Creato da sensuale_tt il 07/08/2008
Sapere imparare per conoscere, capire e saper ringraziare e anche perdonare!
 

 

Metafisica del sesso By Julius Evola

Post n°78 pubblicato il 02 Agosto 2009 da sensuale_tt
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Come nel medioevo la ribellione contro la chiesa e le tradizioni porto' il movimento del libertinismo che anche in seguito si manifesto' in ribellione alla conformita' nel periodo rinascimentale , oggigiorno il benessere materiale ha portato l'essere umano ad usare un linguaggio comune per sentirsi meno solo: il sesso. Come mi fu detto "tutti fanno sesso, a tutti piace il sesso, quando si parla di questo non ci sono distinzioni sociali o culturali o religiose, tutti abbiamo questo istinto e necessita'!".

Il libro:

http://edizionimediterranee.it/index.html?target=p_1331.html&lang=it 

potra' aiutare a dare una logica a cio' che sta' avvenendo nel mondo che ci circonda ove tutti cercano un "godimento" vuoto di ogni vera necessita' emotiva che essi hanno ma che fanno di tutto per ignorare.

Liberta' non significa libertinismo...una delle poche cose su cui condivido le parole del Papa, non come personaggio religioso ma come persona ed essere umano.

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"Secondo Evola l'uomo ha la possibilità di elevarsi alla sfera divina e metafisica attraverso precise strade (il rito e l'iniziazione), utilizzando determinati strumenti (l'azione e la contemplazione) all'interno di contesti sociali predeterminati (la casta, l'impero). In aperto contrasto con le teorie di Sant'Agostino espresse nel De civitate dei ed in sintonia con i dettami del buddhismo delle origini, Evola sostiene che non esiste differenza quantitativa tra l'uomo e il dio. Per l'autore ogni uomo è un dio mortale e ogni dio un uomo immortale.[88]

Queste civiltà – ritenute superiori – si basano dunque su una più elevata dimensione metafisica e spirituale dell'esistenza, anziché su criteri di ordine materiale. La naturale decadenza di queste società è inversamente proporzionale all'aumento del progresso e della modernità. Tale processo di decadenza ha inizio con la perdita dell'unico polo che in passato racchiude sia l'autorità spirituale che quella temporale e prosegue con la spinta propulsiva dei valori illuministi espressi con la Rivoluzione Francese: si arriva così alla società odierna dove la dimensione spirituale dell'esistenza è andata definitivamente perduta.

In particolare Evola rifiuta totalmente il concetto di egalitarismo in favore di una visione differenziatrice della natura umana. Ne consegue un netto rifiuto per la democrazia (intesa come strumento di massa) e parimenti per ogni forma di totalitarismo, anch'esso ritenuto uno strumento di massa che si basa non su un'autorità spirituale, bensì su un'autorità esclusivamente di tipo temporale.

Naturale conseguenza di questo pensiero è che le differenze naturali tra gli esseri umani si rispecchiano anche nelle razze. Il filosofo rifiuta una visione razzista della vita in senso biologico, affermando la sua teoria del così detto razzismo spirituale. La "razza interiore" di cui parla Evola è definita come un patrimonio di tendenze e attitudini che – a seconda delle influenze ambientali – giungono o meno a manifestarsi compiutamente. L'appartenenza ad una razza si individua dunque sulla base delle caratteristiche spirituali, e solo in seguito fisiche, diventandone col tempo queste ultime il segno visibile."

 
 
 

Il libertinismo del popolo

Post n°77 pubblicato il 02 Agosto 2009 da sensuale_tt

Un poeta popolare libertino

Ce monde icy n'est qu'une misère
Et l'autre n'est qu'une chimere
Bienhereux qui f...e qui boit
J'y vivray tousjour de la sorte,
Priant le bon Dieu qu'ainsi soit
Jusqu'a ce qu'un Diable m'emporte.

 

"Questo mondo è una miseria, e l'altro non è che una chimera. Fortunato chi f… e beve. Io affiderò la mia vita alla fortuna pregando il buon Dio che sia così fino alla fine quando un Diavolo mi trascini via."(Claude de Blot l'Eglis

In effetti questa concezione era largamente diffusa nel libertinismo del Seicento che associava all'indifferenza religiosa il nichilismo morale: era questo un libertinismo popolare diffuso in Francia sia tra i nobili che tra i borghesi che lo praticavano non motivati da anticlericalismo ma piuttosto per generica indifferenza ai precetti della Chiesa.

I progressi della scienza ma soprattutto il disgusto per gli orrori di cui si erano macchiati sia i cattolici che i protestanti nelle fanatiche guerre di religione, allontanavano sempre di più dalla fede gli spiriti moderati e pacifici.

Naturalmente i libertini si opponevano ai tentativi d'ingerenza della Chiesa romana nel regno di Francia e questo può spiegare il fatto che essi vennero in genere tollerati e non subirono persecuzioni in uno Stato, sostanzialmente laico, che applicava molto blandamente le leggi che punivano le offese alla religione come la bestemmia e l'ateismo.

Si diffondono in questo periodo in Francia testi d'intellettuali e letterati libertini che affermano di non credere tanto alla filosofia o alla scienza quanto al buon senso che ci fa apprezzare le gioie della vita: essi si proclamano credenti ma lasciano ai teologi le questioni di fede che per loro rimangano misteri che non ritengono debbano essere chiariti alla luce di una ragione debole e insufficiente. Del resto questi stessi motivi si erano presentati sia nei mistici medioevali che nella Riforma che condannava duramente i tentativi della miserabile logica umana di penetrare le verità di fede.

