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« l'etica della Rivelazione

l'imperativo categoprico e l'etica del Dovere. La morale di Kant

Post n°8 pubblicato il 23 Luglio 2015 da ahivelasquez1975
 
Tag: etica

Offrire uno sguardo completo e semplice - ma non semplicistico - dell'etica kantiana non è facile né agevole sia per la vastità della sua indagine, sia per la difficoltà e la finezza dei concetti espressi nelle sue opere che trattano di morale. Così, come accade in situazioni del genere, la strada migliore è quella di partire dalle domande e dalle esigenze che hanno mosso l'indagine etica di Kant per delineare il percorso filosofico che dalla ricerca e formulazione dell'imperativo categorico arriva ai postulati della Ragion Pura Pratica e alla fede razionale. La ricerca morake di Kant parte dall'esigenza di comprendere le possibilità e i limiti della Ragion Pura nel suo "rispetto" pratico ovvero se esista la possibilità di una volontà libera, scevra da ogni condizionamento sensibile, e se possa essere una morale; le domande di partenza del filosofo sono, dunque, le seguenti: "qual è la natura della moralità?", "in cosa consiste una azione morale?" e "che differenza intercorre tra una persona che agisce moralmente e una no?". Sono tali domande che declinano nella concretezza la definizione dei limiti e delle possibilità della Ragion Pura nel suo "rispetto" pratico o morale.

L'uomo per Kant appartiene contemporaneamente a due mondi. I sensi, gli istinti, la bramosia del possesso incatenano ogni individuo al mondo sensibile, materiale che tocchiamo, sentiamo e odoriamo tutti i giorni; la Ragione però fa si che ogni uomo possa essere parte del mondo proprio di questa facoltà, che appartenga al mondo sovrasensibile della razionalità e che, in funzione di tale cittadinanza, ogni individuo possa comportarsi razionalmente. È proprio in quanto ogni uomo è figlio di questo mondo sovrasensibile governato dalla Ragione che Kant parte alla ricerca della presenza di una morale che possa astrarre dalle condizioni sensibili e specifiche per ricavare una morale libera, universale e perciò oggetiva. Il percorso di analisi morale di Kant, quindi, volge alla scoperta dell'esistenza di precetti etici che possano valere astraendo dalle condiezioni particolari e di conseguenza trovare la loro valenza morale nella forma della massima in cui sono formulati.

L'analisi di Kant parte dalla classificazione dei vari tipi di azione dando ad ognuno di essi la propria definizione per arrivare ad individuare quella che propriamente può essere definita come morale. Ogni uomo che agisce lo fa liberamente e non per costrizione; tra queste vi sono le azioni fatte per inclinazione, per piacere personale e quelle svolte per obbligo ovvero "per un qualcosa che mi impongo di fare nonostante la mia inclinazione mi spinga a fare altre cose". Una azione che non si ha voglia di fare ma che viene svolta dal soggetto, poiché in essa vi riconosce un obbligo, è il cuore della condotta legata al dovere la quale si distingue in "azioni conformi al dovere" e in "azioni svolte per dovere". La condotta conforme al dovere è un comportamento tenuto non per adesione e intima convinzione che ciò che debba essere fatto sia giusto, ma perché esiste un quid esterno - come una norma che se violata vede l'erogazione di una sanzione - che ci porta a rispettare tale obbligo. Le azioni per dovere, invece, vengono fatte per senso del dovere, per adesione e convinzione interna a quello che è necessario che venga fatto e assumono il nome di imperativi. Anche in questa categoria, Kant rintraccia due tipologie di imoerativi quelli "ipotetici" e quelli "categorici"; gli imperativi ipotetici sono quelle direttive che il singolo deve tenere al fine di raggiungere un risultato da essi garantito e, come è palese, non costituiscono l'oggetto della morale. Diversamente,  gli imperativi categorici ingiungono in ogni situazione di agire senza se e senza ma, incuranti delle conseguenze che dall'azione scaturiscono e vanno a formare il cuore dell'etica kantiana. Ed è proprio in quest'ultima categoria di imperativi che Kant individua la Legge Morale, l'Imperativo Categorico ovvero quella massima morale che può astrarre dalle situazioni sensibili e quindi porsi come oggettiva e universale; una massima vuota che solo per la sua forma determina la volontà morale che liberamente decide di aderire alla prescrizione impartita. Con la formulazione dell'imperativo categorico si giunge, dopo un'attenta e approfondita analisi delle azioni umane, al cuore dell'indagine sulle possibilità pratiche della Ragion Pura.

Kant lungo la sua opera non offre una sola ed univoca definizione dell'imperativo categorico bensì ci torna più volte declinandolo in differenti formulazioni tutte comunque coerenti tra loro. La formulazione più celebre è la seguente: "agisci solo secondo quella massima che tu puoi volere, al tempo stesso,che divenga una legge universale". In altre parole, ogni persona per agire moralmente dovrebbe sottoporre ogni sua azione a un "test di universalizzazione" ossia dovrebbe agire come se la sua condotta divenisse regola universale. Nessuno, ad esempio, dovrebbe rubare poiché se tutti lo facessero le relazioni morali basate sulla proprietà dei beni sarebbero impossibili; analogamente, non bisognerebbe dire menzogna visto che qualora tutti mentissero le relazioni incentrate sulla fiducia non avrebbero possibilità di essere. L'imperativo categorico, quindi, ci dice che bisognerebbe intraprendere ogni azione come se questa divenisse una regola generale, una linea di condotta universale.

