma lo sanno: non è per questo che le loro tariffe crescono vertiginosamente in funzione di particolari degradanti prestazioni ? Non è per questo che non vogliono rendere visibile la loro attività o che diventi nota alle persone cui tengono affettivamente: figli o amicizie fuori dal mondo della prostituzione? Non è per questo che bruciano i loro guadagni quasi in una forma di tossicodipendenza, di sensi di colpa?

Personalmente non farei mai la prostituta perché considero il mio corpo come la barriera ultima, invalicabile del luogo dove abita il mio io. Potrei essere violentata - certo, purtroppo nessuna può malauguratamente escluderlo - ma nessuno potrebbe convincermi, con alcun mezzo, a prendere consensualmente in bocca il pene di un uomo qualsiasi.

Donne prostitute e donne-non prostitute, dunque nemiche? No, ma dovremmo trovare i modi per confrontarci, per discutere senza reticenze ipocrite, per individuare percorsi verso l'affermazione di noi stesse in un respiro di libertà senza ombre.

Agnese Seranis


 
 
 

EVOLUZIONE CON SENSIBILITÁ SUI DOVERI DI GENITORI

Post n°97 pubblicato il 04 Luglio 2011 da sensuale_tt
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"Nel mondo anglosassone la figura del marito casalingo – house husband, or SAHD, stay at home dad – è sempre più comune. Sarebbero oltre 200.000 gli uomini con figli che, per scelta o circostanze, sono a casa a a rifare i letti, a preparare la cena e prendersi cura della famiglia. L’incidenza sale nell’ambiente della finanza e del business. A un summit di donne di successo organizzato l’anno scorso dalla rivista Fortune un terzo delle partecipanti aveva un marito a casa. Per Lucy Kellaway, editorialista del Financial Times, si tratta di un fenomeno accertato.

”Se la donna di successo oggi non arriva ai massimi livelli – ha scritto – è perché viene ostacolata non sul lavoro quanto a casa: vuol dire che ha sposato un uomo che mette la sua carriera prima di quella della moglie’’.

Kellaway ha scavato nel menage privato delle 50 donne di maggior successo al mondo e trovato dati interessanti. Quasi tutte hanno figli, ma nessuna sembra aver sposato un uomo alpha, ovvero professionalmente aggressivo e ambizioso.

Indra Nooyi, amministratore delegato di Pepsi, ha un marito che si è messo in proprio per seguire la moglie e prendersi cura dei figli, idem Irene Rosenfeld, alla guida di Kraft, idem Ursula Burns, di Xerox’’.

Per Morrissey la questione dell’equilibrio familiare e della divisione delle mansioni domestiche è particolarmente importante: il suo nuovo obiettivo, infatti, tocca tutte le donne professioniste.

L’anno scorso ha fondato il 30% Club, un gruppo che mira, entro il 2015, a portare più donne nel consiglio d’amministrazione delle maggiori aziende del Regno Unito. Oggi solo il 12.5% dei dirigenti sono donne. In quattro anni Morrissey vuole portare il totale al 30%.

”Come mai sono così poche le donne ai vertici?”, si è chiesta. ”Per tutto l’iter accademico hanno gli stessi voti degli uomini, cosa succede dopo, non posso credere che si perdano a 30 anni. Abbiamo la tecnologia per permettere alla gente di lavorare da casa e part-time. Tutte le ricerche realizzate in questo campo traggono le stesse onclusioni: le società che si avvalgono delle donne ottengono risultati migliori’’."

ESTRATTO DAL CORRIERE DELLA SERA:http://27esimaora.corriere.it/articolo/la-donna-piu-potente-della-cityha-9-figli-ed-e-moglie-di-un-sahdstay-at-home-dad/

 


 
 
 

Noi donne....

Post n°94 pubblicato il 01 Febbraio 2011 da sensuale_tt

La filosofia scende in campo con le donne

Lunedí 31.01.2011 15:52

Zaltieri

"Noi donne non possiamo mostrarci "superiori" rispetto a escort, bunga bunga, ecc...., ossia rispetto alla mercificazione del sesso femminile, perché tutto questo svilimento della donna non è rinchiuso nella camera da letto di Berlusconi bensì si è diffuso in tutto il Paese come mentalità pervasiva che non possiamo nè dobbiamo ignorare". La filosofa Cristina Zaltieri è categorica nel commentare con Affari l'esigenza delle donne di ribellarsi. "Bisogna protestare per la situazione di arretramento nella quale il berlusconismo ci ha riportato, nonostante ci si possa vantare di donne a capo della Cgil o della Confindustria.  Questa situazione di sottocultura purtroppo non finirà con la fine del governo Berlusconi perchè le sue televisioni continueranno a egemonizzare la mentalità corrente. Peraltro alcuni dei contributi nati dalle donne in questo tempo di povertà non sono solo esempi di mera reazione difensiva: penso al video e al libro "Il corpo delle donne" di Lorella Zanardo o alla recente "Lettera a Silvio" di Marina Terragni pubblicata sul suo blog: sono riflessioni di alto respiro sulla condizione delle donne ai tempi di Berlusconi".

Laura Boella

"Il problema non è il berlusconismo, sono le donne di oggi". Sostiene invece Laura Boella, docente di Storia della filosofia morale all'Università Statale di Milano e conosce bene le donne. Da molti anni è impegnata nella ricostruzione del pensiero femminile del '900, dalle ricerche su Hannah Arendt al libro Cuori pensanti in cui si è occupata di Simone Weil, Edith Stein e Maria Zambrano, delle quali ha studiato le complesse personalità, l'articolato sistema di pensiero e la notevole influenza che hanno esercitato sulla cultura del nostro secolo. "Oggi ragazze e signore sono convinte che l'unico modo per realizzarsi professionalmente sia entrare nel mondo dello spettacolo e del gossip. Inseguono con tenacia ideali fittizi. E finiscono per confondere libertà e schiavitù. E' su questo punto che bisogna lavorare, farlo invece sull'idea del 'marpione', sulla sua camera da letto, del solito 'uomo che compra e sfrutta' è improduttivo". E conclude: "E' così. Le ragazze andrebbero aiutate fin da piccole con una forte educazione alla libertà, mentre ora da una parte regna il vuoto delle prospettive e dall'altro la società non fa nulla per aprire le porte alle donne. Un circolo vizioso. E' uno degli aspetti più tristi del post-femminismo".


da:http://affaritaliani.libero.it/coffeebreak/la_filosofia310111.html

 
 
 

dal giornale La Repubblca

Post n°93 pubblicato il 09 Dicembre 2010 da sensuale_tt

I-LIFE LA NUOVA VITA DIGITALE DEL NARCISISMO DI MASSA

Dal tessuto collettivo al tessuto connettivo. È la rivoluzione copernicana dell' i-life, l' ultima frontiera della codificazione digitale della vita. Che si allontana dalla rigidità tolemaica dell' informatica tradizionale, con la macchina al centro di tutto, per sconfinare nell' egocentrismo fluido della i-generation. I-pod, i-phone, i-pad, i prodotti con la i, suonano come la prima persona singolare dell' individualismo di massa contemporaneo. Molto più che semplici strumenti del comunicare, questi oggetti sono delle estensioni del soggetto, delle appendici inseparabili dell' io. Più che cose, meno che persone, occupano lo spazio vuoto che separa e unisce l' organico e l' inorganico. Icone di una metamorfosi. Proprio come gli ibridi della mitologia, chimere, sirene, centauri, che rappresentavano in una sola figura il più che animale e il meno che umano, ovvero la dualità misteriosa che lega e distingue un regno dall' altro. Enigmi multifunzione, personificazioni di mille virtualità interdette agli umani. La loro natura plurale ne faceva dei multiprocessori in carne ed ossa, in grado di esplorare dimensioni sconosciute, capaci di performance cognitive fuori dell' ordinario. Per esempio intravedere contemporaneamente passato e futuro come dei multitasking, far comunicare mondi lontani proprio incarnandoli nel loro corpo binario. Interfaccia animati, connessioni viventi, nessi in carne ed ossa. È singolare che il centauro più doppio e astuto si chiami proprio Nesso. E che la radice di questo nome abbia a che fare con il filo, il legame ovvero con la rete. Che i-pod sei? È il sapiente slogan della mela smozzicata di Cupertino che la dice lunga sullo statuto del non-lettore più venduto di sempre. Più che oggetti, quelli con la i sono delle non-persone, ma tanto attaccati a noi da diventare gli attributi indispensabili dell' identità, qualità secondarie e non semplici proprietà. In questo senso gli i-life sono i pronomi personali dell' io virtuale, i nuovi indicativi dell' umanità digitale. Nonché gli emblemi di quella naturalizzazione del sociale operata dalla tecnologia che prende a modello la natura e riscrive la mappa dei sensi. Ricominciando dal tatto. O meglio dal touch che rappresenta l' apoteosi della tattilità ormai in grado di annettersi vista e udito e diventare il senso intelligente per antonomasia. Niente a che fare con l' arcaismo binario dei tasti, con la meccanica invadente dei cursori. Ben al di là dell' on e dell' off, ci troviamo gettati in quell' ultima Thule della mitologia virtuale dove la tecnologia assume le sembianze incantatorie della magia. Quando una cosa supera le capacità di capirne fino in fondo le potenzialità finisce per sembrare magica. Lo diceva James George Frazer, il padre dell' antropologia. E lo ripetono i vertici della Apple per illustrare la fascinazione dell' I-pad. Che sta anche nel misterioso scarto tra l' esiguità inconsutile dell' oggetto e la sua incredibile potenza. Un tutto virtuale in un nulla materiale. Che basta sfiorare, come la lampada di Aladino, per avere a nostra disposizione funzioni da mille e una notte. E a pensarci bene nell' idea stessa del touch screen c' è qualcosa della sfera di cristallo che apre infinite finestre sul mondo dalle quali è possibile guardare nel passato come vivere nel futuro. Ma queste tavolette senza spessore, che ci fanno surfeggiare leggeri sulle onde del web, trasparenze pure come i cieli danteschi, sono anche la tabula rasa del nostro tempo. Ovvero il luogo simbolo della virtualità infinita dell' immaginazione, dove tutto può apparire e dove tutto può venire a noi. Come gli eidola del mondo antico, parvenze create dalla fantasia degli uomini che prendevano corpo per magia, come avatar soprannaturali. Con gli i-life la tecnologia ha materializzato gli eidola mentre smaterializza se stessa. Moltiplica le immagini mentre miniaturizza il supporto. E così il tablet finisce per richiamare molto da vicino l' idea aristotelica della mente umana, come tavoletta di cera bianca modellata e rimodellata dalle impressioni ricevute dai sensi. E sempre pronta a riempirsi di segni e di immagini. È anche questa la ragione del successo improvviso dell' e-book arrivato quasi a sorpresa dopo essere stato tante volte atteso e annunciato, come Godot. Il fatto è che c' era il messaggio ma non c' era ancora il giusto mezzo, la tabula rasa appunto, dove far esistere quella virtualità muta. Il multitouch celebra insomma l' avvento della svolta tattile, già annunciata da McLuhan, che fa dei sensi i drive dell' intelligenza e del tatto il supersenso. Molto vicino a quello che un drago della logica come san Tommaso chiama "sensorio comune", ovvero quello che sincronizza tutti gli altri sensi e li mette in riga. Ma li mette anche a sistema, li ingegnerizza proprio come le diverse funzioni che comandano gli i-life. Nonè un caso che il tatto come dicono molti scienziati cognitivi sia il senso del presente, quello che ha l' immediatezza del pensiero nei polpastrelli, sensori che accendono simultaneamente sensazioni, rappresentazioni, visioni, passioni, emozioni. Come succede ai bambini che hanno col mondo una relazione in presa diretta, di evidenza palmare. È esattamente quel che accade nell' i-life che fa dell' evidenza palmare una logica, un' etica e un' estetica all' insegna dell' augmented reality. Dove l' universo intero sembra ruotare intorno all' i, ovvero a un io infinitamente espanso dai suoi recettori elettronici e proiettato in una gravitazione liquida senza un centro di gravità permanente. In un cosmorama di applicazioni che lanciamo come sonde nell' infinità potenziale della rete. Per navigare nel mare della vita con cento occhi tecnologici che diventano bussola e sestante, mappa e cartografia del presente mutante. C' è un app per tutto e per tutti. Da come controllare l' appetito a come smettere di fumare, dal contapassi al contacalorie, dall' arte del bouquet ai segreti per usare il vecchio coltellino svizzero senza affettarsi le dita, dalle istruzioni per vivere bene la gravidanza, alle lezioni di piano, dalla meditazione trascendentale alle lingue straniere, dall' automassaggio alla cucina tamil. Dall' osservazione delle stelle alla preparazione degli esami, fino alla giusta intonazione di un mantra. Senza dire della musica tradizionale per curare i tarantolati, che adesso tutti possono scaricare da iTunes. Da duecentoa duecentomila in tre anni, la crescita esponenziale delle applicazioni, una vera corsa all' oro per gli sviluppatori, riflette il bisogno di controllare un mondo troppo complesso. È l' antica doxa popolare in digitale. Una forma di autoeducazione permanente, una pedagogia on demand per bambini adulti e adulti bambini. Continuamente alle prese con una babelica enciclopedia dei perché. Ciascuno sempre connesso con il suo tutor virtuale e sconnesso dagli altri. Per imparare a stare da soli al mondo, o meglio per essere sempre il centro del proprio i-mondo. E così la rete diventa il vero tessuto connettivo di una socialità in frammenti. E l' informatica sfiora il dispositivo biopolitico diventando estensione pensante. Mentre il vecchio cogito lascia il posto al digito ergo sum. - MARINO NIOLA

