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Post n°4 pubblicato il 27 Agosto 2008 da 1carinodolce
di Marina Corradi Vorremmo spendere una parola su di loro. Sul parroco di uno sperduto paese delle montagne piemontesi, da dove tutti se ne erano andati, e solo quel sacerdote ottantenne era restato a dir messa per i pochi rimasti, vecchi come lui. Con però nello sguardo una pace singolare, quando diceva: «Sa, se Dio mi chiamasse domattina, io sono pronto, vado via contento». E in quel villaggio svuotato, il vecchio in pace trasformava l’abbandono in un’attesa. Oppure ci viene in mente il giovane sacerdote brianzolo, che nei giorni della strage di Erba rifletteva sulla sua gente: sui figli a dodici anni già spesso inclini all’arroganza, sugli adulti ansiosi di dirsi gente a posto, del tutto estranea alla violenza scoppiata all’improvviso in una cittadina di lavoratori. In quella Brianza indignata, un uomo guardava con passione e pietà la sua gente, ed era un prete.
Ci vengono in mente, anche, alcuni ragazzi da poco ordinati e partiti in missione: per Taiwan, nel desiderio di parlare di Cristo all’altro capo del mondo, o per Budapest, a ritrovare la memoria di un Dio cancellato. Ci viene in mente il prete italiano incontrato a Banda Aceh, sfinito, e grigio della polvere di chi da giorni scava nelle macerie e benedice i morti, «cristiani e musulmani, ci penserà il Padreterno», diceva con il suo benigno accento romagnolo. E, ancora, il vecchio comboniano tornato a casa a morire, dopo cinquant’anni in Africa. Che dal suo letto di malato terminale ci raccontò di quel giorno che i guerriglieri lo rapinarono nella savana, e scontenti dei quattro soldi del bottino gli puntarono contro i fucili. E lui, così mingherlino, d’improvviso se ne venne fuori a dire, fiero: «Ammazzatemi pure, ma io ho vissuto più di tutti voi». Al che la soldataglia, credendolo un povero matto, lo lasciò tornare al suo villaggio, a curare i morti di fame nel nome di Cristo – a vivere, in realtà, «più di tutti». E poi, ancora, quel Fratel Ettore che a Milano, nei sotterranei della Stazione Centrale, aveva messo su un rifugio per disgraziati, clandestini, curdi in fuga verso incerti destini. A tutti dava un letto, e da mangiare, e non faceva domande. Sui muri di quella corte dei miracoli, un crocefisso, e nient’altro. Questi sono i preti che abbiamo conosciuto. Non sono nostri amici, sono i preti. Che alcuni tra loro, tra i tanti, siano capaci del peggiore dei mali, non ci meraviglia. Anche i preti sono uomini, e gli uomini sono capaci del male. Ma guardando il democratico processo di Santoro abbiamo – chissà perché – sentito il bisogno di evocare la gran massa di questi preti.
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