Al contrario vi sono quelli che con stringenti argomentazioni razionali tratte dallo scetticismo concludono che l'unica verità è nella Rivelazione ma essi non hanno nessun interesse per le verità religiose per cui le affermazioni di fede dei libertini sembrano essere più che altro strumenti per evitare persecuzioni e tribolazioni.

Il mondo dei libertini è molto variegato: tra di loro vi sono atei convinti come Cyrano de Bergerac che s'ispira alla filosofia di Tommaso Campanella da lui frequentato a Parigi, o quelli come Gassendi che credevano in Dio e nella vita eterna ma non si interessavano delle dispute teologiche.

Libertini furono nel 600 filosofi, letterati, magistrati, uomini politici che agendo in segreto o in ristretti circoli aristocratici, con pubblicazioni anonime e clandestine cercarono d'influenzare il potere politico rimanendo nascosti alla pubblica opinione.

 
 
 

motivazioni della nascita del libertinismo

Post n°76 pubblicato il 02 Agosto 2009 da sensuale_tt

I primi libertini

Adamo, la purezza del corpo

Una setta di libertini francesi è presente nel 1525 circa, a Lilla e a Parigi, diffusasi con la protezione dalla stessa sorella del re Francesco I: Margherita di Navarra.

Anche nella cupa e severa Ginevra comparvero i libertini fortemente combattuti da Calvino con gli scritti e con il rogo.

Nei libertini di questo periodo sono evidenti i riflessi culturali del Rinascimento esaltante la naturalità dell'uomo con in più un'interpretazione teologica della redenzione di Cristo che ha portato secondo loro ad un rinnovamento non solo dello Spirito ma anche del corpo dell'uomo. Con la Redenzione del corpo di Cristo è stata restituita all'uomo anche la purezza della carne come ai tempi biblici dell'Eden di Adamo. Per questo ogni desiderio naturale non va represso moralisticamente ma soddisfatto per volontà di Cristo redentore.

Sempre in età rinascimentale il termine libertino era usato per denigrare sette religiose come quella dell’olandese David Joris che praticava un’anarchia morale rifacendosi ad un’interpretazione di San Paolo della “nuova alleanza" che si contrapponeva alla legge mosaica sostituendovi l’amore e la grazia.

Nel Seicento con il termine libertini non si indicano più i sostenitori di costumi riprovevoli giustificati da motivazioni religiose ma coloro che si sono allontanati dalla vera fede e che sono caduti nella dissolutezza morale. Non sempre il termine veniva interpretato negativamente ma poteva anche significare "esprit fort", uno spirito forte: una mente che tendeva all’estremizzazione ma convinta delle sue posizioni.

Il termine libertino stava quindi ad indicare tre significati sia nel linguaggio comune che tra i filosofi:

  • il libertino era un depravato;
  • un ateo dedito solo ai piaceri del corpo:
  • un filosofo scettico.

Una di queste definizioni non escludeva l’altra, anzi autori cristiani sostenevano come un comportamento licenzioso spesso portasse all’abbandono della fede e viceversa un atteggiamento di critica o incredulità nei confronti della Chiesa fosse causa di depravazione morale. Certo questo poteva essere vero per i più rozzi e incolti ma esisteva anche un "libertinage erudit" (libertinaggio erudito) proprio di personaggi intellettualmente di rilievo.

Cattolici e protestanti sostenevano che la decadenza della morale e in particolare la sessualità senza regole era l’effetto della mancanza di fede. La licenziosità morale veniva in genere riportata al naturalismo metafisico rinascimentale come già si è detto, ma in particolare i cattolici accusavano la teoria della predestinazione calvinista come causa del comportamento libertino. Infatti, essi dicevano,se la salvezza o la dannazione dell’uomo dipendono dalla predestinazione divina che già ha deciso del destino ultraterreno allora nulla servirà e varrà il comportamento dell’uomo per modificare quanto già fissato; tanto vale peccare fortemente ("pecca fortiter") come diceva Lutero, perché solo chi cade nel fondo dell'abisso del peccato può far rinascere la sua fede per risalire alla salvezza.

Ma in vero anche la teoria della "facile devozione" dei gesuiti, antitetica a quella calvinista, poteva portare alla stessa conclusione. Ne troviamo un chiaro esempio nel quietismo italiano a proposito del processo di Miguel de Molino condannato dal Sant'Uffizio nel 1682: sosteneva l’eretico de Molino che se è vero che il nostro corpo da Adamo in poi è definitivamente preda del demonio, se misticamente e asceticamente liberiamo la nostra anima dalla carne allora nulla importerà se questa finirà di corrompersi con i piaceri terreni. L’anima rifugiatasi nella contemplazione sarà ormai salva.

Si è sempre voluto sostenere un nesso tra libertinismo filosofico e quello morale per cui si attribuiva al primo la causa del secondo.[senza fonte] In realtà questo nesso causale non era nelle intenzioni di chi in origine aveva formulato quella dottrina ma piuttosto la si prendeva a pretesto per giustificare certi comportamenti morali come, in particolare, quello della libertà sessuale; e talora gli avversari della dottrina in questione usavano questa pretesa conseguenza morale per discreditarla.

 
 
 

definizione del libertinismo

Post n°75 pubblicato il 02 Agosto 2009 da sensuale_tt

Da Wikipedia, l'enciclopedia libe

Il termine libertinismo si riferisce ad un movimento culturale che ebbe vasta diffusione nella Francia del XVII secolo. L'origine della parola è tuttavia più antica: risale alle sette del "libero spirito" nate nel secolo XIII in Italia, Francia e Germania.