14 Settembre 2010

 
 
 

LO SDOPPIAMENTO CHE ENTRA NELLA QUOTIDIANITÁ

Post n°92 pubblicato il 09 Dicembre 2010 da sensuale_tt
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Io è un altro. Internet modifica la percezione della nostra identità

Dopo l’inondazione mediatica del fenomeno dei social network e di Facebook, dopo lo sdoganamento di Internet da parte della Chiesa e l’ammonimento a non sostituire i rapporti virtuali a quelli reali, si rende necessaria una piccola provocazione su come Internet ha cambiato il nostro rapporto con noi stessi, prima ancora che con gli altri.

Anonimato e identità

In principio fu l’anonimato. Ai suoi albori, infatti, Internet era una prateria brulla e selvaggia solcata da pellegrini virtuali che, celando la propria identità, liberavano gli innumerevoli “io” che nascondevano in sé e che era impossibile estrinsecare nella vita reale. Chiunque avesse dimestichezza con tastiera e mouse poteva trasformarsi in un super eroe, la cui maschera è più o meno affettuosamente nota a tutti, ma la cui identità è avvolta dalle nebbie del fascino e del mistero. Confortate dalla spensierata libertà dell’anonimato, però, queste incursioni nel cyberspazio hanno generato, tra le altre cose, fenomeni che hanno gradualmente modificato le abitudini della nostra quotidianità, d’un tratto insidiata da truffe prima d’allora impensabili, amori via chat improbabili, fino ad arrivare ad aberrazioni intollerabili quale la pedopornografia on-line.

L’industria domestica del sé

Oggi, invece, il paradigma internettiano sembra essere ribaltato, e l’anonimato ha lasciato il campo alla sovraesposizione dell’identità. Ci si è presto resi conto, infatti, che Internet riservava pressoché a tutti i propri 15 minuti di celebrità. Questa semplice constatazione ha spalancato le porte alla curiosità, al talento e, in dosi massicce, al presenzialismo di molti che per gioco, per caso o per vanità, hanno edificato una Pixeland affollata di blog, pagine personali e, certamente, social network.

Le reti sociali costituiscono a vario titolo il più contagioso fenomeno del momento che, con viralità invidiabile, fa germogliare attorno a sé discussioni di ogni sorta, tra cui anche qualche dibattito sulla privacy legata agli iper-aggiornati profili degli utenti. Ma se proprio questi profili da un lato possono essere intesi come porte socchiuse attraverso le quali sbirciare la rappresentazione di una certa intimità del nostro ‘vicino neozelandese’, dall’altro bisogna considerare che dietro queste porte spesso languono posticce scenografie idealizzate, che di intimo hanno ben poco se non la voglia di esserci e farsi guardare. Da tutti. E il fatto che la porta sia socchiusa, poi, non è che un invito malizioso a frugare intimità artificiali che non aspettano altro che essere spogliate - salvo poi rivelarsi in tutta la loro nucleare sterilità.

Non a caso i social network hanno agevolmente travalicato l’iniziale funzione di rete di comunicazione tra amici, colleghi e parenti, per trasformarsi in ammiccanti vetrine del sé che suggeriscono morbosi istinti di pornografica autoreferenzialità. Lo spirito apparentemente tribale di questi gruppi virtuali, infatti, è soppiantato dal consolidamento del genuino narcisismo dei membri che ne fanno parte i quali,  grazie all’universalità e alla semplicità d’uso del mezzo Internet, sono rapidamente diventati i migliori impresari di sé stessi, trasformando scrivanie, camerette e tavolini da bar in sofisticati laboratori industriali in cui assemblare micro-identità intercambiabili a seconda delle stagioni, dei giorni della settimana o degli umori del momento.

 

La parola all’immagine

Pertanto, pur essendo milioni, molti affiliati ai social network spesso vivono in un isolamento autorealizzante la cui corsa affannosa, anziché verso la comunicazione, vira presto verso la creazione a tavolino di un’immagine virtuale di sé che, in alcuni casi, può essere solo agognata nella vita reale. Si impone, quindi, “il primato dell’immagine sulla realtà in tutte le pratiche della comunicazione privata e pubblica”, così come anticipato da Gustave Le Bon. Le lungimiranti parole del filosofo francese, di fatto, colgono nel segno di una delle caratteristiche pregnanti di Facebook, il social network del momento: l’autoscatto.

Questa egocentrica pratica fotografica, infatti, consente agli utenti di stabilire di volta in volta chi voler essere, come voler apparire e, di conseguenza, cosa voler comunicare all’interno della propria rete sociale virtuale, proponendo versioni di sé che non necessariamente coincidono con la propria identità. Di conseguenza, gli individui che non si riconoscono nella propria immagine pubblica possono attingere ad un “pullulare permanente di possibilità illimitate, affascinanti e seduttrici proprio perché prive di vincoli determinanti”.

 

La monetizzazione dell’intimità

Facebook come un’inesauribile, autosufficiente fiera delle vanità, dunque, in cui si cambia pelle così come ci si cambia vestito, e che a volte, però, è alimentata dagli istinti più primordiali del voyeurismo più becero e dell’esibizionsimo più compiacente. Proprio l’autoscatto, infatti, tra le sue numerose declinazioni, passa con disinvoltura dal buffo all’enigmatico, passando dal fashion giù giù fino ad approdare finalmente al sexy. E naturalmente c’è chi ha fiutato l’affare nel potenziale sempreverde di una spalla o di un anca scoperta. Nella fattispecie parliamo del magazine on-line Coed che, ovviamente su Facebook, ha creato un gruppo in cui gli utenti postano i propri scatti bollenti che poi finiranno sulla rivista, con sublime appagamento dei soggetti ritratti, e grande soddisfazione dei web trafficker del sito.  

