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9.

Post n°9 pubblicato il 06 Dicembre 2023 da altreLettere

IO SONO STATO QUI

 

Il sapore del rosolio era disgustoso. Troppo dolce, troppo spesso sulla lingua e sul palato. Ma quello che lo rendeva insopportabile era il suo tasso alcolico. Troppo basso. Al terzo bicchiere ancora ne sentivi chiaramente il gusto invadere tutto l'alveo della bocca e distendersi in ogni papilla della lingua dalla punta sino all'esofago.  Ce ne sarebbe voluta almeno mezza bottiglia per incominciare a sentire le sinapsi dilatarsi  e via via distendersi. Solo dopo metà bottiglia  tutti i suoi neuroni avrebbero iniziato a fibrillare liberi nei punti di congiunzione ed i pensieri, finalmente, avrebbero sarebbero fluiti leggeri, anche in quella notte dove tutto appariva molle, pesante, ed anche il nero, il buio che colava dal cielo, era spesso come quel rosolio dolciastro e Insopportabile.

Anche il gin era terribile a bersi. Insapore. Ma almeno dalla sua aveva l'alcol che ti stordiva. Lo buttavi giù d'un fiato senza respirare. Guardavi nel bicchiere vuoto e ti chiedevi cosa ti spingesse a sopportarne il gusto. Poi arrivava il secondo. La lingua forse anestetizzata dal primo bicchiere, lo faceva scorrere rimanendo più insensibile. Dal terzo, quando la testa iniziava finalmente a farsi leggera, il gusto diventava una variabile indifferente, e tutto quello che ne seguiva era una semplice coincidenza, un accento messo lì ora su una vocale, ora su un'altra, a dar tono ad un discorso, a segnare un angolo quando forse un accento diventava apostrofo, o una virgola. O forse un punto da cui ricominciare con un altro discorso, una altra riga di parole, leggere come un pensiero, con un alito di vento.

Ma nel bicchiere quella sera non c'era gin, c'era solamente quella melassa di rosolio a basso grado alcolico e nella stanza si spandeva lo stesso identico buio che c'era fuori. Quella macchia di nero che ti avvolge e sporca come fosse d'inchiostro.

Mise un cd nel piccolo lettore portatile con le due minuscole casse attaccate. Era un trio di Ravel: pianoforte, violino e cello. Nel silenzio della stanza si distesero le prime note e poi via via l'armonia che si sviluppava in quello spazio, fra quelle quattro pareti, un soffitto ed un pavimento. Com'era riuscito il compositore a far suonare assieme così bene tre strumenti tanto differenti? Com'era riuscito nel gridare acuto del violino, nella presenza imponente del pianoforte, a far risuonare il cello ed a far comprendere così bene il suo discorso e la sua voce? Non sempre allora chi grida più forte si fa sentire o sovrasta tutto il resto? 

Il rosolio era arrivato a metà della bottiglia. I pensieri cominciavano a fluire morbidi, liquidi. Partivano da un punto e si perdevano subito dopo per ritrovarsi ad un incrocio successivo e poi di nuovo in volo.

Liquidi o forse eterei.

Senza un filo di continuità Senza mai un punto che li interrompesse veramente. Potevano le cose essere continue senza apparire tali? Com'era quella teoria? Una farfalla batte le ali a Pechino e a New York arriva la pioggia e non il sole". Li chiamano sistemi complessi. Fece un brindisi a quei sistemi che si sanno complicare la vita. Bevve in un sorso tutto il bicchiere  e subito ne versò un successivo. Lo guardò nella penombra.

A complicarsi la vita lui, senza essere un sistema complesso, ci riusciva sempre benissimo. O forse a modo suo complesso lo era veramente. Come mai in quella sera buia  pesante, il suo letto era vuoto? Come mai per parlare un poco doveva rivolgersi ad un bicchiere che già la bottiglia aveva smesso da tempo di starlo ad ascoltare? E poi perché aveva smesso? Si erano mai parlati veramente? Femmina anche lei, come l'altra che solo ancora poche ore prima era lì e la notte non era ancora scesa. Ma se fosse stata lì, lei adesso avrebbe chiesto ancora o sarebbe stata semplicemente ad ascoltare? Ci sono molte più risposte a volte, in un discorso che non deve rispondere a niente invece che nelle parole date come risposta vera  ad una domanda.

Cosa avrebbe voluto sentirsi dire quella ragazza, amica di qualche momento. Di un minuto, di un'ora?  Di un tempo che avrebbe potuto essere la vita a saper cogliere l'attimo ed a saperlo giocare bene ai dadi o al tavolo della roulette. E quale vita chiedeva di dividere quando ogni giorno la vita finiva allo sprofondare del sonno? Quando ogni mattina non era soltanto una mattina nuova ma l'uscita di nuovo dalla placenta della notte. Eccola lì la notte allora, quella notte sporca d'inchiostro, con il gusto avariato d'un rosolio cafone e  maledetto. Eccola lì la notte ed un letto bianco vuoto. Domani ci sarebbe stata lei o un'altra donna, chissà? Perché la vita quando dura un giorno merita di essere vissuta intensamente, di coglierne ogni anfratto, e ogni angolo va esplorato fino in fondo. Ogni sapore colto, ogni profumo annusato.

La vita senza meta è quella che ti capita ad ogni minuto che poi la meta la trovi sempre. A volte è dietro un cespuglio, altre è scritta sopra un muro e tu la leggi casualmente mentre contro quello stesso muro ci stai  magari pisciando.

La vita allora è quella cosa che rotola e tu che le corri dietro. A volte la affianchi, è vero. Ma non la superi mai. Lei beffarda si fa raggiungere appena e poi via, come in una invisibile discesa, via, di corsa, a passo lesto. E tu di nuovo dietro a perdifiato. E non c'è neppure il tempo di respirare o di attendere quando la bottiglia si fa più colma d'aria che di liquore, sia pur dolciastro.

 Allora tutto scorre. Anche le domande di lei diventano biglie e rotolano lungo un piano inclinato. Tutto sembra muoversi in una semplice, unica direzione. Tutto uniformemente  accelerato. Sono gli occhi di lei allora che rotolano assieme alle sue parole, e la sua bocca poco distante. I suoi seni che se li era immaginato, ma l'immagine era durata poco che li prontamente glieli aveva offerti. Così prontamente che quasi l'immaginazione s'era scansata di fronte alla velocità del reale.

Domani sarebbe stato un altro giorno in cui nascere e lei od un'altra sarebbe stato lo stesso. Ma non per cattiveria, no. Il gesto più cattivo alla fine era verso sé stesso. Quel lasciarsi morire in ogni notte e quel successivo rinascere erano solo una forma di abbandono.

Così scorreva quella notte, come l'ultima goccia di rosolio sul fondo del bicchiere quando alla fine l'hai capovolto. Lenta, ondivaga, spalmando un poco della sua sostanza sopra il vetro, e lasciandolo lì, dopo ogni attimo del suo passaggio, come a dire: io sono stato qui.

 

 

 

 

 

 

 
 
 
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