Nella presunta profezia tratta da Gioacchino da Fiore dell'avvento di un'età dello Spirito, queste sette credevano in una sorta di panteismo e praticavano una libertà di costumi specie di quelli sessuali. La vita dell'uomo è strettamente naturale e nella natura è la perfezione divina. Gli istinti non vanno frenati e non esiste peccato se ci si comporta seguendo le spinte naturali del piacere fisico.

 
 
 

Paura dell'amore

Post n°74 pubblicato il 26 Luglio 2009 da sensuale_tt
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Purtroppo, è troppo frequente, nei colloqui psicologici, la lagnanza di entrambi i sessi sull'impossibilità di trovare ‘ uomini veramente maturi ‘, e‘donne veramente impegnate nel rapporto’ e ciò non può che scaturire dallariluttanza e dalla paura del cambiamento, della trasformazione inevitabile che l'amore richiede: la rinuncia al narcisismo, al desiderio avido di possesso, alla fantasie deliranti, per guardare l'altro, non già nello specchiodei propri fantasmi interiori, bensì nella sua totale interezza e complessità,andandogli incontro con sensibilità e rispetto, proteggendo il legame creatoda illusorie chimere di eterna felicità. Ma, per operare questo cambiamento,occorre aprire lo scrigno della mente, scavare negli anfratti della psiche e portare alla luce gli antichi fantasmi che la popolano.

 L'individuo insicuro nelle sue relazioni d'amore è tenacemente

convinto di essere alla ricerca di accettazione e di amore incondizionato, ma

in realtà finisce per ripetersi in modo stereotipato, sperimentando all'infinito

il rifiuto e la lotta contro il rifiuto stesso, una lotta incominciata tanto tempo

prima e così abituale da divenire familiare e preferibile, inconsciamente, ad

alternative sconosciute e perciò più rischiose.

Le componenti dell'amore romantico insicuro sono l'ansia e l'ossessione.

L'ansia amorosa induce nel soggetto laceranti sentimenti di incertezza e di

paura, quasi si trovasse sospeso sull'orlo di un baratro, e il suo umore oscilla

tra i vertici della euforia e gli abissi della disperazione: la minima mancanza

di entusiasmo da parte del partner genera timore e sofferenza, ogni più

piccola manifestazione d'affetto arreca soltanto un momentaneo sollievo.

 

“ Sonetto amoroso “

Se volgi a caso i tuoi occhi soavi

e tenera mi osservi, in quel momento

provo dentro di me un simile contento

che più non temo un danno che mi aggravi.

Ma se li vedo schivi o disdegnosi o gravi

mostrandomi nel viso il tuo scontento

tanta pena mi dai, un simile tormento

che quasi della vita mi disgravi.

Cosi per me tu reggi la vita e la morte

racchiusa nella luce dei tuoi occhi e sai

darmi con il tuo sguardo morte e vita.

e io sono felice, anche se la mia sorte

vuole che la mia vita dipenda da te, se mi dai

la morte, presa da te la morte mi sarà gradita.

Luis Vaz De Camoes (11)

L'ossessione

 
 
 

NOMOFOBIA

Post n°73 pubblicato il 08 Maggio 2009 da sensuale_tt
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In questi ultimi anni si sta progressivamente e pericolosamente diffondendo una peculiare nevrosi legata alle nuove tecnologie, così come sta aumentando la sua dannosità in diretta proporzione alle sempre più numerose, sofisticate, disponibili e veloci possibilità comunicative (palmari, adsl, telefonini, notebook, satellitari, etc.).

 

Tale disturbo psicologico prende il nome di Sindrome da Disconnessione,  o anche Nomofobia (dall'inglese No-mobile), ed ormai in America affligge addirittura una persona su tre. 

 

Il suo recente e rapido sviluppo sta coinvolgendo anche gli altri paesi industrializzati, Europa ed Italia comprese.

 

In specifico basta che il telefonino, piuttosto che il palmare o il notebook collegato in rete si spengano o si disconnettano a  causa della batteria esaurita o di un improvviso guasto, o, più semplicemente, perchè si è entrati in una zona priva di campo o a causa della momentanea congestione della rete, per generare nella persona un vero e proprio stato psicopatologico di intensa e crescente ansia e paura.

 

Anche il rimanere per molto tempo lontani dal telefonino e/o dal computer provoca nell'individuo forti e problematiche emozioni di stress, ancora maggiori nei casi di dipendenza psicologica dal cellullare e/o dal pc connesso alla rete e/o dai Social Networks (es. Facebook), con tutti i molteplici sintomi e conseguenze negative a tali dipendenze collegate.

 

Probabilmente la Sindrome da Disconnessione è contraddistinta da molteplici cause, anche legate agli apparecchi di telecomunicazione e alle dinamiche sociali sviluppatesi in questi anni.

 

Ad esempio il bisogno di sicurezza, appagato dal poter sempre raggiungere telefonicamente qualcuno e/o il bisogno di comunicare, facilitato dalle connessioni sempre più veloci e dalla linea sempre più presente, anche in luoghi impervi e lontani.

 

Altri esempi ancora sono il bisogno di stare con qualcun'altro (dunque la paura di rimanere soli), trovata negli infiniti gruppi e forum della rete e/o infine il superare o lo scavalcare certi tempi ed emozioni di difficile gestione, tipiche dei rapporti umani reali, azzerate grazie al web.

 

Allora, paradossalmente, senza una connessione sembra che tutto il mondo intorno diventi improvvisamente deserto di possibilità, impulsi e scambi emotivi.

Solitamente la Sindrome da Disconnessione affligge maggiormente individui con bassa autostima, difficoltà sociali, ansia diffusa, eccessiva sensibilità, pensieri ossessivi e comportamenti compulsivi, ma può anche arrecare serie preoccupazioni, paura, ansia, e stress in persone senza tali dinamiche psicologiche.

