Creato da piccolacreaturadidio il 22/09/2007

Alla luce di Dio

canterò al mio Diletto un cantico d'Amore

AREA PERSONALE

 

LEGGENDA NATALIZIA





Un uccellino marrone divideva la stalla
a Betlemme con la Santa Famiglia.
La notte, mentre la famiglia dormiva. notò
che il fuoco si stava spegnendo.
Così volò giù verso le braci
e tenne il fuoco vivo con il movimento
delle ali per tutta la notte, per tenere
al caldo Gesù bambino.
Al mattino, era stato premiato con
un bel petto rosso brillante come simbolo
del suo amore per il neonato re.
Quell'uccellino oggi si chiama "pettirosso"



 

 
 

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Padre nostro
che sei nei cieli
sia santificato il tuo nome
venga il tuo regno
sia fatta la tua volontà
come in cielo
così in terra.
Dacci oggi
il nostro pane quotidiano
e rimetti a noi
i nostri debiti
come noi
li rimettiamo
ai nostri debitori
e non ci indurre
in tentazione
ma liberaci dal male.
Amen
 
 
 
 
 

IL RE DEL NOSTRO CUORE

 


Ave, o Maria,
piena di grazia,
il Signore è con te.
Tu sei benedetta fra le donne
e benedetto
il frutto del tuo seno,
Gesù.
Santa Maria,
Madre di Dio,
prega per noi peccatori,
adesso
e nell'ora della nostra morte.

Amen

 
 

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meditazione del giorno, buon week end a tutti.

Post n°301 pubblicato il 14 Marzo 2009 da piccolacreaturadidio

Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, si avvicinarono a Gesù i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano: “Costui riceve i peccatori e mangia con loro”.
Allora egli disse loro questa parabola: “Un uomo aveva due figli. Il più giovane disse al padre: Padre, dammi la parte del patrimonio che mi spetta. E il padre divise tra loro le sostanze.
Dopo non molti giorni, il figlio più giovane, raccolte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò le sue sostanze vivendo da dissoluto. Quando ebbe speso tutto, in quel paese venne una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò e si mise a servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube che mangiavano i porci; ma nessuno gliene dava.
Allora rientrò in se stesso e disse: Quanti salariati in casa di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi garzoni. Partì e si incamminò verso suo padre.
Quando era ancora lontano, il padre lo vide e commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò.
Il figlio gli disse: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Ma il padre disse ai servi: Presto, portate qui il vestito più bello e rivestitelo, mettetegli l’anello al dito e i calzari ai piedi. Portate il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato. E cominciarono a far festa.
Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò un servo e gli domandò che cosa fosse tutto ciò. Il servo gli rispose: È tornato tuo fratello e il padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo.
Egli si indignò, e non voleva entrare.
Il padre allora uscì a pregarlo. Ma lui rispose a suo padre: Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai trasgredito un tuo comando, e tu non mi hai dato mai un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che questo tuo figlio che ha divorato i tuoi averi con le prostitute è tornato, per lui hai ammazzato il vitello grasso.
Gli rispose il padre: Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”.
Parola del Signore

 

Con spregiudicatezza e superficialità il figlio parte dalla casa paterna perché vuol sentirsi figlio libero e non servo. Si sente ormai grande, autonomo, “posso fare quello che mi pare”, crede. Brama percorrere la sua strada di indipendenza, vuole vivere in piena libertà la sua vita, come ogni figlio che cresce. Si separa dunque dal padre perché si sente oppresso e schiacciato dall’ambiente familiare, o dall’impotenza della stessa figura paterna e dal bisogno di una libertà senza confini. Nella sua esperienza di autonomia, così bramata, però, il figlio disgraziatamente non sa organizzare la vita da uomo “libero”, si dimostra immaturo. Sperpera ogni cosa ricevuta in eredità dal padre, comportandosi in modo da perdere ogni possibilità di vita. Finisce nella miseria. È costretto a vivere non più nel decoro e nella dignità del figlio, ma come garzone, umiliato e asservito, privo delle più elementari necessità di mantenimento. Nell’ambiente giudaico non esiste cosa più vergognosa di pascolare i porci, di stare continuamente a contatto con gli animali impuri. Nel fondo dell’abisso una luce lo scuote. È il risveglio della coscienza, che non cessa di indicare un cammino. Allora ricorda la casa paterna e, con vergogna e pentimento, vi fa ritorno. Lì, per lui inaspettatamente, lo attende non il rimprovero o un meritato castigo, ma l’abbraccio del padre che mai lo ha dimenticato e che lo attende con amore misericordioso. Di fronte al padre il figlio sinceramente si riconosce infedele, come solo un figlio può fare, un figlio “colpito” dall’amore del padre che è stato offeso dall’ingratitudine. Il figlio ne sente tutto rimorso e dispiacere e ne soffre profondamente. E’ deciso. Si confessa al padre, in tutta verità: “Ho peccato contro il cielo e dinanzi a te”. Lui non cerca giustificazioni per ridurre la sua colpa, riversandola magari sugli altri. Ora è leale e non si vergogna di apparire un disgraziato, perché sa che il padre lo conosce e lo comprende. E’ convinto che il genitore lo accoglierà, nonostante la sua infedeltà. Il cuore del padre va al di là di ogni aspettativa. “Ti ho atteso…, da tempo atteso…, vieni nelle mie braccia”. Meravigliosa ma dal punto di vista umano sconvolgente la persona del padre. La può capire solo chi è povero e si lascia amare. Non sempre l’uomo è in grado di intendere i gesti del padre, il suo intenerirsi, il correre incontro a quello scapestrato, stringerlo al cuore e baciarlo. E’ incapace di accettare quelle braccia spalancate in un gesto smisurato di perdono e di resistere alla tentazione di rifiuto chi non ama e non perdona. La facciamo nostra come domanda umile al Padre celeste. Padre, per tutte quelle volte che abbiamo preferito le nostre strade, le strade del mondo alla tua… e alla fine ci siamo accorti che solo nella tua casa c’è non solo il pane ma anche il tuo calore, perdonaci. Facci ritornare dai crocicchi del mondo per rimanere con te, nell’amoroso abbraccio paterno.

 

Beato Giacomo Cusmano Sacerdote

Palermo, 15 marzo 1834 - Palermo, 14 marzo 1888

Il sacerdote palermitano Giacomo Cusmano è noto per aver fondato nel 1867 l'associazione del "Boccone del povero". Si era laureato in medicina a 21 anni ed era subito divenuto il "medico dei poveri" del capoluogo siciliano, dove era nato nel 1834. Il giovane dottore nel 1860 venne ordinato prete. Poi fondò il sodalizio caritativo, con l'appoggio del cardinale Naselli, e nel 1887 due congregazioni: le Serve e i Servi dei poveri. Morto nel 1888 è beato dal 1983. (Avvenire)

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Commenti al Post:
Giles2004
Giles2004 il 15/03/09 alle 16:58 via WEB
un abbraccio domenicale :-)
 
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