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EROS RAMAZZOTTI - FAVOLA
Quando all'inizio di gennaio i tunisini sono scesi in piazza in quella che sarà ricordata come «la rivolta dei gelsomini», c'era una frase a scandire la protesta: Se un giorno il popolo vorrà vivere, il destino dovrà fargli strada. È un verso del poeta Abu'l-Qasim Ash-Shabbi, tunisino, morto nel 1934 - a soli 25 anni. La sua opera fu ignorata o aspramente criticata quando era in vita, e dopo la sua morte ci furono decenni di oblio. Fu negli anni Sessanta, quando nei paesi arabi cominciò la lotta contro il colonialismo e l'imperialismo, che Ash-Shabbi fu riscoperto, e consacrato come poeta politico. Eppure non era un rivoluzionario. Era stato persino accusato di sfruttare a suo vantaggio il dominio francese, di non avere rispetto per il popolo arabo. Oh despota ingiusto, Piano! Non ti lasciare ingannare dalla primavera, Guarda là... Quante teste hai tagliato Ai tiranni, da I canti della vita, traduzione dall'arabo di Imed Mehadheb, Di Girolamo editore
Il poeta ragazzino morto quasi ottant'anni fa dà voce ai giovani che oggi si ribellano ai regimi. I suoi versi, letti al megafono o gridati a squarciagola, raccontano di una rivolta universale: hanno parlato contro Ben Ali, hanno interpellato Mubarak. Sono il testimone, feroce e lirico, che la Tunisia ha passato all'Egitto. Questo è il potere di un classico. La parola che si fa senso condiviso, la parola che unisce, che ha valore per chi conosce la storia e per chi non la conosce. La parola che si slaccia dal contesto in cui è nata per parlare di altri luoghi e altri tempi. I classici - ha scritto Calvino - sono libri che esercitano un'influenza particolare sia quando s'impongono come indimenticabili, sia quando si nascondono nelle pieghe della memoria mimetizzandosi da inconscio collettivo o individuale.
Una lezione che anche gli studenti italiani, nei cortei di dicembre, hanno trasformato in azione. Dilagati fino a Londra, i Book Bloc, termine coniato dai Wu Ming, sono diventati il simbolo di una rivolta che rivendica il diritto alla cultura. Sui loro scudi di gommapiuma i manifestanti esibivano titoli e autori capaci di parlare non solo ai propri compagni, ma anche a chi stava dall'altra parte della barricata, alle istituzioni, alle generazioni precedenti, ai genitori che magari le parole di quei libri le avevano fatte proprie nelle proteste di quarant'anni fa. Titoli che da soli esprimono idee e valori, critiche e proposte. Petronio, Satyricon Giovanni Boccaccio, Decameron Miguel de Cervantes,Don Chisciotte della Mancia Elsa Morante, L'isola di Arturo Simone de Beauvoir, Una donna spezzata Fëdor Dostoevskij, I Demonî Omero, Odissea Tanti, nei giorni degli scontri, si sono chiesti: ma quei libri i nostri studenti li avranno letti davvero? Chi non li aveva letti - commentano i Wu Ming -, li avrà letti più tardi, o li leggerà. Comunque sa che esistono, che sono importanti, che sono lì a disposizione. Se vale il ragionamento fatto fin qui, fa una certa impressione vedere in mezzo a questi titoli alcuni libri di autori italiani viventi: Gomorra, il vostro Q, e poi Noi saremo tutto di Valerio Evangelisti. Del valore simbolico di Gomorra e del suo autore si è già molto parlato. Secondo voi come mai gli altri titoli portati sulle barricate sono il vostro e quello di Evangelisti? Qual è il loro valore simbolico nella protesta? Nei Book Bloc della seconda ondata, quella del 14 dicembre, c'erano anche libri di Cacucci, di Philopat e altri... Non sono scelte casuali: il libro di Cacucci era In ogni caso nessun rimorso, romanzo dedicato alla celeberrima «Banda Bonnot», formazione di rapinatori anarchici. Q tratta della guerra dei contadini e dei sommovimenti popolari del XVI secolo. Noi saremo tutto racconta la storia del movimento operaio americano dagli inizi del XX secolo al maccartismo. La banda Bellini di Marco Philopat narra l'epopea del più strano e meno tetragono «servizio d'ordine» dell'estrema sinistra milanese degli anni '70. Sono tutti libri che parlano di conflitto sociale, dell'importanza di mantenere viva la memoria delle lotte. Brandendo quei libri come scudi, gli studenti hanno liberamente scelto la propria tradizione, il phylum ribelle di cui si sentono discendenti. È un gesto di grande valore simbolico, e di indubbio impatto, di grande forza icastica. Avete detto in un'intervista al settimanale Carta: «I libri-scudo funzionano solo se sono in ogni momento entrambe le cose, libri e scudi». Il rischio, insomma, è che nel concentrarsi sul simbolo si perda un po' di vista il referente - in questo caso la cultura - a cui dovrebbe rimandare? Sì, il rischio è quello. Bisogna guardare le foto degli scontri, per capire bene cosa intendevamo dire. Un poliziotto che, nel mezzo di Parliament Square a Londra, punta il manganello per tenere a bada un libro