 

Ulteriori sintomi negativi possono essere isolamento sociale, senso di frustrazione e di inutilità, crisi di panico.

 

 
 
 

SATIRISMO

Post n°71 pubblicato il 08 Maggio 2009 da sensuale_tt
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(Accettato nella societa' da sempre come un comportamento maschile da comprendere e per l'uomo un'atteggiamento che simboleggia l'essere maschio quando in realta' sono degli ammalati!!!!)

Il Satirismo (o Satiriasi) è una forte accentuazione quantitativa della sessualità nell'uomo; una sorta di esaltazione degli impulsi sessuali che spinge esso alla continua ricerca di nuove partners, ma la quale in realtà serve ad alleviare i tumulti psichici interni.

Questa ipersessualità è accompagnata dalla perdita di inibizioni e contraddistinta da continue manifestazioni di seduzione, provocazione, desiderio e fisiologia sessuale, tanto da assumere caratteristiche psicopatologiche.

Dunque l'ipererotismo domina quasi tutti i tempi e gli spazi della vita, complicando e spesso danneggiando la sfera sociale, familiare, affettiva e lavorativa.

 

Sembra che con tale sessualità diffusa la persona cerchi di esprimere a livello sessuale una insoddisfazione psico-fisica. 

 

Il satiriaco cercherebbe quindi il continuo contatto sessuale non per ricercare nuove sensazioni e piaceri, ma per avere un soddisfacimento psichico e fisico che non riesce mai a raggiungere. 

 

Il passaggio da una donna ad un altra è allora dovuto alla convinzione che il motivo dell'insoddisfazione sia legato alla partner e non ad una situazione interna di disagio.

 

Infine è importante sottolineare che il Satirismo non va confuso con il Priapismo, che invece sta ad indicare una situazione di patologia fisiologica contraddistinta dall'erezione persistente del pene, spesso accompagnata da dolore, imputabile a irritazioni dell' uretra, traumi, infezioni, uso di farmaci, etc.

 
 
 

NINFOMANIA

Post n°70 pubblicato il 08 Maggio 2009 da sensuale_tt
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 (Oggi considerato un normale comportamento femminile da molti uomini per loro convenienza??????)

La Ninfomania è una forte accentuazione quantitativa della sessualità nella donna di natura psicologica; una sorta di esaltazione degli impulsi sessuali che spinge essa alla continua ricerca di nuovi partners, ma la quale in realtà serve ad alleviare i tumulti psichici interni.

 

Questa ipersessualità è accompagnata dalla perdita di inibizioni e contraddistinta da continue manifestazioni di seduzione, provocazione, desiderio e fisiologia sessuale, tanto da assumere caratteristiche psicopatologiche.

 

Dunque l'ipererotismo domina quasi tutti i tempi e gli spazi della vita, complicando e spesso danneggiando la sfera sociale, familiare, affettiva e lavorativa.

 

Sembra che con tale sessualità diffusa la persona cerchi di esprimere a livello sessuale una insoddisfazione psico-fisica. 

 

La ninfomane cercherebbe quindi il continuo contatto sessuale non per ricercare nuove sensazioni e piaceri, ma per avere un soddisfacimento psichico e fisico che non riesce a raggiungere. 

 

Il passaggio da un uomo ad un altro è allora dovuto alla convinzione che il motivo dell'insoddisfazione sia legato al partner e non ad una situazione interna di disagio

http://www.cpsico.com/ninfomania.htm

 


 

 
 
 

SINTONIA

Post n°69 pubblicato il 04 Maggio 2009 da sensuale_tt
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"Essere in Sintonia" e' una frase che ricorre spesso nelle comunicazioni virtuali...molto poetica e romantica ma che viene imterpretata completamente in maniere opposte se le intenzioni e i significati delle azioni vengono a differire profondamente... comparare un atto il cui significato dovrebbe essere di unione totale e speciale con l'acquisto di beni del tutto materiale e' a dir poco disgustante....

andate a leggere questo aneddoto...divertente ma sommarizza la nostra POVERA societa'...

http://www.math.unipd.it/~favero/varie/sintoniait.html

 
 
 

NOI=ITALIANI

Post n°65 pubblicato il 27 Aprile 2009 da sensuale_tt

estratto da:

http://www.telefonoamico.it/Public/Sintesi_Telefono_Amico_mag08.pdf

GLI ITALIANI, IL DISAGIO EMOTIVO E LA SOLITUDINE

un’indagine demoscopica svolta da Astra Ricerche

per Telefono Amico Italia con il contributo di Nokia

Qui di seguito vengono presentati i principali risultati dell’indagine realizzata nel marzo 2008 tramite 1.001 interviste telefoniche CATI (Computer Aided Telephone Interviewing) a un campione rappresentativo degli italiani adulti (esclusi i non residenti e i membri delle convivenze: ospedali, carceri, caserme, conventi, ecc.), pari a circa 49.0 milioni di ultra17enni.

