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REINCARNAZIONE .....

L’uomo intuisce lo scarto tra le aspirazioni eccessive del suo cuore e le forze e il tempo che ha a disposizione, la soluzione reincarnazionista sembra fornire una facile via di soluzione, in quanto la realizzazione si dispiega in un indefinito numero di esistenze. In realtà essa cela l’illusione di risolvere quantitativamente un problema che è di natura qualitativa:

una relazione di amore con la Persona assoluta ed infinita non si costruisce mediante degli sforzi umani, per quanto ripetuti e numerosi essi siano. Questa sarebbe la torre di Babele. Certamente lo sforzo, nel senso di un impegno decisivo e totale della libertà appartiene strutturalmente a questa relazione che – essendo relazione dialogica e personale – è incontro tra libertà, tra la libertà assoluta e quindi infinita di Dio e la libertà partecipata, limitata e fragile dell’uomo. Il dialogo tra persone presuppone che le persone si incontrino e si fronteggino – volto contro volto -, siano ciò distinte e l’unico modo per distinguersi realmente dalla Persona infinita è quella di esser posti nel limite. Il limite allora, la creaturalità, lungi dall’essere un handicap, risulta essere proprio il presupposto di possibilità di quella relazione d’amore che è la perfezione propria della persona umana; dove il corpo, oltre ad essere il garante del limite in quella situazionalità spazio-temporale che gli è propria essenzialmente, è anche lo strumento indispensabile della relazionalità umana. Per l’uomo il proprio corpo è la condizione del suo essere nel mondo e della sua apertuta al mondo e all’altro. Paradossalmente voler diventare Dio - il che può essere espresso in formule accattivanti, come il dissolversi nell’Uno-Tutto, il perdersi nell’armonia universale di tutte le cose, ecc. – inteso in senso stretto e proprio - vorrebbe dire voler cadere nel nulla, desiderare nihilisticamente l’estinzione di qualunque consistenza del proprio io e della propria identità personale. Nulla di fatto succederebbe in Dio che da sempre è e sempre sarà, mentre la mia vicenda sarebbe solo quella di un annientamento del mio essere e della mia coscienza di me… C’è da chiedersi se questo sia possibile non solo da un punto di vista metafisico, posto che l’appetito dell’essere è connaturato all’essere, ma anche da un punto di vista antropologico: si può dire di desiderare l’annientamento, ma come ammonisce Aristotele «non è necessario che tutto ciò che uno dice lo pensi anche»[19]. Altro invece è vivere la propria relazione con Dio come partecipazione a relazioni sussistenti in Dio stesso, che sono le divine persone della Trinità.

 
 
 
 
 
 
 

 

 
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Post N° 149

Post n°149 pubblicato il 27 Febbraio 2008 da Antologia1


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 Una lettera pubblicata da Avvenire ci ricorda la bellezza drammatica di una vera famiglia:


«Ai miei figli insegno amore, non moralismo»



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Gentile direttore, leggendo su «Avvenire» la frase del nostro Papa: «Famiglia: vivi e trasmetti la fede ai figli», riflettevo sulla distorsione mediatica che si dà della famiglia, anche di quella cristiana. Quest'ultima viene presentata spesso come una sorta di famiglia del «Mulino Bianco», dove tutto fila liscio e con l'aggiunta che, essendo cristiana, in parrocchia è amata e sempre in prima fila senza mai un cenno di disappunto o stanchezza.
Ed ecco quindi lo scandalo appena si scopre che la quotidianità di queste famiglie non è così liscia e scontata. Allora si ascoltano frasi tipo: «Guarda quel ragazzo... e i suoi vanno a Messa tutte le domeniche!», «Hai sentito come litigavano? E quelli sono due che vanno in chiesa!».

Io ho 37 anni e sono sposata da 9 anni. Mio marito e io ogni giorno ci svegliamo e, pregando, la prima richiesta che facciamo è «Signore aiutaci a non essere di scandalo per chi oggi incontreremo» e poi affrontiamo la fatica del lavoro e del crescere 5 figli che hanno le stesse esigenze di tutti i bambini, che litigano o che sbuffano per andare a Messa mentre gli amici vanno al lago.
 E noi stessi ci ritroviamo talvolta a sera ripensando a questo o a quel gesto di stizza. Però prima di addormentarci, con i nostri figli, eccoci a richiedere il Suo aiuto, eccoci a scambiarci il bacio della buona notte, che racchiude il senso dell'essere cristiani: l'amore per il «nemico». Già, perché ci sono mille motivi per diventare «nemici» l'uno dell'altro anche in una famiglia nata dall'amore. Può succedere quando non ci si sente abbastanza amati. E si può ricominciare solo se Cristo viene messo al centro.

Così nonostante le mie imperfezioni, ogni volta che disattendo i miei figli e mio marito, ritrovo un Dio padre che dice di amarmi e che è convinto che io sia la sposa migliore per mio marito e la madre migliore per i miei figli, e questo amore rassicurante e forte mi permette di rivolgere lo stesso sguardo a chi ha disatteso le mie aspettative.
 Prima di sposarmi credevo che la fede servisse da vaccino, ora ho scoperto che la fede è davvero la storia di Abramo: un uomo che ha avuto il coraggio di ricominciare ogni volta a dialogare con Dio. Ecco perché ogni volta che la gente mi chiede «cosa farai se tuo figlio un giorno dovesse disattendere le tue aspettative?», rispondo che faccio quello che Dio fa con me, lo lascio libero di fare perché so che i figli non sono «miei». Ecco la «differenza» di una famiglia cristiana: la certezza che l'amore di Dio viene prima di ogni cosa e che Dio è l'unico che da un male può trarre un bene.

«Famiglia: vivi», ecco dunque che senza vergogna posso dire che quando preghiamo la domenica con i nostri figli ci sono volte che l'armonia e la serenità ci arricchiscono, altre volte c'è chi non ascolta e fa i dispetti al fratello, alcune volte la mia casa è accogliente per chi bussa alla porta, altre volte chiudo tutto e non sempre la generosità splende sul mio cancello.
 Eppure questi errori non ci schiacciano, non si trasformano in rimproveri moralistici, ma in nuovo e continuo desiderio di alzare la testa verso il cielo, per invocare il Signore e chiedergli: vieni e aiutaci.
«Famiglia: trasmetti la fede». A me è stata trasmessa una fede forte da una famiglia non esente da difetti: a nostra volta vogliamo trasmettere ai nostri figli una fede fatta di amore. La mia perfezione non aiuterà i miei figli quando dovranno fare i conti con i propri errori ma saranno tutti i miei difettacci amati da Dio e da mio marito in Cristo che faranno loro ricordare la «fede di Abramo».
 Allora, come successe a me, sapranno a chi chiedere aiuto, perché sapranno che non saranno giudicati. E la strada abbandonata per seguire errori, magari gravi, sarà ritrovata e ripercorsa con serenità.

Silvia Vassalli, San Felice Del Benaco (Bs)  


   
 

 
 
 
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