intitolato Spettridi Marx. A Londra, la città dove Marx visse, morì ed è sepolto. Nella piazza del parlamento! E' immediato il richiamo a quel celebre incipit: «Uno spettro si aggira...». In questo caso, la combinazione è stata felicissima, la scelta del libro molto azzeccata. È palese che chi ha realizzato quello scudo aveva in mente feconde connotazioni. Oppure si può realizzare un effetto grottesco, come nella foto del celerino italiano che si accanisce contro L'isola di Arturo! Se la tattica del Book Bloc verrà riproposta, c'è da augurarsi che quegli scudi-libro non subiscano una sotto-connotazione. Non basta scrivere un titolo su un rettangolo di plexiglas, bisogna anche essere consapevoli del mondo di riferimenti che viene evocato. In uno dei vostri interventi avete interpretato la scelta del Decameron come l'espressione di una necessità di narrazioni: «senza le storie, senza le narrazioni da scambiarsi di sera intorno al fuoco, ogni guerriglia nel deserto è destinata alla sconfitta. […] è grazie alle storie che ci raccontiamo che si evita il contagio della peste». E ancora: «ne usciremo solo se troveremo un nuovo racconto, una nuova auto-narrazione che rompa le consuetudini». Nelle rivoluzioni in Medio Oriente, accanto alla tradizione dei classici si sta codificando una vera e propria tradizione di poesia di strada, nata nelle piazze durante le rivolte. L'idea di una poesia che nasce spontanea e diventa insieme «arma» e narrazione della rivoluzione ci sembra molto affascinante. No, non ancora. Gli studenti non possono farcela da soli. Loro hanno portato in piazza l'esigenza di riattivare e rinnovare una tradizione. Lo hanno fatto ripartendo da capo, dopo anni in cui il phylum sembrava, se non del tutto interrotto, quantomeno sfilacciato. Lo hanno fatto da soli, senza padri, perché il «nome del Padre», per dirla con Lacan, era nel frattempo «evaporato». Ora loro sono i padri di se stessi, è una responsabilità enorme, e non vanno lasciati soli. I segnali che captiamo ci dicono che no, non sono soli. |
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Post n°400 pubblicato il 03 Luglio 2012 da facciotta1975
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Post n°399 pubblicato il 22 Giugno 2012 da facciotta1975
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A Gerusalemme il soffio caldo dello Sharav accarezza gli oleandri dei viali, le sinagoghe e le moschee, la vita quotidiana di una città all'apparenza pacifica. Cosí come sembra serena la vita di due donne, due musiciste, giunte in Israele per tenere un concerto: Elisheva, una famosa violoncellista, e Rachel, la sua allieva prediletta, vengono da New York e resteranno a Gerusalemme solo tre giorni. Per entrambe, però, quello è un viaggio nel passato: Rachel, la piú giovane, torna in famiglia, combattuta tra l'affetto per il padre, il senso di colpa (sente di aver tradito le sue aspettative di ebreo ortodosso) e il desiderio di fuggire da lui e dalla sua cultura. |
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EROS E MICHELLE - PIÙ BELLA COSA
Com'è cominciata io non saprei
la storia infinita con te
che sei diventata la mia lei
di tutta una vita per me
ci vuole passione con te
e un briciolo di pazzia
ci vuole pensiero perciò
lavoro di fantasia
ricordi la volta che ti cantai
fu subito un brivido sì
ti dico una cosa se non la sai
per me vale ancora così
ci vuole passione con te
non deve mancare mai
ci vuole mestiere perché
lavoro di cuore lo sai
cantare d'amore non basta mai
ne servirà di più
per dirtelo ancora per dirti che
più bella cosa non c'è
più bella cosa di te
unica come sei
immensa quando vuoi
grazie di esistere...
com'è che non passa con gli anni miei
la voglia infinita di te
cos'è quel mistero che ancora sei
che porto qui dentro di me
Saranno i momenti che ho
quegli attimi che mi dai
saranno parole però
lavoro di voce lo sai
cantare d'amore non basta mai
ne servirà di più
per dirtelo ancora per dirti che
più bella cosa non c'è
più bella cosa di te
unica come sei
immensa quando vuoi
grazie di esistere...
I MIEI BLOG AMICI
PRIMA COLAZIONE
Jacques Prévert
Lui ha messo
Il caffè nella tazza
Lui ha messo
Il latte nel caffè
Lui ha messo
Lo zucchero nel caffellatte
Ha girato
Il cucchiaino
Ha bevuto il caffellatte
Ha posato la tazza
Senza parlarmi
S'è acceso
Una sigaretta
Ha fatto
Dei cerchi di fumo
Ha messo la cenere
Nel portacenere
Senza parlarmi
Senza guardarmi
S'è alzato
S'è messo
Sulla testa il cappello
S'è messo
L'impermeabile
Perché pioveva
E se n'è andato
Sotto la pioggia
Senza parlare
Senza guardarmi,
E io mi son presa
La testa fra le mani
E ho pianto.
Inviato da: strawberry3dgl
il 02/06/2009 alle 11:53
Inviato da: liana.etabeta
il 18/03/2009 alle 12:26
Inviato da: L.Sekhmet91
il 09/03/2009 alle 22:32
Inviato da: facciotta1975
il 06/03/2009 alle 16:08
Inviato da: liana.etabeta
il 06/03/2009 alle 16:05