Quali sono le difficoltà della vita che danno a volte un profondo disagio emotivo, psicologico, emozionale? Secondo gli italiani sono numerose. In testa alla classifica troviamo la disoccupazione o la precarietà del lavoro (89%), la povertà (88%), il soffrire di gravi ingiustizie (83%), il non avere un’abitazione o l’averla drammaticamente inadeguata (69%). Al secondo posto giocano – dopo queste difficoltà materiali – le conseguenze di certe malattie sia fisiche (81%) sia psichiche (80%). Al terzo posto conta la solitudine (80%): il non aver nessuno che possa aiutare (80%) o al quale potersi confidare (70%): in un contesto sociale in cui a molti capita di conoscere tanta gente ma di non avere nessun vero amico o amica (63%). Una causa a sé, pur’essa assai rilevante, è l’essere e il sentirsi disprezzati, emarginati, discriminati (77%) oppure – in una versione solo apparentemente più soft – non essere considerati, non contar niente per gli altri (72%). Di più: il disagio emozionale, per tre nostri connazionali su quattro, ha a che fare con l’impossibilità di trovare un senso della vita, mentre un po’ meno contano i cattivi, difficili rapporti interpersonali: con i genitori e con la famiglia d’origine (70%), con i figli o i nipoti (69%), in ufficio o in fabbrica o a scuola (65%), con i drammi d’amore all’ultimo posto (52%).

È stato poi approfondito il tema della solitudine. Essa è reputata anzitutto tipica di tanti anziani, malati, disabili e poveri abbandonati a se stessi (83%) ma – a detta degli intervistati – “è diffusa anche tra i giovani, tra chi lavora, tra chi ha famiglia” (74%), dal momento che “molta gente vive e parla con altre persone ma si sente egualmente sola perché non riesce a esprimere il proprio disagio emozionale” (80%), il quale “paralizza le persone e rende loro difficile aprirsi e confidarsi con altri” (78%). Peraltro “in questi casi si trova spesso chi dà giudizi e consigli ma quasi mai chi ascolta con attenzione ma senza giudicare” (77%), mentre il 73% sostiene che “spesso non ci si apre con altri proprio per paura di essere valutati e criticati” oppure che “non si sa a chi rivolgersi per essere ascoltati e dialogare” (74%). Va detto poi che in molti casi chi è in una condizione di disagio psicologico spesso non si confida con altri per paura che questi non siano riservati e vadano a raccontare tutto ad altri.

Tale quadro cupo viene contraddetto dal 31% degli intervistati, il quale reputa la solitudine “rarissima” da noi perché “gli italiani sono chiacchieroni, estroversi, umani”. A conferma, il 27% sostiene che essa non è granché diffusa nella società italiana, mentre il 35% la valuta abbastanza diffusa e il 36% frequentissima e spesso drammatica: la percezione della gravità del fenomeno è maggiore tra le donne, i 18-24enni e specialmente gli ultra64enni, i soggetti con reddito e titolo di studio inferiori alla media, i non internauti, i residenti al di sotto della linea che unisce Grosseto ad Ascoli Piceno.

Che il problema della solitudine sia oggetto di un vero e proprio allarme sociale è confermato da un dato: ben il 69% degli adulti sostiene che rispetto a qualche anno fa essa è dilagata (solo l’11% la percepisce calata, col 20% che parla di stabilità). Sono soprammedia le donne, i 45-64enni, i soggetti con titolo di studio e reddito superiori alla media, i residenti nelle città maggiori (il picco negativo è a Roma) a descrivere di più lo stringimento strozzante di questo ‘nodo’.

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La prima risposta, sia personale sia sociale, alla solitudine è – ovviamente – l’ascolto: il 7% lo rifiuta e il 23% non lo ama granché, considerandolo “spesso una seccatura, anche perché la gente dice tante sciocchezze” (37%) e “frequentemente tempo perso, incidente negativamente sull’efficienza e sulla produttività” (21%) ma ben il 70% guarda ad esso con vivo favore.

Tale goodwill deriva da alcune convinzioni maggioritarie: ascoltare gli altri è un segno di attenzione e rispetto (92%), è il modo migliore per aiutarli (87%), rende più umana la società e migliora la qualità della vita (87%), aiuta la gente a capirsi e ad amarsi (87%), aiuta molto chi ascolta e non solo chi viene ascoltato (84%), è tipica di chi è buono e generoso (82%), è il fondamento della civiltà e della democrazia (82%), rende più umane e flessibili e produttive le aziende e le organizzazioni (75%), aiuta le persone a trovare la propria via e dunque la soluzione ai propri problemi (74%), serve se non si vuole a tutti i costi giudicare e criticare (59%). Al fondo, a parere dell’86% degli abitanti del Bel Paese “l’ascolto degli altri è un’arte che dovrebbe essere insegnata sin da piccoli, a partire dalla scuola” (come al solito, le donne battono gli uomini, i 35-44enni superano gli ultra54enni, il Triveneto si colloca positivamente all’estremo opposto del Lazio, i colti prevalgono sui poco scolarizzati, i salariati e gli studenti vincono su gli imprenditori/manager/professionisti e sui commercianti, la classe media batte i ceti superiori).

Al fondo, si confrontano due modelli opposti di società. La minoranza propende per collettività dove “ognuno si faccia i fatti suoi senza disturbare gli altri” (35%) e dove la gente sappia arrangiarsi da sola” (30%). Dall’altro lato, alla netta maggioranza degli italiani “piacerebbe vivere in una società nella quale la gente sappia che essere in difficoltà, soli e a disagio, non è una sciagura perché c’è sempre qualcuno pronto ad ascoltarla” (78%), “con comprensione, senza giudicare e mettere

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in difficoltà” (75%): una comunità in cui “la gente dedichi attenzione agli altri in modo disinteressato” (61%).

Ma quanti sono coloro, tra gli adulti, che si sentono soli senza la possibilità di rivolgersi a qualcuno? Per fortuna, al 57% non capita mai ma un minoritario 43% prova quest’esperienza: si tratta di 21 milioni di italiani che in larga misura vivono solo saltuariamente momenti di solitudine. Ma per 3.9 milioni questa condizione è permanente o prevalente: il che avviene specialmente dopo i 54 anni, nelle città grandi (qui è Milano la capitale della solitudine), se il reddito e il titolo di studio risultano inferiori alla media, come confermano le accentuazioni tra le casalinghe e i pensionati con l’aggiunta dei lavoratori autonomi, dei non internauti e specialmente di chi vive solo.

