Creato da Allure.Sensuelle il 12/01/2010

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Letterina di Natale

Post n°48 pubblicato il 20 Dicembre 2013 da Allure.Sensuelle

 

Vedo all'improvviso tante testoline di bimbe, chine sui fiocchi blu, intente  a scrivere la letterina di Natale. La matermagistra, nel suo camice bianco, si aggirava fra i banchi seguendo con sollecitudine i nostri sforzi creativi e suggerendo qua e là una frase, un pensierino affettuoso, a chi annaspava in attesa di ispirazione. Poi ritirava i quaderni, correggeva i testi e finalmente noi tiravamo fuori le nostre letterine “sbrilluccicose” e  copiavamo “in bella”, cercando di evitare erori  errori e cancellazioni, con la scrittura più tonda e chiara di cui fossimo capaci.

 Fiere ed orgogliose. 

Ripensandoci, il primo confessionale della nostra vita. Perché iniziavamo tutte dichiarando il nostro amore incondizionato ai nostri genitori passando a mostrarci pentite di non essere state sempre bambine modello (ma solo monello) e  di non aver fatto il nostro “dovere” per terminare, in un crescendo catartico, promettendo di essere più buone.

Ho il sospetto che tutte le letterine, almeno quelle della mia epoca, fossero stilate secondo quest’unico principio ispiratore.  Mi sembra una vita fa, a volte anche due, ed in fondo lo è. E’ passato davvero tanto tempo e quei ricordi sembrano appartenere ad un’altra era, non solo per gli anni trascorsi quanto (e soprattutto) per i cambiamenti che si sono succeduti da allora nella nostra società, nel modo di vivere in famiglia. Nella famiglia stessa.  Non era ancora diffusa  l’autonomia di pensiero, i canoni di comportamento erano strettamente codificati.  Ed il maestro  D’Orta (recentemente scomparso) non aveva ancora dato alle stampe le coloratissime espressioni dei suoi alunni.

Tornando a noi, la letterina veniva imbustata e tenuta nascosta fino al pranzo di Natale quando, con movenze da cospiratori carbonari, riuscivamo ad infilarla sotto il piatto di papà che, finito di mangiare il primo,  si accorgeva (finalmente! Evviva!!) - con stupore - di un lembo bianco che sbucava da sotto la fondina. Ancora mi chiedo come facesse a mangiare tutto il piatto di tortellini in brodo in equilibrio precario, mantenendo asciutta la busta che fingeva di non vedere.  Dopo la lettura  scattavano i lucciconi d’ordinanza negli occhi della mamma (che si asciugava furtiva una  lacrima. Forse di più) e la deglutizione forzata, virile e asciutta, nel papà (all’epoca i papà non piangevano. MAI!!) e lì i bimbi più attenti e smaliziati,  iniziavano a capire il potere coercitivo della commozione.

A qualcuno poi  è toccato cavalcare il momento di gloria fino in fondo, salendo sulla sedia per recitare la poesiola di Natale, mentre la mamma apprensiva si avvicinava da dietro, pronta a raccogliere al volo il pargolo oratore, evitando che si schiantasse a terra per mancanza di ali. Ciondolando in tutte le direzioni spaziali praticabili col la parte alta del busto e cantilenando con voce argentina, si arrivava più o meno fino alla fine di un testo, ormai quasi privo di senso, virgole e punti, a volte inventando le parole che venivano meno o attendendo pazienti i suggerimenti che, puntuali, ci arrivavano con voce bassa e sicura da dietro la sedia.

 Ricordo come se fosse oggi il primo acquisto della letterina di natale, ne  ricordo ogni dettaglio. Era bellissima. La prima. Eravamo andate con la mamma nella cartoleria all’angolo della strada. Ce ne avevano mostrate molte ma io scelsi “quella”. Probabilmente la più costosa ma era bellissima. Sulla prima pagina c’era il disegno di una natività, con angioletti deliziosi, annidati negli angoli, che cantavano, suonavano strumenti (mai visti prima e forse nemmeno dopo) e srotolavano pergamene di "alleluja!". Su tutto, una pioggia di porporina sapientemente distribuita. Le porte della stalla erano ritagliate e si aprivano rivelando  Maria e Giuseppe illuminati dal fulgore proveniente da un pargolo sorridente e benedicente nella mangiatoia. In basso agnellini teneri e pastorelli si facevano compagnia nella neve. Aprendo la  letterina, in una cornice dai colori tenui con sbuffi dorati  c’era un riquadro di scrittura, con le righe ben distanziate, non troppo grande. Giusto per non suscitare l’ansia da prestazione in noi, giovani scrivani alla prima esperienza di penna.

