Non ho alcun dubbio: la scuola è un insieme di donne e uomini, è sensazioni olfattive diverse, paure, è sfarinatura di gesso bianco e colorato sulle mani e sui vestiti, è il solito zuzzurullone che sfrega il gessetto oramai consumato sull' ardesia facendoci digrignare e arrotare i denti, è assenza di voci quando il docente apre il registro e speri non pronunci il tuo nome. E’ volgere lo sguardo verso la compagna che ti attrae con un fulgido sorriso e tu diventi paonazzo, è abbassare il viso se il prof ti osserva con "cinica crudeltà" e vorresti eclissarti perché non hai studiato. E’ gli appicci che escogiti, le esercitazioni che riproduci copiando, le facezie e le maldicenze sui professori., sui bidelli. E’ l’odore dell'aula, il pichiettio delle dita sul laminato plastico color pisello dei banchi in cui sono incisi nomi di altri allievi prima di te, e se metti una mano sotto la sedia rintracci con disgusto qualche gomma spiccicata ormai solidificata. La scuola è la vibrazione assordante della campanella, sei te che hai ritegno a recarti nel cortile durante la ricreazione per non intercettare gli occhi verdi della ragazza che non sai ancora di amare, o dei compagni che senti più affascinanti di te e allora provi vergogna, o del gradasso che ti fa l'imboscata per rubarti la merendina. La scuola è professori che ti fanno tremare con la minaccia di una interrogazione per la quale non sarai mai preparato . Perché la matematica o la chimica, per esempio, proprio non riesci a digerirle.
E poi la memoria ti riporta in immagini l'indolenza, l’apprensione, la gaiezza, la visita che era tutto meno che culturale e guidata, l'effusione, l’inturgidimento che provi quando lei ti è accanto e senti il profumo del suo maglione morbido e setoso, e flirtare sperando di limonare dopo la fine del ballo di fine anno. La scuola è pomeriggi assolati che portano la tua fantasia al tepore del tuo adorato mare ma realizzati invece a studiare e tradurre versioni di greco e latino, e tu che devi leggere sugli scrittori del decadentismo o futurismo ma ti fai emozionare da un libro di Calvino o dalle poesie di Ungaretti e Montale. La scuola è il desiderio chimerico di diventare come quella tua professoressa di lettere che adori, e l'impegno che non sarai mai come quel docente di matematica sventurato, pedante e con le solite giacche quadrettate con camicie e cravatte impossibili che ci prova con la ventenne dai capelli fulvi dell' ultimo anno. La scuola è il mio liceo fatto di pietre antiche ( allora pensavo che le avessero rubate ai vari nuraghi della mia Terra), imbrattato fuori, sempre lo stesso da più di un secolo, dove ancora il cuore mi batte quando quotidianamente mi reco per svolgere la docenza. Ora mi assale una leggera afflizione: come si fa a surrogarla con la fronte dinanzi a uno schermo di computer, dove fai fatica a salutarti, dove invece dei volti, degli occhi, dei sorrisi, dei respiri, vedi solo iniziali e monogrammi freddi e ascolti le voci meccaniche e anonime sempre identiche dello schermo freddo dell'elaboratore elettronico?
La scrittura melodica di questa settimana non necessita di spiegazioni o guide. Sono note che tutti gli studenti del mondo armonizzano con esternazioni di esultanza e spensieratezza. Lemmi che narrano di anni trascorsi con i compagni di studio. Pentagramma che unisce generazioni e culture diverse, in un insieme di singole voci unite dalle medesime emozioni ed esperienze di vita. Sono momenti di svago e di conviavilità. L'atmosfera è giocosa, il ritmo incalzante. Le figure musicali ora armoniose ora stridenti invitano a cogliere l'attimo, a vivere a pieno il bene prezioso della giovinezza.
Appendice scaramantica e propiziatoria
"Terque quaterque testiculis tactis”. Era una prassi impura della goliardia degli anni sessanta del '900. Parole e gesti scaramantici prima degli esami con i professori, spesso alteri e paludati. La nobiltà del latino stemperava il misto di impudenza e innocente volgarità della frase, che la scapataggine degli studenti di allora vestiva di spensierata leggiadria. Alcuni di loro credevano che avesse davvero efficacia apotropaica tanto da farne il momento mistico di un semiserio rito propiziatorio. In questi giorni quell'aforisma medievale mi è venuto in mente quando "Giuseppi" il presidente ha indetto gli Stati generali. Benedetto uomo, ho pensato, poteva trovare un altro riferimento storico meno infausto per esaltare il suo superego. Gli ultimi Stati generali, nel 1789, furono il prodromo della Rivoluzione francese e del Regime del Terrore. A Luigi XVI, che li aveva convocati, toccò una cattiva sorte. Giuseppi si sente monarca e lo ribadisce ogni giorno con parole, opere, bugie e omissioni. Però perché sfidare il destino? Nelle pieghe del passato avrebbe potuto trovare un precedente meno tragico cui ispirarsi evitando di esporre sé stesso e me agli umori pericolosi del Fato. Terque quaterque...