Viene da chiedersi: quali sono i sentimenti che coloro che hanno sperimentato almeno qualche volta la solitudine provano nei confronti di questa condizione esistenziale? Va detto che in un caso su otto prevale una tonalità positiva (specie tra i maschi, i 25-34enni, i salariati, i residenti tra Piacenza e il Gargano); per il 36% gli atteggiamenti sono moderatamente negativi; ma per il 51% sono addirittura drammatici (la percentuale sfiora i tre quarti tra coloro che sono quasi sempre o sempre soli: in generale essa pesa negativamente di più tra le donne, i men che 45enni, i residenti nel Triveneto e nei comuni piccoli, coloro che non lavorano ma anche gli impiegati).

Tra i sentimenti positivi - minoritari - possiamo citare la tranquillità e la serenità associate alla propria solitudine (43%), il senso di forza e d’orgoglio (33%), persino l’allegria e il piacere (27%). All’opposto, il 53% parla di aspri vissuti di tristezza e di depressione, il 47% di ansia o angoscia, il 46% di disagio o dolore, il 33% di paura o terrore, la stessa percentuale di senso di esclusione o di emarginazione, il 29% di aggressività e rabbia. Ma va notato che il 28% si dice del tutto indifferente, il 31% si ribella con spirito di sfida alla condizione di solitudine,

ben il 44% - all’opposto - si pone in uno spirito di passiva accettazione e sopportazione.

Quando la solitudine attanaglia, a chi si rivolgono gli italiani? La classifica è assai semplice: a propri familiari (65%), ad amici/colleghi/conoscenti (41%), a terapeuti (9%: dominano psicologi, psichiatri, psicoanalisti), a educatori (5%), a organizzazioni di volontari (3%).

Quanto a Telefono Amico, l’organizzazione composta da volontari che in tutto il Paese risponde a chi vuol essere ascoltato, il 48% non l’ha mai sentito nominare, il 16% tende a confonderlo con altre organizzazioni (in primis Telefono Azzurro), il 36% la conosce bene: si tratta di 17.6 milioni di italiani, soprammedia residenti al nord, diplomati e laureati, internauti, 18-24enni, con tenore di vita medio-alto e alto, studenti e casalinghe. Nel contempo, sono oltre mezzo milione coloro che conoscono personalmente qualcuno che si è rivolto a Telefono Amico.

Per meno del 4% i conoscitori danno un giudizio negativo su questa organizzazione, in quanto non utile. Il 35% la giudica valida anche se non condivide la scelta di offrire solo ascolto senza risolvere i problemi di chi si fa vivo. Il 61% ne dà una valutazione entusiasta, per più motivi: Telefono Amico fornisce a molta gente la possibilità di essere ascoltata con comprensione, senza essere giudicata e criticata (80%); è umana e generosa (72%); è addirittura preziosa e insostituibile (49%). L’unico suo limite rilevante è – per i fan maggioritari – l’essere inadeguatamente nota, il che spinge il 76% dei suoi conoscitori ad affermare che “dovrebbe farsi conoscere di più”.

 
 
 

conseguenze di chi aiuta...

Post n°64 pubblicato il 27 Aprile 2009 da sensuale_tt

http://www.counselling-care.it/pdf/pdf_psico/Psicotrauma68.pdf

Come aiutare a superare queste patologie talvolta conduce chi aiuta sia egli/ella un professionale o meno, a ritrovarsi con sintomatologie uguali o peggiori...ma siamo qui per aiutarci e non per essere indifferenti...

 
 
 

L'INDIFFERENZA

Post n°63 pubblicato il 27 Aprile 2009 da sensuale_tt
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Indifferenza: uno dei mali che affligge la nostra società

Questo atteggiamento può essere sintomo di vere e proprie patologie afferenti alla sfera psichica, e quindi da curare con adeguate cure farmacologiche e psico-terapie, ma può essere anche sintomatico di uno stato di negazione per delusioni subite, scarsa fiducia nel prossimo o, cosa assai più grave, di un forte egoismo che provoca il diniego assoluto dell’altro, in modo, talvolta, traumatico. Indifferenza che si esplicita come insensibilità, apatia, per i diversi, per chi subisce violenza, chi conduce una vita di stenti, chi vive nella solitudine, verso l’altro che non vediamo più come portatore di uguali diritti alla vita e alla libertà.
Una società di indifferenti è una società destinata a perire in tempi brevi.
Anche la chiesa esprime il proprio rammarico per un male che è simbolo della società moderna, dove i crimini si consumano sotto gli occhi di tutti, si violano i bambini, si uccidono i padri, dove tutto appare normale e scorre sotto gli occhi come se non ci appartenesse. L’indifferenza sta creando dei mostri in una società che appare normale, che guarda con lo stesso atteggiamento il bene e il male , una società robotizzata, sintonizzata su due frequenze che, seppure opposte, non danno più emozioni.
“Quando c’è indifferenza vuol dire che Dio è stato messo ai margini della vita”
“Meglio critiche che indifferenza”

“ la lebbra odierna è rappresentata dall’orgoglio e dall’egoismo che generano indifferenza,odio e violenza.”
Queste le parole espresse che richiamano al ruolo dell’uomo che non può vivere senza i valori su cui si fonda la società civile, se non vuole perdere la sua essenza preziosa

dal blog:www.blogscienze.com/.../20071015

 
 
 

Un libro da leggere

Post n°62 pubblicato il 22 Aprile 2009 da sensuale_tt
Foto di sensuale_tt

Capire perche' si puo' essere sensuali senza essere animaleschi e rispettare realmente i sentimenti e le emozioni degli altri...sapersi fermare quando ci si rende conto di far del male agli altri...parlare...spiegare...aprirsi verso gli altri...ecco cosa ci dovrebbe distinguere dagli altri animali....