 

Appaio, quindi sono

Non ha nulla da temere neanche chi scalpita per mostrarsi al mondo ma vuole raggiungere la popolarità senza intermediari. Internet, infatti, nella sua infinita benevolenza ha messo a disposizione dei suoi utenti siti come Incopertina.com, che regalano generosi momenti di celebrità a chiunque trovi la voglia di autoritrarsi ed incorniciarsi nelle copertine di popolari riviste. A dimostrazione che, comunque la si voglia mettere, fotografarsi e postarsi sembra ormai un modo come un altro per accertarsi di esserci, in qualche modo. E di essere. Anche in questo caso, infatti, l’immagine si contrappone all’identità, e trova la sua affermazione nel rassicurante mantra ‘appaio, quindi sono’.

estratto da:http://www.agoravox.it/Io-e-un-altro-Internet-modifica-la.html

 
 
 

FELICITÁ E SICUREZZA

Post n°91 pubblicato il 03 Dicembre 2010 da sensuale_tt

Scritto da Erich Fromm 05/10/2010 Il concetto di "felicità", che ha un'antica tradizione,continua a svolgere un ruolo determinante nella nostra cultura. A essoricorriamo per affermare che lo scopo della nostra vita è quello diessere felici. Due o trecento anni fa, nei paesi protestanti, non eracosì: scopo della vita era essere graditi a Dio e vivere secondocoscienza. Oggi diciamo che vorremmo essere felici, ma che cosaintendiamo con queste parole? Penso che la maggior parte dellepersone, che non sta tanto a lambiccarsi il cervello, risponderà consincerità: divertirsi. Senza entrare nel merito di ciò che questosignifichi, una tale descrizione della felicità ha ben poco a chevedere con quella data da altre culture, che l'uomo moderno non saneppure immaginare. Ma che cos'è la felicità, una condizione dellospirito? Oppure si è felici solo in rarissimi momenti della vita,quasi che la felicità fosse il frutto prezioso di un albero chefiorisce solo in via del tutto eccezionale, ma che pure deve esisterese produce almeno una volta il suo frutto?Vorrei dire qualche parola sulla natura della felicità dal punto divista psicologico. Molti definiscono la felicità come il contrario deldolore e della sofferenza: dolore e sofferenza da un lato, e felicitàdall'altro. In quest'ottica la felicità viene immaginata e intesa comequalcosa da cui pena, turbamento e dolore sono esclusi. Ma questa ideadi felicità è fondamentalmente errata. Chi non riesce a provare dolorenon è vivo, e chi non è vivo non può nemmeno essere felice. Il doloree la pena sono dunque parte integrante della vita, né più né menodella felicità; pertanto la felicità non può essere l'opposto deldolore. Anzi, sul piano clinico il dolore è in realtà l'esattocontrario della depressione. La depressione non equivale al dolore; ilvero depresso ringrazierebbe il cielo se riuscisse a provare dolore.La depressione è l'incapacità di provare emozioni. La depressione è lasensazione di essere morti mentre il corpo è ancora in vita. Nonequivale affatto alla pena e al dolore, con i quali anzi non ha nientein comune. Il depresso è incapace di provare gioia, così come èincapace di provare dolore. La depressione è l'assenza di ogni tipo diemozione, è un senso di morte che per il depresso è assolutamenteinsostenibile. E' proprio l'incapacità a provare emozioni che rende ladepressione così pesante da sopportare.La felicità può essere definita come l'espressione di una intensavitalità. Secondo Spinoza, l'esperienza di una vita vissutaintensamente corrisponde alla gioia, alla felicità. All'opposto c'è ladepressione, che equivale all'assenza di emozioni. Chi viveintensamente prova sia gioia che dolore, che vanno di pari passo inquanto conseguenze di una vita vissuta intensamente. All'opposto digioia e dolore c'è la depressione, l'assenza di emozioni.Se dicessimo all'uomo della strada che una delle più dolorose malattiepsichiche, se non la più dolorosa, è l'assenza di emozioni, noncomprenderebbe neppure di che cosa stiamo parlando. Anzi, direbbe: «Maè magnifico! Sarebbe fantastico non provare nulla. D'altronde, checosa dovrei mai provare? Io vorrei solo stare tranquillo e non averenulla di cui preoccuparmi». Costui non conosce l'insopportabileesperienza di una condizione psichica del tutto diversa, nella qualenon si riesce più a provare niente.Se applichiamo questi concetti alla nostra cultura, troveremo che lepersone normali sono in gran parte depresse poiché l'intensità delleloro emozioni si è alquanto ridotta. Chi oggi è vittima delladepressione, probabilmente non è tanto più alienato o apatico, e privodi contatto con la realtà, di quanto lo siamo noi; solo che noidisponiamo di difese migliori di chi si ammala di depressione. Vi sonomolte forme di difesa contro la sensazione che ci viene dalla perditadi vitalità. L'industria dell'"entertainment", il lavoro, le feste, leconversazioni superficiali, la nostra routine si configurano comeforme di difesa contro quel terribile momento in cui potremmo davveroaccorgerci di non sentire niente. In questo modo ci proteggiamo dalrischio di essere sopraffatti dalla «melanconia». Alcune persone,probabilmente a causa di una maggiore sensibilità, non dispongono diquesti meccanismi difensivi. E' probabile che costoro sianoparticolarmente predisposti a una condizione psichica in cui nonprovano alcuna emozione, e perciò le loro difese non sono altrettantoefficaci.Nel complesso, cioè a livello della popolazione e senza entrare nelmerito dei singoli individui, possiamo riscontrare una condizionepsichica caratterizzata da una riduzione dell'intensità emozionale chesfiora la depressione: peraltro mitigata, e di fatto compensata, damolteplici forme di difesa che noi chiamiamo divertimento e lavoro.Come il concetto di felicità, anche quello di "sicurezza" è oggi sullabocca di tutti, ed è anzi diventato lo slogan di molti dibattitipolitici. Numerosi psicoanalisti, psichiatri, eccetera pensano che loscopo della vita sia la sicurezza, il sentirsi al sicuro. I genitorisi preoccupano tantissimo che i loro figli si sentano davvero alsicuro. Se un bambino vede che un altro bambino possiede qualcosa chelui non ha, bisogna comprarglielo subito: «Perché così si senterassicurato». La sicurezza si misura in genere in base agli standarddel «mercato della personalità» di volta in volta vigenti. Pare chealcuni psichiatri abbiano decretato che ci sentiamo rassicurati seabbiamo successo, disponiamo di una vasta cultura e corrispondiamoagli standard sui quali si misura il successo. Siamo addiritturaossessionati dalla sicurezza come scopo della vita!Chi critica questa aspirazione alla sicurezza teme soprattutto chel'interesse dell'uomo per la sicurezza minacci la sua intraprendenza.Ma poi questi critici parlano di determinate sicurezze economicheirrinunciabili, come la tutela della vecchiaia, senza neppurechiedersi se una persona che mette da parte un milione di dollari pertrascorrere agiatamente la propria vecchiaia, o che stipula unapolizza di assicurazione sulla vita, non sia vittima di taleesecrabile aspirazione. Comunque, essi sottolineano che nella nostravita tutto ruota ormai intorno a un senso di sicurezza psicologica chefa perdere ogni gusto per l'avventura. Per esempio, un uomo comeMussolini, che era un gran vigliacco ma aveva il senso dellateatralità, coniò lo slogan del vivere pericolosamente. Egli non vi siattenne, benché, nonostante tutte le misure di sicurezza adottate - inaperta contraddizione, quindi, con il suo stesso slogan -, abbia fattouna brutta fine. In ogni caso aveva capito che la gente è sensibileall'idea della vita come avventura.A mio parere, lo scopo dello sviluppo psichico è la capacità disopportare l'insicurezza. Chi dispone anche solo di un briciolo dicapacità intuitiva per quello che sta avvenendo sul nostro pianeta, sache viviamo per molti versi all'insegna dell'insicurezza, e non solo acausa della bomba atomica, ma anche di tutto il nostro stile di vita.Siamo insicuri in senso fisico, psichico e spirituale. Non sappiamopraticamente nulla di quello che dovremmo sapere. Cerchiamo di viverein modo ragionevole, eppure non abbiamo la minima idea di come sifaccia. Mettiamo continuamente in pericolo non tanto la nostraesistenza fisica quanto quella spirituale. Sappiamo pochissimo dellavita, e non appena ce la troviamo di fronte ci sentiamo terribilmenteinsicuri. Chiunque abbia la consapevolezza, anche per un solo istante,di essere come individuo completamente solo, non può non sentirsiinsicuro. In effetti, egli non potrebbe sopportare tale consapevolezzanemmeno per un istante se non fosse in relazione con il mondo, se nonavesse il coraggio di mettersi in relazione, o se non avesse, perusare un'espressione di Paul Tillich, il «coraggio di esistere»(Tillich, 1969).La nostra cultura tende a creare individui che non hanno più coraggioe non osano più vivere in modo eccitante e intenso. Veniamo educati adaspirare alla sicurezza come unico scopo della vita. Ma possiamoottenerla solo al prezzo di un completo conformismo, e di una completaapatia. Da questo punto di vista, anche la sicurezza è l'opposto dellagioia, poiché la gioia nasce da una vita vissuta intensamente. Chivuole vivere intensamente deve essere in grado di sopportare una buonadose di insicurezza, perché in tal caso la vita diventa in ognimomento qualcosa di terribilmente rischioso. Possiamo solo sperare dinon fallire, e di non andare completamente fuori strada.Certo gli esseri umani non hanno perso del tutto il loro spiritod'avventura, poiché la sensazione di vivere in una condizione diassoluta sicurezza, senza alcuna possibilità di avventura, provoca unanoia così terribile da risultare insopportabile. E' questa la funzionedi vari generi di film e di libri, in particolare i romanzi gialli ed'avventura. Ma anche chi legge di persone che divorziano ogni annoprova qualcosa di simile allo spirito d'avventura, benché in ciò nonvi sia proprio nulla di coraggioso. Questo passo è tratto dal libro "I cosiddetti sani. La patologia della normalità" di E. Fromm, pubblicato nel 1991: raccoglie lezioni e discorsi tenuti da Fromm in un arco di tempo che va dall'inizio degli anni '50 alla metà degli anni '70. In particolare, il testo presentato risale al 1953. estratto da: Psicoterapia corporea

 
 
 

Questo mio blog non era una burla ....

Post n°90 pubblicato il 06 Novembre 2010 da sensuale_tt

Di volta in volta ho pubblicato articoli riguardanti la dipendenza da internet e come l'uso di questo fantastico mezzo di comunicazione possa far fermentare ossessioni e dipendenze tenute sotto controllo dalla razionalitá e dalla ragione ...lo sdoppiamento possibile e  celato dietro un monitor puó portare alla distruzione del sé anche nella realtá e all'annientamento del voler "essere" di chi viene intrappolato....vivendo una vita di solamente "sembrare".

Non solo facebook...ma tanti troppi altri incontrollate chat offrono l'opportunitá di vivere un momento di "apprezzamento" "cordialitá" "amore"

I commenti al video dimostrano come la gente sia ancora del tutto ignara al reale pericolo sociale ed individuale della salute mentale che questi modi possono procurare se usati senza consapevolezza....

Attenzione ai sintomi di dipendenza......

 
 
 

i pericoli dell'internet....