Appendice idiota, molto idiota
“Historia (est) magistra vitae”? Lo affermò quel bel tomo di Cicerone, che non è stato ancora epurato perché aveva la pessima abitudine di scrivere in latino, lingua ignota ai global-imbecilli dei nostri giorni. La frase completa, di cui l'arcinota citazione è un frammento, sostiene che la Storia, oltre a essere maestra di vita, è anche testimone dei tempi, luce di verità, essenza della memoria, messaggera del passato. Una definizione illuminante destinata a teste pensanti, non a cervelli bacati da fanatismo ideologico con radici sinistre. Hanno adottato codici morali e di comportamento applicabili a un essere che non esiste in natura e non è mai esistito. Puro di cuore, immacolato nell'animo, benefattore, altruista, pacifico. Salvo contraddirsi essi stessi con azioni violente e mistificatorie. Adottando i loro folli parametri di valutazione non si salverebbe più niente e nessuno. Cicerone compreso. Il quale, forse nella loro beata ignoranza non lo sanno, alla non più tenera età di 60 anni ripudiò sua moglie Terenzia, sposata per convenienza, e si unì a Publilia, giovanissima e ricca fanciulla orfana, della quale era il tutore. Quasi più cinico di Montanelli. Le statue di Cicerone abbondano: talebani d'Occidente datevi da fare, c'è tanto marmo per i vostri martelli idioti.
racconti un pezzettino di memoria collettiva. sui banchi che tratteggi a parole sono scorsi e scorreranno universi privati, storie personali, avventure e normalità. in bocca al lupo ai maturi e, particolarmente, ai mai maturi, che da domani inizieranno a praticare ciò che sta fuori da percorsi definiti. mi piacerebbe sapere cosa ascoltavi al tempo del tuo ripasso, la mia figurina è questa: https://youtu.be/-RR_iRdCtuk ciao e, abbi cura. p
ho tirato fuori i diari del tempo trascorso e sono bastati pochi oggetti e vicende per sentirmi di nuovo bimbo tra i banchi di scuola. Diventando adulto è inevitabile ogni tanto sentire la mancanza di quando si frequentava la scuola e l'unica preoccupazione era quella di pensare a cosa combinare durante la mattinata, con chi prendersela, quale scusa trovare per evitare l'interrogazione (quanti parenti sono deceduti in quel periodo!). Si cresce e la spensieratezza svanisce o viene oscurata dalle responsabilità e le preoccupazioni quotidiane. Ma a volte basta guardare un' immagine per ritornare bambini e riprovare l'emozione di ritrovarsi tra i banchi di scuola a giocare con i compagni. A parte la musica classica cui ero portato dalla professione di mamma, con gli amici ascoltavo il cantautorato italiano da Fabrizio de Andrè a Paolo Conte, a Battiato a Capossela con uno sguardo verso Dalla e De Gregori...Tra gli stranieri: Jim Morrison, Kurt Cobain, Leonard Cohen...A si biri cun saludi. Gian
la vita è un miscuglio imprevedibile di casualità, una pioggia di atomi indistinguibili pronti a scontrarsi e creare mondi inconfondibili. E' proprio questo quanto di più bello è insito nella vita stessa. Siamo continuamente catapultati in universi nuovi, siamo costantemente inseriti in realtà che all’inizio ci sembrano aliene, e che poi vorremmo non finissero mai. È un continuo panta rei che non ci permette mai di trovare un attimo di riposo, un continuo superamento di ostacoli che non ci lascia neppure il tempo di voltarci indietro e ripercorrere i nostri passi. Eppure ogni ostacolo lo facciamo nostro. Presto quel casuale insieme di ragazzi uniti sotto il nome di classe da serie diventa gruppo. Poi la vita ci dissolve nuovamente, da molecole ci ritrasforma in atomi, pronti a creare nuovi legami. Buon pomeriggio. Gian
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