 
 
 

L'Uomo

Post n°61 pubblicato il 19 Aprile 2009 da sensuale_tt
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Possiamo dire che il rapporto dell’uomo con la sua compagna, passa attraverso una serie di norme di comportamento che egli si impone attraverso ordini verbali che ripetono quello che gli viene insegnato, mentre per la donna il coinvolgimento è immediato e passa attraverso il linguaggio delle emozioni. Una donna ‘sa’, senza che nessuno glie lo dica, che per far crescere un figlio ha bisogno di un compagno. Ai maschi questo va insegnato dicendogli: "Se non curi abbastanza la tua compagna e i tuoi figli, sei condannato a vivere da solo ai margini del tuo gruppo sociale".

Se accettiamo questo dato, dobbiamo concludere che la maggior parte della comunicazione in una coppia si svolge con due diversi linguaggi: quello delle emozioni, reale e diretto, in cui le donne sono più a loro agio, e quello delle parole e delle regole, artificiale e costruito e non sempre adeguato.

I pregiudizi 4 e 5, riguardano il conflitto che si crea quando un evento viene interpretato in base alle emozioni da uno dei partner, mentre l'altro segue regole verbali.

Se di fronte ad un tramonto il maschio si ricorda di avere i fari della macchina fuori posto mentre la femmina rimane incantata dai colori, possiamo esser certi che il primo verrà accusato di insensibilità mentre la seconda di irresponsabilità.

 

Va detto che, comunque, le donne si sono ben adattate al linguaggio verbale e delle regole, mentre i maschi mostrano grandi difficoltà a comprendere quello delle emozioni. Va inoltre sottolineato che fattori di adattabilità all’uno o all’altro linguaggio dipendono parecchio dal tipo di comunicazione che prevale nel contesto sociale in cui gli individui crescono. In alcune società è assolutamente intollerabile che i maschi dimostrino emozioni, considerate una forma di debolezza e di scarso autocontrollo, mentre in altre è più consentito. Gli Italiani, sino a qualche tempo fa, erano considerati un popolo che eccedeva nelle manifestazioni emotive, mentre oggi stiamo assistendo ad un mutamento di atteggiamento che va nella direzione di reprimerle. Le implicazioni di ciò portano ad un ulteriore confusione, dato che, lo sforzo e la sofferenza che derivano dal trattenere le proprie emozioni per mostrarsi più ‘forti’, possono venire interpretati come insensibilità o desiderio di occultare il proprio stato d’animo. Sul problema delle emozioni e della loro percezione, si può dare un’occhiata all’articolo "Quando l’emozione diventa sintomo", disponibile su questo sito nella sezione della psicologia

http://www.informagiovani.it/sessualita/sesso.htm

http://www.forbes.com/2007/11/06/sex-libido-better-forbeslife-cx_rr_1107health_slide.html?partner=corriere

 

 
 
 

La Donna

Post n°60 pubblicato il 19 Aprile 2009 da sensuale_tt
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C’è da ritenere, quindi, che rispetto agli atti sessuali, il punto di vista delle donne sia un po’ più preoccupato di quello del maschio: l’organismo femminile, nel suo insieme corpo-mente, deve essere pronto ad affrontare un compito durissimo e avere buone motivazioni per farlo.

Questo implica che:

1.    le donne hanno un istinto sessuale più forte dell’uomo, dato che deve fargli superare le preoccupazioni per il duro lavoro che gli spetta.

2.    il loro piacere sessuale è più intenso e complesso perché deve fornirgli un premio che compensi gli sforzi da compiere

3.    devono garantirsi la vicinanza di un partner che le protegga dai pericoli esterni, le aiuti nei periodi di invalidità temporanea  nei momenti precedenti e successivi al parto, e contribuisca al mantenimento e alla difesa dei piccoli.

Questo invalida completamente i pregiudizi 1-2 o, per meglio dire, li ribalta: data l’importanza che le donne danno al sesso, fanno attenzione a farlo nella maniera più soddisfacente possibile, allo stesso modo con cui un intenditore di vini non beve la prima schifezza che gli capita ma si orienta sulla marca migliore servita alla giusta temperatura. Le stesse argomentazioni forniscono una valida interpretazione per lo stile di attaccamento classificato nel pregiudizio 3 come ‘appiccicoso’: la vicinanza psicologica con il partner è dovuta alla necessità di potervi ricorrere in caso di bisogni che si venissero a creare in seguito al rapporto sessuale.

 
 
 

Biologicamente parlando!!!!

Post n°59 pubblicato il 19 Aprile 2009 da sensuale_tt
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L’approccio ai modelli biologici non deve essere visto, quindi, come spiegazione unica e indiscutibile delle differenze tra i sessi, ma deve, invece, servire per proporre un modello verosimile che serva a capire la fonte dalla quale le differenze hanno avuto origine.

 
 
 

Approccio sessuale

Post n°58 pubblicato il 19 Aprile 2009 da sensuale_tt
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.

Ma in base a quali criteri scegliamo, tra gli altri esseri umani, l’individuo che ci attrae di più?