Post n°89 pubblicato il 07 Agosto 2010 da sensuale_tt

estratto da:Virtual Affair Yields Real Divorce For UK Couple

LONDON — A virtual affair is ending a real-life marriage in southwest England.

Amy Taylor filed for divorce when she discovered her husband cheating in Second Life _ an online community where players adopt personas called avatars, mingle with others and teleport themselves into a series of artificial worlds.

"I caught him cuddling a woman on a sofa in the game," Taylor told the South West News Service press agency. "It looked really affectionate. He confessed he'd been talking to this woman player in America for one or two weeks, and said our marriage was over and he didn't love me any more."

The online drama shows how emotionally invested some people have become in their virtual identities, said Ellen Helsper, a researcher at the Oxford Internet Institute who has studied the impact of the Web on relationships.

"For a while there was this impression that as long as it's online, it doesn't matter. But research has shown it's not a separate world," she said, adding that infidelity was "just as painful, whether it's electronic or physical."

Taylor, 28, moved in with her husband Dave Pollard, 40, in Newquay, about 280 miles (450 kilometers) west of London, after the pair met in a chat room in 2003, according to the press agency's account. Both are disabled, Taylor said.

Both of them created personalities in Second Life, the three-dimensional virtual world with millions of users.

Taylor _ represented in the game by a slim, dark-haired young woman with a penchant for cowboy outfits _ first wed her beloved in a virtual ceremony held in an exotic tropical setting. She and Pollard _ whose Second Life avatar was sharp-suited, long-haired muscleman _ then married in real life at a registry office.

 
 
 

MANIERE DIFFERENTI DI AMARE

Post n°88 pubblicato il 19 Aprile 2010 da sensuale_tt
Foto di sensuale_tt

- E' fidanzata? Quindi ne è innamorata, sì?
- eh, direi, eh...
la fanciulla è imbarazzata, ma Francesco non demorde. Ridacchia, insiste.
- Allora è innamorata. E lui è quello giusto, debbo supporre.
La Bimba alza il mento e conferma senza neppure arrossire.
Ma come l'ha capito?- incalza lui - e una frase dopo l'altra le strappa il racconto di come si sono incontrati, conosciuti, frequentati e un po' per volta piaciuti. Perché lui la fa star bene, stanno bene insieme. 
- Quindi, continua, vi siete attaccati, legati. Ora mettiamo che a lei venga in mente di partire, di andare a vivere in Australia.
-oh, sì, infatti ci sto pensando, in Nuova Zelanda
-Ma come? si allontanerebbe da lui? Allora non è vero che siete legati!
Le amiche ridono, ci mettono a conoscenza del fatto che già vivono lontani, trecento chilometri.
-M a in Nuova Zelanda ci andreste insieme?
-Sì, naturalmente, sì
- allora va bene, restate attaccati. Vede, mia cara, è un legame di attaccamento il suo. 
- Il nostro.
- No, mia cara, il suo, quello di lui dovremmo chiederlo a lui, fermiamoci a quel che sappiamo, parliamo di lei. E' un bel legame, un legame importante, è come il legame che il bambino ha con la propria madre, intenso, appagante. Lui la far star bene, che altro potrebbe volere? Vero? Sì?. Ma - e con una lunga occhiata percorre il semicerchio degli astanti - ma magari per qualcuno non è stato così? O tutti voi vi siete innamorati in questo modo, un po' per volta, di chi vi fa star bene?
In un brusìo di voci si fanno avanti i sostenitori del coup de foudre. Uno, in particolare, ex marito di una miss italia, rivendica il primato dell'improvvisa passione, quella che ti fa fare di tutto, quella folgorante, travolgente, for se persino eterna.
- Oh, continua Francesco, è vero, a qualcuno capita. Vi siete visti e vi siete riconosciuti. O meglio: avete visto l'altro e l'avete riconosciuto. Avete detto: è lui, solo lui, e nessuno più. Quella persona unica, che speravate esistesse, quell'essere splendente, ai vostri occhi, un concentrato di bellezza e perfezione.
Gli astanti si esprimono sovrapponendosi disordinatamente. La maggior pare di loro sostiene che questo amore improvviso non esiste, o se c’è si tratta di una illusione di breve durata. Il marito della miss dichiara con forza: - Voi la pensate così perché non l’avete ancora trovato.
-Certo, interviene Francesco, questa è una cosa che accade. Ci sono persone che improvvisamente abbandonano matrim oni riusciti, situazioni considerate da tutti felici, da un giorno all’altro, perché hanno incontrato una persona e l’hanno riconosciuta, di colpo tutto il resto non conta, del resto il bambino si stacca dalla madre, questo tipo di amore è un amore per assimilazione, non per attaccamento. Quello era espressione dell’uomo in quanto essere biologico, questo è espressione dell’uomo come individuo irripetibile, come persona unica che si riconosce in un’altra persona unica, insostituibile, da questi sentirete spesso dire: lui- o lei- è parte di me.
-lei vuol dire, soggiunge il ragazzo con la barba sottile e disegnata, che questo è un amore più adulto, più evoluto?
-Ma no, perché vi intestardite su que ste etichette freudiane, mica c’è solo Freud a questo mondo, tutti noi siamo esseri biologici e tutti noi siamo persone. A volte più esseri biologici che individui, a volte più individui che esseri biologici. – si guarda intorno ridacchiando e soggiunge: - e a volte anche altro, no?
Il dibattito si riaccende, sembra che i partigiani dell’uno e dell’altro amore cerchino di sostenere la superiore bontà del proprio; Francesco appare leggermente irritato.
-Signori, un po’ di attenzione, prego, parlate con me. Con me, oggi siete qui per parlare con me, tra voi parlerete a pranzo. Cosa vi conferisce l’autorità di giudicare migliore o peggiore un tipo o l’altro di amore? Quell’amore va bene per la persona che lo prova? E allora è il migliore per lui. Che c’entrate voi, scusate? Mica siamo in una piazza, o in un tribunale. Siete medici o no? Il paziente viene da voi per farsi curare, mica per farsi dire come deve amare. Perbacco!
- Anzi, prosegue, il paziente viene da voi perché sta male, quando sta male, e quindi quando il suo amore l’ha perduto, quando la persona che ama non è più con lui, l’ha lasciato, o sta morendo o è morta. E siccome non tutti i legami sono uguali, non tutti i lutti sono uguali. Se volete aiutare il vostro paziente dovete capire che tipo di lutto ha, che tipo di legame aveva. Se uno è innamorato e sta bene, e la persona che ama sta bene, che cazzo ci viene a fare da voi, eh? Per farsi invidiare? Voi dovete riflettere e ascoltare, e non avere fretta. Un legame d’attaccamento, per esempio, com e si esce dal lutto? Come fa un bambino, lasia la madre e si lega ad altre persone. Ad un compagno, a una compagna, agli amici. E’ normale. Non vi sembra normale? – Alza leggermente la voce per sovrastare e azzittire il brusio. – Silenzio. Ora vi racconto una storia, io son siciliano, si sente, vero? Si sente. Quando tornavo a casa mia madre si vantava del figlio che risolveva, diceva lei, tutti i problemi delle persone, le madri, lo sapete, coltivano delle illusioni. Allora rientro a casa e mi dice Francè, ci sta il tale che tu gli devi parlare, dice, la figlia non gli parla più. E ma perché? Perché non son neppure tre mesi che è morta la moglie e già si porta in casa delle donnine. Donnine? Insomma, donnine, rispetto a lui, ha ottant’anni e si porta delle donne di settanta, un po’ meno o un po’ più. E allora? E allora la figlia non gli parla, dice insomma la mamma è ancora ca lda. Io gli vado a parlare e questo mi fa ma che vogliono, mia figlia che vuole? Io mica gli manco di rispetto a mia moglie. Mai in cinquant’anni di matrimonio le ho mancato di rispetto, giuro, ma ora è morta e io sono solo. Ho bisogno di qualcuno che badi a me. Questo signore aveva perfettamente ragione. Era legatissimo alla moglie, un legame d’attaccamento, un legame biologico, e per cinquanta, o più anni, non mi ricordo, per tutto quel tempo il legame aveva funzionato, il matrimonio era stato felice, lui era stato un marito fedele e devoto. A maggior ragione la figlia non riusciva a capire e a sopportare. Ma come, diceva, la mamma è ancora calda e lui già la sostituisce così? Ma allora non le voleva bene, allora non aveva valore. Invece no. Il signore ottantenne stava cercando di uscire dal lutto, nel modo che era giusto per il suo tipo di legame: la sostituzione. Un modo sano, ma socialmente on accettato. Vi chiedete perché?
Li ha catturati, se lo chiedono, e lui incalza –Perché la società di oggi privilegia l’individualità, e quindi il legame di assimilazione. Per questo legame la persona amata è un individuo unico, insostituibile, e se è insostituibile non può essere sostituito, no? Come fate a sostituire uno che è parte di voi? La potreste sostituire la vostra mano? E’ parte di voi, abbiamo detto, e allora? Allora la dovete tenere dentro di voi, la dovete portare dentro di voi. Lui è sempre dentro di me, non l’avete mai sentita questa? Ma voi l’ascoltate la gente? E’ come se fosse ancora qui, vi dicono, lo porto sempre con me.  Disinvestite, come dice Freud, il sentimento che avete investito in un oggetto esterno e lo reinvestite nello stesso oggetto che avete portato dentro di voi. Ma siccome in questa operazione vi avanza del sentimento, perché per l’oggetto interiorizzato ve ne serve meno, la differenza la potete reinvestire in un altro legame.
- E se non ci riesce?
-Se non ci riesce, dice Freud, muore.- e ride -  Come Romeo e Giulietta.- ridacchia, ma ridiventa serio -  Ma attenzione, non è che deve per forza morire. Il lutto semplicemente si blocca; la vita della persona rimane bloccata nel lutto. Nulla si muove più. Guardate, in ogni condominio c’è una famiglia bloccata nel lutto. Per esempio il disinvestimento e l’interiorizzazione non funziona se ci sono degli ostacoli. E gli ostacoli, pure questo lo dice Freud, mica io, gli ostacoli sono la rabbia e la colpa. Avevo un paziente, un ufficiale dei carabinieri, che aveva perduto il suo unico figlio, pure lui carabiniere, che s’era suicidato. Con la pistola d’ordinanza. E questo signore, tutto d’un pezzo, che adorava il figliolo con un perfetto legame d’assimilazione, non poteva accettare il suicidio e doveva a tutti costi dimostrare ch’era stato ammazzato. Per un complesso di rabbia e colpa, senso di colpa, voi capite, era colpa sua se era carabiniere, questo figlio, e se non lo fosse stato non si sarebbe suicidato con la pistola d’ordinanza. Ma era pure arrabbiato perché se questo figlio era un suicida l’aveva deluso. Così continuava a indagare per cercare l’assassino, con tutte le complicazioni dovute alle gerarchie militari,  uhhh, vi potete immaginare.
-E lei come l’ha aiutato?
-Non l’ho aiutato. Non ci sono riuscito. In nessun modo ci sono riuscito. Non l’ho potuto aiutare. Per aiutarlo avrei dovuto sospingerlo a cambiare, a crescere, a spostare il suo atteggiamento da quello di un individuo a un atteggiamento umano. Perché , e si tocca il naso, come se sospingesse verso l’alto un paio d’occhiali, si cresce andando in crisi, e spostando il proprio atteggiamento, da individuo a essere biologico o viceversa oppure, … perché…. Vediamo, nessuno di voi ha provato un diverso tipo d’amore?
Stavolta c’è aria dubbiosa tra gli astanti. Che altro tipo d’amore? Il timido giovane con la barba disegnata solleva un dito e al cenno d’invito di Francesco soggiunge:

"Amore è anche voler far felice la persona amata, volere il suo bene.
-Ecco, e come fa a farla felice, come fa a sapere quale sia il suo bene?

-Si cerca di capire, si prova
-Bravo, e per capire ci si avvicina, ci si approssima, perché la persona amata è un altro, non è parte di noi, e non è lei che ci fa star bene, siamo noi che dobbiamo, o meglio desideriamo far sta bene lei. Un amore per approssimazione, per avvicinamento. Questo, aggiunge alzando leggermente il tono di voce, è l’amore della MADRE, della madre per il bambino.

L’attaccamento era l’amore del bambino per la madre, e questo è l’amore della madre per il bambino. La madre non smette mai di avvicinarsi al figlio, non smette mai di fare qualcosa per lui, di volere il suo bene. I due amori non sono uguali. Capisce, mia cara, e si rivolge alla Bimba, capisce perché dicevo che non è detto che l’amore di lui per lei sia dello stesso tipo del suo? Potrebbe, certo, esserlo, ma non è detto.
 
Bene. Francesco ha continuato la sua lezione, ha spiegato come l'attaccamento si ripari con la sostituzione, l'assimilazione con introiezione e disinvestimento e la dedizione con il proseguire gli scopi della persona perduta. 
Certo, concorda lui, si tratta di una semplificazione didattica che non può esaurire l'infinita varietà e mutevolezza dell'essere umano, eppure, ribadisce, guardiamo come sono le cose nella maggior parte dei casi, nell'ottanta per cento, diciamo. La gente, in genere, è così, si comporta così.
 
So che ha ragione, ma solo in un ambito diagnostico, di fotografia di una situazione in movimento. O di riepilogo di un amore finito.
Mi vien da ridere se penso che la gente abbia la scelta tra solo tre tipi di amore. Cosa vuole? attaccamento, passione o devozione? Busta uno, busta due o busta tre? Bene, il nostro concorrente ha scelto la tre! Ora vediamo... Devozione! Un applauso, signori. Allegria!
E, si sa, una volta aperta,  la busta non si può cambiare.... Il notaio controlla.
Ma, fuori dalla fiction psicoterapica, il mondo corre in avanti lungo la freccia direzionale della quarta dimensione: il tempo. E lungo la stessa dimensione corre l'amore. L’amore degli amanti, quello dei genitori, dei figli, degli amici, dei fratelli.
Un amore vivo non si lascia afferrare, autopsiare: potrebbe morirne. Un amore vivo cambia, cresce, corre, travolge, ride, vola.
Un amore vivo è una strada che si addentra nel futuro, è un'esplorazione di sé e dell'altro. E' attaccamento devoto, è passione irrefrenabile e subito dopo quieto appagamento; confidenza, consolazione reciproca, ricerca continua, ascolto. Un amore ti spia dolcemente, ti osserva deliziato, ti previene, e si consola tra le tue braccia.
Perdere un amore così, certo, può spingerti a sostituirlo per non morirne, ma può essere solo una sostituzione parziale, mentre dentro di te comunque un poco muori, senza fine, ogni giorno, e se qualcosa può aiutarti a sopportare, forse è la convinzione che la separazione abbia un senso per il bene del tuo amato.
La passione senza attaccamento sarebbe un'altalena terribile di ansie e desideri, di ricongiungimenti e distacchi, estenuante, mentre l'attaccamento senza passione, negli anni, diverrebbe un soporoso protrarsi di un'infanzia adulta interminabile. Infine è la devozione che fornisce un senso profondo ad ogni contrasto, ad ogni sacrificio. La devozione permette di condividere l'amore, la devozione permette di conoscersi, di fondersi, di aprire delle porte, di parlare veramente da un cuore ad un altro cuore. La devozione non è gelosa, pur se timorosa di un possibile distacco. La devozione fa spazio ad altre passioni, ad altri attaccamenti, ad altri amori. Ma, lasciata sola, svuotata dalla passione, dal desiderio di assimilazione, di mescolarsi, di fondersi, diventa un legame fraterno, lievemente malinconico, un legame vecchio.
L’amore è come una creatura vivente; però finisce. Talvolta si esaurisce, altre volte viene ucciso; a volte finisce con la morte di una delle persone amate, a volte no. Dispiace sempre vederlo morire, si vorrebbe soccorrerlo, consentirgli di mutarsi in una forma d’amore diversa. Talvolta si riesce. A volte no.
Ah, Francesco, noi dobbiamo ancora parlare."
 
 

 
 
 

E io tra di voi. Le amanti e le loro illusioni

Post n°87 pubblicato il 12 Aprile 2010 da sensuale_tt
Foto di sensuale_tt

Descrizione:

Questo è un libro sulle "altre". Sulle donne che amano uomini già sentimentalmente impegnati. È un libro sulle traversie pubbliche e private, le carenze affettive, le perduranti insicurezze, le ostinate illusioni di chi vive un amore clandestino e non sa o non vuole uscire dalla propria condizione di "amante". Su quella terza dimensione della coppia che perdura come una costante storica, inattaccabile dai cambiamenti sociali e dalle rivoluzioni sessuali di ogni epoca. Gianna Schelotto, nella sua lunga esperienza di psicologa, si è trovata assai spesso a dover fronteggiare i disagi, le sofferenze, le "devastazioni affettive" prodotte da situazioni del genere. In queste pagine, attraverso il racconto di storie esemplari, ne ripercorre tutte le angolazioni psicologiche. E se nella narrazione le scappa un po' di affetto, commozione ed empatia verso le protagoniste, non è per sostenere l'amore clandestino a danno di quello coniugale, ma per una sorta di comprensione umana, quella che Dante ha insegnato cantando Paolo e Francesca. E soprattutto è per comprendere, al di là di ogni giudizio morale e moralista, le contraddizioni, le immaturità e le angosce delle donne, e sono davvero moltissime, che si trovano invischiate in storie simili.

 
 
 

CREDO NELL'UGUAGLIANZA

Post n°86 pubblicato il 08 Dicembre 2009 da sensuale_tt

http://www.facebook.com/group.php?gid=74455012488

Da sempre si e' sentito parlare dell'abuso degli uomini sulle donne. Questo e' un fatto reale che si protae da tempo immemorabile. Tuttavia mi chiesi fin dagli inizi della cosi' detta "liberta' della donna" se anche gli uomini non avessero e tuttora subiscono violenze da parte della donna. In UK (mia unica esperienza estera) da quando fu offerto il servizio di linea verde sia per adulti che per bambini, si noto' un lento aumento di uomini che chiamavano per riportare violenze di vario tipo. Purtroppo essi non si dichiarano facilmente in pubblico per non perdere la loro "faccia" e subiscono trovando sfogo, in alcuni casi, in comportamenti che influiscono su altre persone nella societa' e in particolare altre donne.

L'abuso verso gli uomini puo' avvenire fin dalla prima eta' dove la figura materna non e' certo quella che dovrebbe dare amore, sicurezza, serenita', comprensione e preparazione verso un'indipendenza d'adulto. Ne segue l'abuso materno negli anni adulti ove questa, per darsi un motivo di esistere, riversa tutte le attenzioni e frustazioni verso i figli che a loro volta acquisiscono un senso di colpa nel lasciare (se mai lo fanno) il nido familiare, oppure  percepiscono una visione distorta di come la donna della loro vita dovrebbe essere.

Questo abuso psicologico emotivo avviene anche quando una donna, sapendo dell'amore e dei bisogni dell'uomo ne trae vantaggio sottoforma di ricatto subdolo tramite il quale fa fare all'uomo quello che lei desidera addirittura ricattandolo con il pericolo di perdere l'amore dei figli se egli se ne va o non adempie ai compiti da lei prestabiliti.

Altro abuso poco riconosciuto e' la violenza fisica che alcune donne infliggono verso gli uomini (vedi link).

Sempre di piu' un ulteriore abuso si e' inserito nella societa' l'abuso sessuale-mentale. La continua opportunita' di avere sottocchi elementi di stimolo sessuale, la facilita' con cui questi si possono cercare e/o ottenere porta gli uomini, di per se' visualmente piu' stimolati che le donne, ad un continuo stato di ansieta' nel soddisfare i loro naturali istinti sesssuali.

Gli uomini in genere si compiacciono di queste "opportunita'" di sollazzarsi poiche' se dichiarassero altrimenti non si sentirebbero "uomini". Al contrario di quanto dichiarato essi vivono un profondo senso di frustrazione e scontentezza non riuscendo a trovare una strada che li procuri la serenita' che anche loro auspicano.

Spesso singles quarantenni "vagano" alla ricerca di un ideale che loro stessi non sanno quale sia dichiarando che "tutte le donne sono puttane" oppure "le donne non sono piu' come una volta" eppure le si ritrova sulle varie chat a "sviolinare" per trovare l'incontro facile per seguire il famoso motto "chiodo scaccia chiodo" senza rendersi conto che cosi' facendo stanno rimanendo nel limbo di esterna confusione.

