Creato da Allure.Sensuelle il 12/01/2010

VerdeOro al Tramonto

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Annamaria, Gianni e gli altri...

Post n°46 pubblicato il 03 Dicembre 2013 da Allure.Sensuelle

 

“mamma!!... M A M M A!!!!!!”

L’immagine fugace di una figura vestita di scuro, che diverse braccia tentano di afferrare e trattenere, dà la sensazione di un’ombra che sfili correndo in un incubo notturno.  In realtà..  E’.. un incubo e non basterà aprire gli occhi perché svanisca. In quell’incubo, un giorno di pioggia cambierà per sempre la vita di qualcuno, con la stessa ineluttabile certezza di una data di morte scolpita su una lapide.

Quell’urlo straziante, disumano, mi è esploso dentro strappando brandelli di cuore. Una disperazione acuta quanto il grido si è addensata strozzandomi, fino a quando non sono sgorgate le lacrime. Forse perché si è formata nella mia mente un’immagine speculare, tanto nitida da immedesimarmi di colpo, come se quella madre invocata fosse la mia. Mi sono sentita invasa da un dolore così forte da togliere il fiato di bocca. Inutile tapparsi le orecchie. Lo sento ancora risuonare in me, sollevando onde di cupa sofferenza.

Ma ho avvertito anche una rabbia selvaggia.

Verso l’operatore che ha continuato a riprendere quel momento doloroso e così intimo che andava protetto a qualsiasi costo. Verso la rete televisiva e la direzione del telegiornale che non hanno pietosamente censurato quell’urlo, restituendolo a quella dolente sfera  privata in cui andava custodito.

Rabbia di fronte a questa cannibalizzazione, a questo voyeurismo malsano e compiaciuto che fa audience, all’ignobile spettacolarizzazione del dolore. Perché quell’urlo nulla aggiungeva al contenuto di informazione del servizio, peraltro già mandato in onda da altre reti che si sono limitate ad informare del dramma con immagini discrete.

Ultimamente le ondate di maltempo si susseguono come frangenti di violenza inaudita, sommergendo con acqua e fango non solo sottopassi, terre e case ma anche i tesori di intere esistenze. E sepolte fra i detriti, strappati via durante il percorso, finiscono troppe vite umane.

Colpa del cambiamento climatico di cui si parla da decenni ma che nessuna nazione vuole ragionevolmente combattere, preferendo rimandare decisioni vitali per inseguire una personale affermazione nel campo della produzione industriale. Colpa dell’incuria: sembra che, per legge, i singoli non possano provvedere - ad esempio - alla bonifica dei corsi d’acqua. Queste attività competono ad enti e ad amministrazioni locali che se da una parte lamentano la penuria di fondi,  dall’altra non vigilano nemmeno affinchè, con  il personale e le risorse a disposizione, vengano effettuati gli interventi necessari. Colpa della bulimia edilizia e degli abusi  che portano a costruire dove non si dovrebbe e degli altrettanto vergognosi piani di condono. Ci sono responsabilità gravi. Gravissime. Inaccettabili.

Si può stare a ragionare sulle colpe, sulle omissioni, sugli scaricabarile che sempre in questi casi distraggono dai veri punti focali ma ciò non toglie che quanto viene distrutto non potrà mai essere reso.

Penso al dolore e alla fatica di tutti quelli che negli ultimi anni, e sono tanti, hanno subito la violenza di un evento atmosferico straordinario

Penso alle case o alle attività messe in piedi con sacrificio ma anche alle piccole cose di una vita, le pietre miliari dei ricordi, che - ormai irrecuperabili - devono essere abbandonate al pari di un rifiuto domestico.

Penso alle vite strappate in modo assurdo, per un’ondata di piena che travolge, incosciente, cose ed esistenze, cancellando ogni traccia delle une e delle altre.

Questo mi addolora quanto invece mi indigna lo sciacallaggio mediatico. La presenza invasiva e molesta dei giornalisti televisivi che indagano sull’ovvio di un lutto senza misure, con le stesse prevedibili e insulse domande di sempre, insultando il disagio e il dolore degli intervistati e la sensibilità di tutti, nell’evidenza di fatti e devastazioni cui non servono commenti. Mi indigna la mancanza di pudore e di rispetto.

Il motociclista romano morto perché investito da un pino gigantesco (già pericolante e privo di radici) è un’altra vittima del maltempo e dell’incuria. I Romani sanno quanto sia pericolosa la Via Cristoforo Colombo, delimitata com’è da quelle file interminabili e pittoresche di grossi pini. Quando il vento spira impietoso, grossi rami vengono giù come aghi di pino scrollati dalla brezza. Molti alberi sono “assicurati” con dei cavi, gli uni agli altri.

E’ un fatto che diventa triste notizia di cronaca. Ma la cosa che mi ha fatto star male è stato l’indugiare del cameraman (accorso prontamente sul luogo dell’incidente, si vantava  compiaciuto il commentatore in studio) sul corpo riverso a terra.

Il casco posato in terra, oggetti sparsi, la moto distesa più in là.. L’albero, il killer, di traverso sulla carreggiata con un ridicolo, insignificante sbuffo di radici, decisamente insufficiente per trattenere una pianta dal fusto così alto..

Tutto quello che rimaneva di Gianni, simboleggiato da  uno scarpone ed una mano chiusa, sbucava da un telo non abbastanza pietoso per nascondere l’orrore di una morte indecente.

Come non abbastanza pietoso è stato quello che continuava ad inquadrare invece di nascondere quella vista agli occhi del mondo preservando, nel ricordo  dei familiari, l’ultima immagine di chi non c’era più. 

La morte non è mai un bello spettacolo e troppe volte mi è capitato, mio malgrado, di vedere le spoglie  che si lascia alla spalle ma penso che sempre, sempre … si debba avere Pudore. Abbassando lo sguardo in segno Rispetto.

 
 
 
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