Qualche settimana fa, mentre mia madre infilava una cosa in un cassetto, m’è parso di vederLa occhieggiare (la mia letterina) in mezzo ad un mucchio di carte che vi erano conservate. Ho il sospetto che ci siano tutte quelle che abbiamo scritto in quegli anni. Forse, in occasione di questo Natale, inviterò mia madre ad una eroica esplorazione, sperando che nessuna delle due si commuova troppo.

Ancora pochi giorni.

Intanto il pensiero approda naturalmente al ricordo delle consuetudini che hanno scandito i primi natali e che si sono cementate indelebilmente nella memoria di lunga durata. Forse ho perso qualcosa per strada ma  le feste natalizie non toccano più le corde giuste del mio animo infatti non provo una gioia particolare. Credo che il Natale sia una festa per bimbi  o anime adulte che non hanno smarrito la loro tenera innocenza. Gli altri, in qualche modo, il Natale lo subiscono..  ne soffrono. Esacerba la solitudine, fosse anche solo quella interiore.

Caro Bambino Gesù …

Nelle scorse settimane captavo continuamente stralci di conversazioni che declinavano insofferenza e patimento...  “oddio siamo già  a Natale. Che stress..  mangiare,  regali, facce finte e interminabili riunioni di famiglia”. Già perché a Natale ci si DEVE riunire (vox populi: Natale con i tuoi..), si deve stare  TUTTI insieme e non ci si può sottrarre a contatti prolungati con "parenti" coi quali ti sentirai di nuovo soltanto l’anno prossimo, nell’indifferenza reciproca (nel migliore dei casi).

Per troppi il Natale diventa una serie di prescrizioni obbligatorie cui ottemperare ed il maggior sollievo risiede nella speranza che il periodo termini in fretta. E anche la corsa ai regali, sulla quale non mi spenderò, perché sono certa che sia circostanza nota a tutti, con i suoi effetti e le sue conseguenze, non è portatrice di gaiezza...

E nell’angolino infantile, quello al quale manca la letterina con gli angioletti, vorrei che ci si incontrasse senza formalità, senza obblighi sociali. Senza menù elaborati da organizzare. Unico vero regalo, il piacere di  stare insieme e scambiarsi non solo un augurio sincero di buone feste ma il desiderio di vedersi ancora, col il sorriso negli occhi. Oppure essere in pace con se stessi e con la vita, senza pesi sul cuore..

Non vorrei vedere attorno adolescenti annoiati che sopportano a malapena l'obbligo di essere a tavola tutti riuniti ed approfittano di ogni occasione per messaggiare al telefonino, che non partecipano alle conversazioni e attendono solo il momento dell’apertura dei regali sperando che nel pacco ci sia l’ultimo gingillo di moda o la bustina coi soldi. Poi, dopo il grazie di circostanza, tornano al loro mondo di sempre mentre i genitori tacciono complici..

Non vorrei  sentire "ma a capodanno ci stai tu con mamma? sai io avevo organizzato con gli amici"

Vorrei che i "parenti" non scomparissero nei momenti di difficoltà nascondendosi dietro rimpalli di impegni che li mettono fuorigioco  confidando, coalizzati all'unisono, che quello/a che non sa dire di no, non impari a farlo in questa circostanza. Perchè non basta farsi vivi e "timbrare il cartellino" solo a Natale.

Vorrei, come da bambina, esprimere un sacco di desideri belli per tutti e vedere, per una volta, che si realizzano uno dietro l'altro...

Caro Bambino Gesù,

quest’anno non voglio essere più buona. Ti prometto che ci proverò anche se non sono sicura di riuscirci..

 
 
 
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