I Media non fanno altro che esasperare ed incoraggiare questo abuso psicologico emotivo portando gli uomini a non comprendere piu' la loro posizione nella societa' e in relazione alle donne. Sia un'esperienza negativa che quello che non si conosce porta ad avere paura ed ecco come gli uomini hanno paura delle donne.

Forse converebbe fermarsi e soffermarsi sugli abusi che le donne sia volontariamente che involontariamente stanno facendo agli uomini per rendersi conto che se si continua in questa maniera non si progredira' ma si invertiranno semplicemente le posizioni.

Un evento inauspicabile e deleterio socialmente.

 

 
 
 

quando l'abusato diventa un abusatore???

Post n°85 pubblicato il 06 Novembre 2009 da sensuale_tt
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Quando si puo' dire che l'emotivamente abusato (o dipendente emotivo) diventa uno stalker? o l'abusatore emotivo (allumeur) sia uno stalker??

L'abuso fisico e' un atto evidente e conseguentemente puo' essere definito tale a tutti gli effetti. Altri abusi come quello sessuale ed emotivo sono piu' difficili da determinare perche' possono avvenire senza lasciare segni visibili purtuttavia essi sono profondi e distruttivi.

Come da posts precedenti, chi subisce un abuso (come chi lo infligge) ha molto spesso delle instabilita' subcoscienti che non riesce a gestire o talvolta non si rende conto di avere. Inoltre in alcuni tipi di abusi bisogna considerare la percezione dell'atto, ritenuto forse abusivo, da parte di chi lo riceve.

Comportamenti interpretati erroneamente possono portare le persone a comportarsi in maniera che puo essere definita abusiva da parte di chi si e' comportato in maniera non chiara e quindi aperta a misinterpretazione del fine di tali comportamenti.

Nel campo emotivo la difficolta' di stabilire le cause che portano un individuo ad agire in maniera da poter essere considerato uno stalker (come un bully) sono talvolta non chiare.

Mentre chi ha subito l'abuso fisico/sessuale difficilmente stalkera' il suo abusatore (anche se potrebbe succedere dipendendo da come questo abuso sia avvenuto), l'abusatore emotivo (allumeur) potrebbe essere considerato di per se' gia' uno stalker perche' le sue intenzioni sono di disturbare la pace emotiva della sua vittima; egli/ella pero' puo' essere considerato tale quando persiste nel contattare la vittima anche se consapevole del disturbo mentale che egli provoca...ma come provare questo legalmente???

Dall'altro campo il dipendente emotivo subisce la molestia mentale di un far credere da parte dell'allumeur una relazione che non esiste, si sente incoraggiato/a ad avere comportamenti che possono anche questi essere interpretati di stalkaggio...ma come provare legalmente che il loro comportamento e' stato incoraggiato???

Lo stesso pensiero vale per il bullismo...non sempre chi e' bullato e' la vittima ma al contrario e' l'istigatore del proprio bullaggio.

LE NORMALI LEGGI CIVILI NON SCRITTE DI RISPETTO RECIPROCO STANNO SCEMANDO LASCIANDO POSTO ALLA LEGISLATURA CHE NON CONOSCE I RETROSCENA DI DETERMINATI COMPORTAMENTI. PIANO PIANO  SEMBRA CHE LA PAZZIA SIA SOLO UN MODO DI VIVERE  MENTRE L'AMORE NEL PIU' PROFONDO DEL SUO SIGNIFICATO NON VENGA PIU' GIUSTIFICATO MA ANZI CONDANNATO. 

 

 
 
 

LO STALKER E' SEMPRE QUELLO COLPEVOLE????

Post n°84 pubblicato il 06 Novembre 2009 da sensuale_tt
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http://mountcope.wordpress.com/2009/03/31/i-will-find-you/

“An emotional abuser sees himself as a blameless victim, and denies his own provocative behavior, even going so far as to bemoan the fact that a partner left him, or threw him out, “after all the things I did for her”… The emotional abuser will play up the “pathos” in an attempt to garner sympathy, all the while, continuing to stalk his ex, making jokes about things he could do to upset her, and invading her personal space and boundaries at social functions.

Like physical abusers, emotional abusers will often stalk their former partners. The stalker’s objective is often to control her through cultivating fear rather than making direct or specific threats, or confronting the her. Sometimes this stalking can take the form of simply moving into the same neighborhood as a former partner, and letting her know, through friends, where he is living. His move into her neighborhood will be “justified” by him for some specious reason, but the reality is, he can’t let go and is still trying to control her and inflict pain on her after the relationship is over. This is a subtle form of terrorism, because abuse victims are often very emotionally (if not physically) afraid of their abusers once they wake up. She will know that she might run into him at the local convenience store, gas station, supermarket, or on a walk. He is, in effect, pissing on her boundaries (something abusers have no respect for) and trying to make them his own. He may even begin dating someone who lives very close to her, so that he has an excuse to go by her house, or park his car nearby.

Ex-partners of abusers will often express fear of their abuser, and will have no desire to be anywhere near the abuser. On the other hand, the abuser may try to appear as if he is calm, rational, and still supportive of his ex-partner, despite the fact that he will also express the opinion that he believes she is quite unstable. He will make statements such as saying that he “bears her no ill-will”, etc., but then will show no respect for her boundaries or her requests for him to stay away from her. The abuser will still inquire with friends as to how she is doing, implying that his inquiry is because he cares about her – he does care – about retaining those last vestiges of control, even after the breakup. What he really wants to know is if she is suffering or doing badly, because that feeds his sick ego. He feels best when he puts other people in as much pain as he is in.”  Natalie P


 
 
 

STALKING

Post n°83 pubblicato il 06 Novembre 2009 da sensuale_tt
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LO STALKING: CONOSCERLO E DIFENDERSI  SINDROME DEL MOLESTATORE A cura della Dott.ssa Monica Monaco

http://www.benessere.com/psicologia/arg00/sindrome_molestatore.htm

Alcuni comportamenti come telefonate, sms, e-mail, “visite a sorpresa”
e perfino l’invio di fiori o regali, possono essere graditi segni di affetto
che, tuttavia a volte, possono trasformarsi in vere e proprie forme di
persecuzione in grado di limitare la libertà di una persona e di violare
la sua privacy, giungendo perfino a spaventare chi ne è destinatario
suo malgrado.
A diventare “molestatore assillante” o “stalker” può essere una persona
conosciuta con cui si aveva qualche tipo di relazione o perfino uno
sconosciuto con cui ci si è scontrati anche solo per caso, magari per
motivi di lavoro.

Inseguimento, molestia, persecuzioInseguimento, molestia e
persecuzione possono manifestarsi sotto innumerevoli forme.
Esse possono essere qualcosa di sporadico oppure possono
essere insistenti manifestazioni di un fenomeno psicologico
e sociale conosciuto soprattutto con il nome di “stalking” ,
ma chiamato anche “sindrome del molestatore assillante”
, “inseguimento ossessivo” o anche obsessional following .
La terminologia più comune, quella di “stalking”, è stata coniata
con la finalità di raffigurare simbolicamente, con un termine in
lingua inglese che significa “appostarsi”, l’atteggiamento di chi
mette in atto molestie assillanti e per questo viene definito “stalker”.
Il “molestatore assillante” manifesta, infatti, un complesso insieme
di comportamenti che vengono ben racchiusi sinteticamente
dall’espressione “fare la posta” che comprende l’aspettare, l’inseguire,
il raccogliere informazioni sulla “vittima” e sui suoi movimenti,
comportamenti che sono quasi sempre “tipici” di tutti gli stalkers,
al di là delle differenze rilevate di situazione in situazione.

In effetti alcuni studi compiuti su questo fenomeno (Mullen P. E. & al., 2000)
hanno distinto due categorie di comportamenti attraverso i quali si
può attuare lo stalking.

 

  • La prima tipologia comprende le comunicazioni intrusive ,
    che includono tutti i comportamenti con scopo di trasmettere
    messaggi sulle proprie emozioni, sui bisogni, sugli impulsi, sui
    desideri o sulle intenzioni, tanto relativi a stati affettivi amorosi
    (anche se in forme coatte o dipendenti) che a vissuti di odio,
    rancore o vendetta. I metodi di persecuzione adottati, di
    conseguenza, sono forme di comunicazione con l’ausilio di
    strumenti come telefono, lettere, sms, e-mail o perfino graffiti
    o murales.
  • Il secondo tipo di comportamenti di stalking è costituito dai contatti ,
    che possono essere attuati sia attraverso comportamenti di controllo
    diretto, quali ad esempio pedinare o sorvegliare, che mediante
    comportamenti di confronto diretto , quali visite sotto casa o sul
    posto di lavoro, minacce o aggressioni. Generalmente non si
    ritrovano due tipologie separate “pure” di stalkers, ma molestie
    in forme miste in cui alla prima tipologia, in genere segue la seconda
    specie di azioni.

 

Il comportamento stalkizzante è stato delineato nei suoi dettagli più specifici
che permettono di distinguerlo da comportamenti simili (Galeazzi G.M., Curci P., 2001).
A tal proposito, sono particolarmente importanti tre caratteristiche di una
molestia
perché si possa parlare di “stalking”:

  1. l’attore della molestia, lo stalker, agisce nei confronti di una
    persona che
    è designata come vittima in virtù di un investimento ideo-affettivo,
    basato su una situazione relazionale reale oppure parzialmente o
    totalmente immaginata (in base alla personalità di partenza e al
    livello
    di contatto con la realtà mantenuto);
  2. lo stalking si manifesta attraverso una serie di comportamenti basat
    i sulla comunicazione e/o sul contatto, ma in ogni caso connotati
    dallaripetizione, insistenza e intrusività;
  3. la pressione psicologica legata alla “coazione” comportamentale
    dello stalker e al terrorismo psicologico effettuato, pongono la vittima
    stalkizzata, definita anche stalking victim, in uno stato di allerta,
    di emergenza e di stress psicologico. Questi vissuti psicologici
    possono essere legati sia alla percezione dei comportamenti
    persecutori come sgraditi, intrusivi e fastidiosi, che alla
    preoccupazione
    e all’angoscia derivanti dalla paura per
    la propria incolumità.
 