Le preferenze sessuali fanno parte di un bagaglio personale di esperienza che cominciamo a costruire sin dalla primissima infanzia. Se passiamo il primo periodo della nostra vita in una famiglia dove le interazioni fisiche sono spontanee e aperte, abbiamo buone aspettative di condurre una vita sessuale soddisfacente rivolta alla ricerca di partner di sesso opposto al nostro. Quando invece non sono presenti tutti gli elementi necessari (ad es. se uno dei due genitori è inaccessibile o se si cresce in ambienti tipo orfanotrofi, ecc.), possiamo sviluppare le nostre preferenze sessuali non necessariamente verso individui del sesso opposto e stabilire, ad esempio, preferenze omosessuali. L’essere omosessuali, però, non deve essere considerato una ‘devianza’ o una ‘malattia’, bensì un adattamento della nostra personalità a preferire un certo tipo di figura sessuale, anziché un’altra.

E’importante quindi capire che le funzioni biologiche riproduttive della sessualità, pure essendo connesse al nostro spazio individuale emotivo e psicologico, mantengono tuttavia un elevato grado di indipendenza .

Questo ci permette di vivere la nostra vita sessuale secondo scelte personali che ci garantiscano la felicità , felicità che non necessariamente si realizza all’interno di una coppia che alleva figli.

Spiegazioni teoriche a parte, quello che ci interessa conoscere è perché passiamo la vita a innamorarci, a fidanzarci, a sposarci, a separarci, ecc. e perché viviamo queste esperienze in maniera così emotivamente coinvolgente.

 

 

 

 

 
 
 

Come una calamita!!!

Post n°57 pubblicato il 19 Aprile 2009 da sensuale_tt
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Cominciamo col dire che nella specie umana, generalmente le persone si mettono in coppia per soddisfare una o più delle seguenti condizioni:

1.      Provare piacere fisico (tenerezza eccitazione, rilassamento)

2.      Sentire che c’è qualcuno che pensa ed agisce in maniera sincronizzata con la parte più profonda di noi stessi (sentirsi ‘internamente’ meno ‘soli’ rispetto agli altri)

3.      Costruire un’alleanza rivolta verso l’esterno (sentirsi meno ‘deboli’ rispetto alle difficoltà del mondo esterno)

Una breve lista dei pregiudizi più diffusi può essere la seguente:

4.    riguardo ai maschi:

1- pensano solo all’aspetto fisico del sesso (maiali)
2- pensano esclusivamente al loro piacere
3- sono infedeli
4- preferiscono parlare con gli amici anziché con il partner
5- non si capisce mai cosa vogliono

6.    riguardo alle femmine:

7.      1- non gli piace il sesso
2- fanno sesso solo per ottenere qualcos’altro (sono tutte puttane, tranne mamma)
3- sono appiccicose
4- si confidano solo con le amiche
5- sono imprevedibili

C’è da considerare che, molto spesso, si è discusso se le differenze sessuali siano determinate dalla biologia oppure se siano condizioni imposte dai sistemi sociali. Questo è, a nostro giudizio, una maniera sbagliata per cercare di ridurre gli aspetti sgradevoli della diversità sessuale, dato che appare ovvio che la maggior parte dei sistemi sociali, si sono formati per assecondare la sopravvivenza della specie umana, e che, quindi i meccanismi culturali si basano necessariamente sulla necessità di assecondare i ruoli biologici. Naturalmente alcuni sistemi sociali appaiono profondamente deviati dal loro compito e incrementano artificialmente la discriminazione tra i sessi per motivi che non hanno niente a che vedere con le funzioni naturali.

L’Islam e il Cattolicesimo sono portatori di messaggi culturali che discriminano in maniera negativa la donna, apportatrice di peccato e relegata al ruolo esclusivo di moglie, madre, suora, o santa, e non c’è alcuna giustificazione credibile in quella che appare esclusivamente una cospirazione maschile per mantenere posizioni privilegiate nella società.

Le società capitaliste enfatizzano le differenze tra i sessi in virtù delle loro esigenze produttive: se devono vendere prodotti di bellezza creano modelli irraggiungibili di bellezza femminile, mentre se devono vendere articoli sportivi o veicoli fuoristrada, propongono modelli femminili che sembrano delle versioni appena ritoccate di Rambo o di Schwarzenegger.

 

 

 
 
 

sessualita'

Post n°56 pubblicato il 19 Aprile 2009 da sensuale_tt
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I nostri orientamenti sessuali, infatti, sono determinati da quanto giudichiamo una determinata persona più o meno in grado di soddisfare alcune preferenze profonde che si sono fissate attraverso le esperienze della nostra prima infanzia. Questo tipo di esperienza, andando avanti negli anni, ci fa orientare sulle altre caratteristiche che deve avere il nostro partner. Alcune sono non-verbali (le ‘sentiamo’ ma non riusciamo sempre ad esprimerle). Altre le esprimiamo con aggettivi del tipo robusto - esile, autoritario - permissivo, tranquillo - irrequieto, ecc.

Alcuni di noi si accoppiano per tutta la vita con individui che hanno la stessa caratteristica; altri sono più elastici; altri ancora passano con facilità da un tipo all’altro.

Naturalmente le caratteristiche del partner che cerchiamo cambiano in maniera sincronizzata con i cambiamenti della nostra personalità che avvengono durante la crescita. Ad esempio è piuttosto raro che le coppie che si formano durante gli anni della scuola reggano bene durante l’età adulta. In questo caso il passaggio dall’adolescenza all’età adulta fa si che uno o entrambi i membri della coppia modifichino il loro modo di osservare il mondo e che, quindi, il partner non sia più sintonizzato con le nuove prospettive.

 
 
 

La vera liberta' della donna

Post n°55 pubblicato il 18 Aprile 2009 da sensuale_tt
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