Delineato l'imperativo categorico, la linea di ricerca kantiana affronta il nodo concettuale di come una massima universale, oggettiva e vuota possa divenire una massima soggettiva ovvero possa essere acolta con intima adesione dal soggetto.  Il dovere, l'imperativo categorico è il motivo determinate dell'azione per la sola sua forma e quindi astrae da qualsiasi situazione concreta e sensibile. È una legge morale che in quanto tale è percepita come esterna dal soggetto, come un qualcosa che aplica una pressione per spingere la persona a rendere effetuale l'azione in modo da produrre il Bene razionale e non quello personale che coincide con il piacere. Il soggeto, dopo il primo senso di dolore dovuto al richiamo al dovere da parte dell'imperativo categorico, se  vuol essere morale aderisce intimamente e con convinzione a quanto prescritto dall'imperativo categorico senza curarsi delle conseguenze e soprattutto dei vantaggi o svantaggi legati alla sua persona. È con l'adesione convinta del soggetto alla prescrizione oggetiva dell'imperativo categorico, frutto della facoltà della Ragione, che l'oggettività e l'universalità della Legge Morale si salda con il piano soggettivo. E' grazie a questa scoperta della logica dell'azione morale che Kant fonda una morale formale in cui non viene indicato che cosa sia il bene ma viene descritto come si debba agire, con quale animo si debba intraprendere una condotta, al fine di comprotarsi in modo morale. Un'etica, inoltre, a-prioristica, delle intenzioni giacché ciò che fa un soggetto un agente morale è la sua adesione soggettiva alla prescrizione dell'imperativo categorico senza che debba curarsi delle conseguenze.

L'azione pratica ovviamente entra in relazione con il mondo, con la natura e di conseguenza anche l'ordine morale trova il suo gioco quotidiano con l'esistente. Il rapporto tra Legge Morale e natura è,  quindi, un rapporto pratico in cui continuamente si registra una tensione tra l'ordine morale, il dover essere, e il mondo che è l'essere o il mondo così come modificato dall'azione morale. Per Kant, a differenza di Spinoza, di Hegel o dei filosofi Stoici, il mondo non è espressione spontanea di un'ordine morale che coincide con un ordine logico delle cose. Di conseguenza la sua teoria etica non giustifica l'esistente bensì spinge, da grande illuminista qual era, a modificare il mondo al fine di costruire l'ordine morale derivato dalla Legge Morale.

L'ultimo grande passo di Kant sono i postulati della Ragion pratica in cui arriva a dare uno sguardo originale e moderno al rapporto tra Ragione e Fede. La Legge Morale e la realizzazione del Sommo Bene richiedono che tutti vengano ricompensati in funzione della loro virtù; siccome nella vita terrena ciò non succede allora è necessario postulare l'esistenza dell'immortalità dell'anima, della libertà di azione e di Dio in modo che si possa permettere e garantire a ogni persona la ricompensa in base alla sua virtù.  Giova precisare che Kant non dimostra l'esistenza di Dio o dell'immortalità dell'anima bensì le postula ovvero accertata l'esistenza dell Legge Morale da tale costatazione inferisce delle proposizioni che garantiscono e ne permettono la sua esistenza ed effettualità. Infatti, grazie a questi postulati, Kant arriva alla formulazione di una fede razionale ovvero data l'esistenza della Legge Morale nella ragione umana è ragionevole, plausibile - ma non certo - credere in Dio e nell'immortalità dell'anima. Ecco, infine, che da un piano morale in cui senza libertà non c'è etica si giunge a Dio, alla fede mostrando un cammino inverso da quello solito in cui è il piano teologico a calare direttamente le prescrizioni morali e a ridurre le questioni etiche a problema di ubbidienza o violazione delle sue prescrizioni.

Nonostante Kant sia stato il più grande filosofo della storia, o per chi non condivide questa opinione  lo deve indubbiamente considerare tra i pensatori più influenti dell'umanità , e nonostante la rafinatezza e profondità della sua riflessione etica, anche il suo pensiero non ha potuto non lasciare sul campo dubbi e situazioni concettualmente difficili da spiegare. Kant, innanzitutto, delinea la sua morale come morale delle intenzioni ma lungo il suo ragionamento non si mostra coerente con tale dettame. In piú parti delle sue opere etiche egli introduce, infatti, surrettiziamente l'analisi delle conseguenze per poter giudicare la correttezza o meno di un'azione. Inoltre, non spiega cosa fare quando un soggetto si trova in una situazione in cui c'è un conflitto di doveri come nel caso di un soldato catturato che viene interrogato per rivelare i piani segeti del suo esercito; egli deve mentire ed rispettare l'obbligo di fedeltà al suo paese oppure deve dire la verità? In questi casi la teoria kantiana mostra il fianco a critiche. Infine, molti pensatori hanno criticato il concetto stesso di imperativo categorico giacché le regole morali sono più generalizzazioni che proposizioni categoriche ovvero, ricorrendo all'esempio di cui sopra, in genere dovremmo dire la verità ma esistono delle circostanze eccezionali in cui si deve mentire per agire moralmente. Nonostante queste critiche, Kant rimane importantissimo nel panorama della riflessione etica - e non solo - poichè la sua teoria incentra l'attenzione sul fenomeno del dovere e offre una visione originale al mondo morale offrendo un'etica formale in cui l'oggettività della stessa è garantita da una massima universale cui il soggetto vi aderisce con convizione intima.

 
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