Identikit del molestatore assillante

 

La coazione che connota il comportamento di stalking, e che
permette di delinearlo anche giuridicamente, ha fatto ipotizzare
che tale problema fosse una forma di “disturbo ossessivo”.
Tuttavia, come è stato osservato,i disturbi psicopatologici ossessivi
sono connotati da vissuti egodistonici relativi ai comportamenti
attuati e, conseguentemente, da un malessere
provocato dalle idee, dai pensieri, dalle immagini mentali e dagli
impulsi ossessivi legati alla persecuzione. Questi vissuti di disagio
e di intrusione in realtà non risultano presenti in genere negli stalkers
che, al contrario,tendono perfino a trarre piacere dal perseguitare.

È molto importante sottolineare altresì che lo stalking non è un fenomeno
omogeneo; pertanto, risulta difficile fare rientrare i molestatori assillanti
in una categoria diagnostica precisa o identificare sempre la presenza di
una vera e propria patologia mentale di riferimento. Gli stalkers non sono
sempre persone con un disturbo mentale e, anche se esistono alcune forme
di persecuzione che sono agite nel contesto di un quadro psicopatologico,
questa non è una
condizione sempre presente così come non esiste sempre un abuso di
sostanze associato al comportamento stalkizzante.

Ciò che è importante comprendere è che dietro a comportamenti di
molestia simili possono celarsi motivazioni anche molto differenti tra
loro. A questa conclusione si è giunti in seguito a studi che hanno
esaminato il profilo psicologico di numerosi stalkers e, sulla scorta
dei quali, si è giunti ad individuare cinque tipologie di stalkers ,
distinti in base ai bisogni e desideri che fanno da motore motivazionale
(Mullen et al., 1999).

  1. Una prima tipologia di molestatore insistente è stata definita
    “il risentito” . Il suo comportamento è sospinto dal desiderio
    di vendicarsi di un danno o di un torto che ritiene di aver subito
    ed è quindi alimentato dalla ricerca di vendetta. Si tratta di una
    categoria piuttosto pericolosa che può ledere prima l’immagine
    della persona e poi la persona stessa. Il problema più grave è
    legato alla scarsa analisi della realtà: perché il risentimento fa
    considerare giustificati i propri comportamenti che, producendo
    sensazioni di controllo sulla realtà, tendono a loro volta a rinforzarli.
  2. La seconda tipologia di stalker è stata denominata
    “il bisognoso d’affetto” , una tipologia che è motivata dalla
    ricerca di una relazione e di attenzioni che possono riguardare
    l’amicizia o l’amore. La vittima in genere viene considerata, per
    via di una generalizzazione a partire da una o più caratteristiche
    osservate anche superficialmente, vicina al “partner o amico/a
    ideale”, una persona che si ritiene possa aiutare, attraverso la
    relazione desiderata, a risolvere la propria mancanza di amore
    o affetto. Spesso il rifiuto dell’altro viene negato e reinterpretato
    sviluppando la convinzione che egli abbia bisogno di sbloccarsi e
    superare qualche difficoltà psicologica o concreta. Questa categoria
    include anche la forma definita “delirio erotomane”, in cui il bisogno
    di affetto viene erotizzato e lo/la stalker tende a leggere nelle risposte
    della vittima un desiderio a cui lei/lui resiste. L’idea di un rifiuto,
    vissuto come un’intollerabile attacco all’Io, viene respinta con
    grande energia e strutturando un’alta difesa basata sull’allontanamento
    della percezione reale dell’altro, delle sue reazioni e della relazione
    reale che viene sostituita da quella immaginaria.
  3. Una terza tipologia di persecutore è quella definita “il corteggiatore incompetente” , che tiene un comportamento alimentato dalla
    sua scarsa o inesistente competenza relazionale che si traduce
    in comportamenti opprimenti, espliciti e, quando non riesce a
    raggiungere i risultati sperati, anche aggressivi e villani. Questo
    tipo di molestatore è generalmente meno resistente nel tempo
    nel perseguire la persecuzione della stessa vittima, ma tende a
    riproporre i propri schemi comportamentali cambiando persona da
    molestare.
  4.  
    1. Esiste poi “il respinto” , un persecutore che diventa tale in reazione ad un rifiuto. È in genere un ex che mira a ristabilire la relazione oppure a vendicarsi per l’abbandono. Spesso oscilla tra i due desideri, manifestando comportamenti estremamente duraturi nel tempo che non si lasciano intimorire dalle reazioni negative manifestate dalla vittima: la persecuzione infatti rappresenta comunque una forma di relazione che rassicura rispetto alla perdita totale, percepita come intollerabile. Nella psicologia di questo tipo di “inseguitore assillante” gioca un ruolo cruciale il modello di attaccamento sviluppato che è una delle forme di tipo insicuro, in grado di scatenare angosce legate all’abbandono che creano una tendenza interiore, più o meno consapevole, a considerare l’assenza dell’altro come una minaccia di annientamento e di annullamento del Sé.

    2. Infine, è stata descritta una categoria di stalker definita “il predatore” e costituita da un molestatore che ambisce ad avere rapporti sessuali con una vittima che può essere pedinata, inseguita e spaventata. La paura, infatti, eccita questo tipo di stalker che prova un senso di potere nell’organizzare l’assalto. Questo genere di stalking può colpire anche bambini e può essere agito anche da persone con disturbi nella sfera sessuale, quali pedofili o feticisti.
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    La vittima e il legame con il suo Stalker

    Molte persone che subiscono molestie assillanti sono donne di un’età più frequentemente compresa tra i 18 e i 24 anni. Tuttavia, alcuni tipi di persecuzioni, quali ad esempio quelle legate al risentimento o alla paura di perdere la relazione che nasce dall’essere respinti, sono rivolte principalmente a donne tra i 35 e i 44 anni.

    Alcuni studi sul fenomeno in esame hanno mostrato dei risultati interessanti che servono a riflettere ulteriormente sulle caratteristiche delle vittime di stalking e sull’importanza della relazione che, spesso solo nella mente dello stalker, si instaura con tutta la capacità di influenza che può esercitare una relazione reale. A questo proposito si è riscontrato che esiste una “categoria sociale a rischio di stalking” rappresentata da tutti gli appartenenti alle cosiddette “professioni d’aiuto”, vale a dire i medici, gli psicologi, gli infermieri e ogni altra sorta di “helper”. Ciò sembra trovare due spiegazioni: da un lato questi professionisti entrano in contatto con bisogni profondi di aiuto delle persone e possono facilmente divenire vittime di proiezioni di affetti e relazioni interiorizzate; dall’altro le eccessive speranze di alcuni “pazienti” possono essere tradite dalla quotidianità professionale e lo stalking diventa una domanda di attenzione o una ricerca di vendetta per l’attribuzione di responsabilità sulla salute o sulla vita propria o dei propri cari, aspetti che non sono in realtà mai completamente nelle mani di nessuno.

    Tecniche di comportamento Antistalking

    Dal momento che non tutte le situazioni di stalking sono uguali, non è possibile generalizzare facilmente delle modalità comportamentali di difesa che devono essere adattate alle circostanze e alle diverse tipologie di persecutori.

    Esistono tuttavia alcune regole utili.

     

    • Innanzitutto, inutile negare il problema. Spesso, dal momento che nessuno vuole considerarsi una “vittima”, si tende a evitare di riconoscersi in pericolo, finendo per sottovalutare il rischio e aiutando così lo stalker. Il primo passo è allora sempre quello di riconoscere il problema e di adottare delle precauzioni maggiori rispetto a quelle adottate dalle persone che non hanno questo problema. Occorre informarsi sull’argomento e comprendere i rischi reali, seguendo dei comportamenti volti a scoraggiare, quando è possibile, gli atti di molestia assillante.
    • Se la molestia consiste nella richiesta di iniziare o ristabilire una relazione indesiderata, è necessario essere fermi nel “dire di no” una sola volta e in modo chiaro. Altri sforzi di convincere il proprio persecutore insistente, comprese improvvisate interpretazioni psicologiche che lo/la additano come bisognoso di aiuto e di cure, saranno lette come reazioni ai suoi comportamenti e quindi rappresenteranno dei rinforzi, in quanto attenzioni. Anche la restituzione di un regalo non gradito, una telefonata di rabbia o una risposta negativa ad una lettera sono segnali di attenzione che rinforzano lo stalking.
    • Comportamenti molto efficaci per difendersi dal rischio di aggressioni sono quelli prudenti in cui si esce senza seguire abitudini routinarie e prevedibili, in orari maggiormente affollati e in luoghi non isolati, magari adottando un cane addestrato alla difesa, un modo che si è rivelato molto utile sia come concreta difesa che per aumentare la sensazione di sicurezza.
    • Se le molestie sono telefoniche, non cambiare numero. Anche in questo caso, le frustrazioni aumenterebbero la motivazione allo stalking. È meglio cercare di ottenere una seconda linea, lasciando che la vecchia linea diventi quella su cui il molestatore può continuare a telefonare, magari mentre azzerate la soneria e rispondete gradualmente sempre meno.
    • Per produrre prove della molestia alla polizia, non lasciarsi prendere dalla rabbia o dalla paura e raccogliere più dati possibili sui fastidi subiti.
    • È utile mantenere sempre a portata di mano un cellulare in più per chiamare in caso di emergenza.
    • Se si pensa di essere in pericolo o seguiti, non andare mai di corsa a casa o da un amico, ma recarsi dalle forze dell’ordine.

     

    Le conseguenze dello Stalking

    Purtroppo spesso, soprattutto per via di norme giuridiche che limitano gli interventi di prevenzione delle situazioni di emergenza, i comportamenti di stalking possono essere protratti a lungo con conseguenze psicologiche negative principalmente per la vittima, ma anche per chi lo agisce e, talvolta, per chi lo osserva.

    La vittima, per quanto possa essere breve il periodo in cui viene perseguitata, rischia di conservare a lungo delle vere e proprie ferite. Le conseguenze dello stalking infatti, per chi lo subisce, sono spesso diverse e si trascinano per molto tempo cronicizzandosi. In base al tipo di atti subiti e alle emozioni sperimentate possono determinarsi stati d’ansia e problemi di insonnia o incubi, ma anche flashback e veri e propri quadri di Disturbo Post Traumatico da Stress.

