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Oscar e la dama in rosa (1)

Post n°38 pubblicato il 14 Dicembre 2008 da annalentischio0

Caro Dio,

mi chiamo Oscar, ho dieci anni, ho appiccicato il fuoco al gatto, al cane, alla casa, (credo persino di aver arrostito i pesci rossi) ed è la prima lettera che ti mando perché finora, a causa dei miei studi, non ho avuto tempo. Ti avverto subito: detesto scrivere. Bisogna davvero che ci sia obbligato. Perché scrivere è soltanto ua bugia che abbellisce la realtà. Una cosa da adulti.

La prova? Per esempio,prendi l'inizio  della mia lettera: "Mi chiamo Oscar, ho dieci anni, ho appiccicato il fuoco al gatto, al cane, alla casa (credo persino ai pesci rossi) ed a causa dei miei studi non ho avuto tempo"

Avrei potuto esordire dicendo " MI chiamano Testa d'Uovo, dimostro sette anni, vivo nell'ospedale a causa del cancro e non ti ho mai rivolto la parola perché non credo nemmeno che tu esista".

Ma se ti scrivo una roba del genere, fa un brutto effetto e ti interessi meno di me. Inoltre mi farebbe comodo che tu avessi il tempo di farmi due o tre piaceri..

Ti spiego.

L'ospedale è un posto strasimpatico, con un sacco di adulti di buon umore che parlano forte, con un mucchio di giocattoli e di signore in rosa che vogliono divertirsi con i bambini, con amichetti sempre disponibili come Bacon, Einstein, o Pop Corn, insomma. L'ospedale è un posto gradevole se sei un malato gradito.

Io non faccio più piacere. Da quando sono stato sottoposto al trapianto di midollo osseo, sento proprio che non faccio più piacere. Quando il dottor Dusseldorf mi visita, la mattina, lo fa di malavoglia, lo deludo. mi guarda senza dire nulla, come se avessi commeso un errore. Eppure ho affrontato con impegno l'operazione,sono stato bravo, mi sono lasciato addormentare, ho avuto male senza gridare, ho preso tutte le mie medicine. Certi giorni ho voglia di insultarlo, di dirgli che è stato forse lui, il dottor Dusseldorf, con le sue sopracciglie nere , a sbagliarla, l'operazione.Ma ha un'aria talmente infelice che gli insulti mi restano in gola. Più il dottor Dusseldorf tace con il suo sguardo sconsolato, più mi sento colpevole. Ho capito che sono diventato un cattivo malato, un malato che impedisce di credere che la medicina sia straordinaria.

Il pensiero di un medico è contagioso.

Adesso tutto il piano, le infermiere, gli interni e le donne delle pulizie mi guardano nello stesso modo. Hanno l'aria triste quando sono di buon umore; si sforzano di ridere quando racconto una storiella. E' vero, non ridono più come prima. Solo nonna Rosa non è cambiata.

da "Oscar e la dama in rosa" di Eric-Emmanuel Schmitt

 
 
 
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