    Lo stalker che agisce compulsivamente tende a seguire i propri bisogni e a negare la realtà, danneggiando progressivamente la propria salute mentale e la qualità della propria vita sociale che si deteriorano sempre di più, via via che la persecuzione si protrae nel tempo.

    Il pubblico degli episodi di stalking può essere il ristretto pubblico familiare che, identificandosi empaticamente alla vittima, può sviluppare preoccupazioni per la persona cara o forme vicarie di paura ed ansia. Ma il pubblico in senso ampio, grazie all’importante ruolo dei mass media, è la società, in cui l’esempio della violazione della privacy tollerata può rappresentare un modello comportamentale che alimenta le possibilità di nuovi fenomeni, anche perché quelli agiti spesso vengono spiegati (e parzialmente giustificati) sulla base di “possibili raptus” o di “eccessi di amore”.

    Approfondimenti bibliografici

     

    • Meloy J. R., 1998, The psychology of stalking, Academic Press.
    • Mullen P.E., Pathè M., Purcell R., Stuart G., 1999, A study of stalkers. In American Journal of Psychiatry, 156, 1244-1249.
    • Oliviero Ferraris A., 2001, Stalker il persecutore. In Psicologia Contemporanea, 164, 18-25.
     
     

     

     

 

 
 
 

FRIGIDITA'

Post n°82 pubblicato il 19 Ottobre 2009 da sensuale_tt
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"Nove volte su dieci la frigidità è più un odio verso l'atto fisico in sè nel quale la donna non trova quella comprensione necessaria per giungere alla piena soddisfazione.
   In pratica quando un uomo è un po' troppo rude la donna non riesce a lasciarsi andare fino ad arrivare all'orgasmo. Per una donna l'amore fisico è il risultato di una comunicazione sentimentale, ha bisogno di sicurezza e tenerezza, deve sentire la solidarietà del suo compagno; ricerca, insomma, una perfetta armonia."(http://www.webalice.it/italiano.domenico/frigida.htm

Molto spesso si sente parlare di donne che si ritengono frigide e/o il loro patner le definisce tali. Questo spesso provoca una forte frustazione nelle donne che sanno chiaramente di non esserlo ma che a differenza degli uomini (che non solo danno una grande importanza alla loro mancanza di stimolo ma anche non si chiedono mai se la causa della frigida' della loro donna non siano  stati proprio loro ad averla causata) si fanno mille domande del perche' non "hanno piu' voglia" oppure subiscono il sesso senza domandarsi perche' non hanno mai raggiunto l'orgarmo o non lo raggiungono piu'. Il tutto dando una motivazione errata che a loro il sesso non interessa piu' o che e' dovuto all'eta'. Esse non si chiedono mai "il mio lui mi attrare ancora???""perche' ho perso l'interesse in una cosa che un tempo piaceva anche a me???

"L’orgasmo femminile può essere facilmente condizionato dai meccanismi del “trattenersi” e del supercontrollo che sono, probabilmente, fondamentali nella patogenesi di questo disturbo.
Molto spesso all’origine di una situazione di anorgasmia c’è la presenza un effetto inibitorio dell’ansia durante il rapporto. Tale ansia può essere dovuta inizialmente alla novità, a paure sessuali, a traumi pregressi (es. abuso sessuale), a un rapporto non adeguato col partner, al timore di perdere il controllo (e di fare o dire qualcosa di sconveniente), ecc.
A causa di tale ansia la donna ha paura di “lasciarsi andare” e si “trattiene” di fronte alla sensazioni sessuali, nel momento in cui esse diventano più intense. Col passare del tempo tale meccanismo di controllo si rafforza sempre di più fino a diventare automatico e a non poter più essere controllato volontariamente. La donna, quindi, non sperimenterà più l’orgasmo nemmeno quando è calma, innamorata, propriamente stimolata e reattiva per ogni altro verso.
In alcuni casi quest’ansia può diventare ansia da prestazione. La donna insegue continuamente l’orgasmo, come dimostrazione di normalità e di amore per il partner, accelerando ad ogni costo l’evento e cercando di “sentire” quanto più possibile. Proprio tale eccessiva attenzione impedisce, ancora una volta, il lasciarsi andare all’immaginazione e alle proprie emozioni, rendendo il rapporto troppo limitato alla sua concretezza. 
L’obiettivo primario della terapia è quello di diminuire o eliminare il supercontrollo involontario del riflesso orgasmico. 
Il trattamento consiste nell’insegnare alla paziente a focalizzare la sua attenzione sulle sue sensazioni premonitorie associate all’orgasmo. La paziente deve imparare a non rinnegarle e per questo deve essere distratta dal ipercontrollo inibitorio che ha esercitato inconsciamente su questa reazione. Per eliminare il supercontrollo e l’inibizione la paziente si impegna in esperienze sessuali prescritte, studiate in modo da insegnarle a smettere di intralciare il naturale processo della scarica orgasmica.
Tramite la psicoterapia, inoltre, si cerca di promuovere la presa di coscienza e la risoluzione dei condizionamenti culturali e educativi che hanno originariamente spinto la paziente a “trattenere” il suo orgasmo. 

Estratto da:http://www.ipsico.org/raggiungere_orgasmo_femminile.htm

 
 
 

NARCISISMO "necessario quando e' sano, accecante quando cancella gli altri"

Post n°81 pubblicato il 08 Ottobre 2009 da sensuale_tt
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Per la natura di questo blog mi riferiro' al narcisimo fallico prendendo spunto sia da scritti che da esperienze personali.

 "Purtroppo, è troppo frequente, nei colloqui psicologici, la lagnanza di entrambi i sessi sull'impossibilità di trovare ‘ uomini veramente maturi ‘, e‘donne veramente impegnate nel rapporto’ e ciò non può che scaturire dalla riluttanza e dalla paura del cambiamento, della trasformazione inevitabile che l'amore richiede: la rinuncia al narcisismo.....(vedi blog 74 del 26 luglio 09).

E' evidente che nella vita di tutti i giorni ognuno di noi necessita il narcisimo, una forma di individualismo, necessario per poter ottenere quello che appaga i bisogni primari per la soppravvivenza (narcisismo primario)

'Il narcisismo e' un modo di essere fondamentale dell'individuo caratterizzato dall'avere tutta l'energia psichica (libido) contenuta in se.' Tuttavvia nella fase transizionale di internalizzazione e dello sviluppo dell'IO che affrontera' la realta il nacismo, chiamato secondario, puo' non riuscire ad acquietare le pulsioni degli stimoli dettati dall'IO primario.

Antonio alberto Semi (Il Mulino- 2007)descrive nel suo libro diversi aspetti del Narcisismo.

 

 

 

 

 

 

 
 
 

malinconia

Post n°80 pubblicato il 21 Settembre 2009 da sensuale_tt
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dal libro:  Arcipelago Malinconia a cura di Biancamaria Frabotta Donzelli Editore

http://books.google.it/books?

A pagina quattro quarto paragrafo James Hillmans descrive le varie percezioni sulla vita che incapsulano lo stato emotivo della malinconia. Egli descrive come la corsa a varie aspirazioni materialistiche e l'influenza esterna unitamente a metodi di comunicazione meccanizzati, al dover fare tutto in fretta con la conseguente "assenza di profondita', porta l'uomo ad uno stato ansioso continuo e desideroso di fuggire a questa "persecuzione di essere e fare" "ossessione di pensare" per rifugiarsi,  ironically, nella malinconia stessa fino talvolta allo sfocio della depressione.

 
 
 

(Arianna e il minotauro) Agire e Reagire in maniera simile ma non uguale

Post n°79 pubblicato il 05 Agosto 2009 da sensuale_tt
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La copertina del libro appena letto con avidita' e interesse...scorrevole, semplice e complicato allo stesso tempo con riferimenti storici e letterari che non tutti comprendono o ne sono informati della connessione agli eventi che vengono a svilupparsi. Di certo un libro VERO che rispecchia LE NUOVE DIPENDENZE che ho descritto nel mio blog e alle quali ben pochi hanno commentato presi come sono a rincorrere il sogno piuttosto di fermarsi e capire che cosa sta succedendo.

Anche Arianna pur essendo una donna istruita e colta non fu capace di fermarsi ed apprezzare cio' che aveva con la sua sete di essere riconosciuta per quello che era dopo anni di anonima routine familiare.

Una storia di tante/tanti simile ma non uguale...Un libro che, letto dalla donna medio borghese, fa giudicare Arianna una pazza dagli ormoni sbilanciati e sgualdrinella da due soldi...che ha tutto ed e' annoiata e cerCa nuove emozioni...commenti come "non riesco a capire come ci si possa innamorare di uno che manco vedi o conosci...sicuramente alla nostra eta' si sa che ci sono gli ammagliatori e cafoni!"

Un libro che ha bisogno di essere letto proprio da chi dice " Quelle hanno voglia solo di una cosa...tutte le donne sono uguali...delle frustrate e annoiate, il marito non glielo da piu' e allora lo cercano...."  Ed ecco che questi uomini, A LORO VOLTA ANNOIATI E SOLI, innamorati dei loro genitali, si cementano a conquistare via internet credendosi il Dio Bacco, Dionisio ,Turms, Ercole, Ulisse O CHI ALTRO...Senza rendersi conto di quanto male fanno, quante famiglie rovinano...o godendo proprio di questo.

SI UN LIBRO, questo, CHE DEVE ESSEERE CREDUTO ANCHE SE NON TUTTE PERCORRONO LO STESSO CAMMINO DI ESPERIENZA SESSUALE PER CAPIRE SE STESSE...TANTE SI FERMANO PRIMA...MOLTO MOLTO PRIMA PERCHE' FORSE HANNO LA FORTUNA DI AVERE CHI LE STA VICINO E LO CAPISCONO IN TEMPO...

BRAVA ARIANNA....ASPETTO NUOVI LIBRI DA TE: LIBRI CHE MI DICONO COME E' FINITA ARIANNA...LIBRI DI ALTRE ARIANNE CON PERCORSI MENO DISTRUTTIVI DELLA PROPRIA FEMMINILITA'....MA TANTO DOLOROSI QUANTO E' STATO IL TUO.

 
 
 
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