Creato da: Antologia2 il 08/08/2008
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Post N° 5

Post n°5 pubblicato il 30 Agosto 2008 da 1carinodolce

  

 O protagonisti o nessuno

Autore: Leonardi, Enrico

 Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele

Fonte: CulturaCattolica.it
 
venerdì 22 agosto 2008

 

“O protagonisti o nessuno”, dice il titolo del Meeting 2008, mettendo a tema la più drammatica delle alternative, quella che brucia sulla pelle di ciascuno: il bivio tra la riuscita di una vita, la sua perfezione e il suo fallimento; tra il desiderio di emergere, di affermarsi e l’amara delusione del sentirsi nullità, numero o rotellina di un ingranaggio.
Anni fa aveva suscitato scalpore l’episodio narrato da Marco Lodoli in un articolo su “La Repubblica”: “La ragazza raccontava di volersi comprare un paio di mutande di Dolce e Gabbana, con quei nomi stampati sull’elastico che deve occhieggiare bene in vista fuori dai pantaloni a vita bassa. Io le obiettavo che lungo la Tuscolana, alle sei di pomeriggio, passeggiano decine e decine di ragazze vestite così.

Non è un po’ triste ripetere le scelte di tutti, rinunciare ad avere una personalità, arrendersi a una moda pensata da altri?
E da bravo professore un po’ pedante le citavo una frase di Jung:
“Una vita che non si individua è una vita sprecata”. Insomma, facevo la mia solita parte di insegnante che depreca la cultura di massa e invita ogni studente a cercare la propria strada, perché tutti abbiamo una strada da compiere.


A questo punto lei mi ha esposto il suo ragionamento, chiaro e scioccante:
 “Professore, ma non ha capito che oggi solo pochissimi possono permettersi di avere una personalità? I cantanti, i calciatori, le attrici, la gente che sta in televisione, loro esistono veramente e fanno quello che vogliono, ma tutti gli altri non sono niente e non saranno mai niente. Io l’ho capito fin da quando
ero piccola così. La nostra sarà una vita inutile. Mi fanno ridere le mie amiche che discutono se nella loro comitiva è meglio quel ragazzo moro o quell’altro biondo. Non cambia niente, sono due nullità identiche. Noi possiamo solo comprarci delle mutande uguali a quelle di tutti gli altri, non abbiamo nessuna speranza di distinguerci. Noi siamo la massa informe”.

 
Don Giussani, riflettendo sulla condizione umana, raccontava l’impressione in lui suscitata dalla lettura del Salmo 8:
“Quando sono entrato in seminario, a dieci anni, una delle cose che più mi ha colpito, i primi giorni, leggendo il piccolo breviario della Santissima Vergine, come si usava allora, nel Salmo 8, è stato sentirmi dire, insieme agli altri piccoli compagni: «Che cosa è mai l’uomo perché te ne ricordi?». Da allora questa frase mi è rimasta impressa nel cuore: «E il figlio dell’uomo perché te ne curi?». Infatti anche allora mi parve evidente che l’uomo è come un fuscello dentro un vortice, una fragilità grande, come un grano di polvere sotto il vento, sotto i colpi del vento. E non è solo una fragilità: in noi è anche un’incoerenza, e perciò una dissipazione di forze e una divisione di sé, così che uno non riesce ad acchiappare tutto per farlo una unità.

L’uomo è proprio povero! Chi, alla fine di una giornata, sente la sua energia umana come protagonista riuscito nello sforzo umano della giornata passata? Nessuno. Allora è per questo che noi ci abbandoniamo tanto alla distrazione e alla smemoratezza: per evitare la delusione.”

 
Chi o che cosa può salvare l’uomo dal senso di futilità e di inutilità che viene a galla nelle sue giornate, e che spesso colora di sé i bilanci di una vita?

  

 
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Post N° 4

Post n°4 pubblicato il 27 Agosto 2008 da 1carinodolce

 
 
 Terribile effetto del transfert televisivo
(02 giugno 2007)


Se la macchia del sospetto lambisse tutti i preti

di Marina Corradi

 
Annozero l’altra sera era un processo. C’era l’accusa, sostenuta dall’autore dell’inchiesta della Bbc e da Santoro, cui i panni dell’inquisitore sono cari. C’era, per decenza dell’informazione, la difesa. E c’erano gli imputati. Che erano – fatale il combinato disposto: mezzo televisivo e malizia giornalistica – i preti. Non solo i preti colpevoli di pedofilia, ma i preti tout court. L’intento di quella trasmissione lanciata sugli italiani alle nove di sera era di insinuare il dubbio che, in fondo, è rischioso fidarsi dei preti. Nonostante l’insistere retorico sui casi singoli, è una categoria a trovarsi sospettata. A noi che ascoltavamo, tuttavia, sono venuti in mente i preti che abbiamo conosciuto in questi anni, in Italia o nei posti più lontani del mondo.

Vorremmo spendere una parola su di loro. Sul parroco di uno sperduto paese delle montagne piemontesi, da dove tutti se ne erano andati, e solo quel sacerdote ottantenne era restato a dir messa per i pochi rimasti, vecchi come lui. Con però nello sguardo una pace singolare, quando diceva: «Sa, se Dio mi chiamasse domattina, io sono pronto, vado via contento». E in quel villaggio svuotato, il vecchio in pace trasformava l’abbandono in un’attesa.

Oppure ci viene in mente il giovane sacerdote brianzolo, che nei giorni della strage di Erba rifletteva sulla sua gente: sui figli a dodici anni già spesso inclini all’arroganza, sugli adulti ansiosi di dirsi gente a posto, del tutto estranea  alla violenza scoppiata all’improvviso in una cittadina di lavoratori. In quella Brianza indignata, un uomo guardava con passione e pietà la sua gente, ed era un prete.

 

Ci vengono in mente, anche, alcuni ragazzi da poco ordinati e partiti in missione: per Taiwan, nel desiderio di parlare di Cristo all’altro capo del mondo, o per Budapest, a ritrovare la memoria di un Dio cancellato. Ci viene in mente il prete italiano incontrato a Banda Aceh, sfinito, e grigio della polvere di chi da giorni scava nelle macerie e benedice i morti, «cristiani e musulmani, ci penserà il Padreterno», diceva con il suo benigno accento romagnolo. E, ancora, il vecchio comboniano tornato a casa a morire, dopo cinquant’anni in Africa. Che dal suo letto di malato terminale ci raccontò di quel giorno che i guerriglieri lo rapinarono nella savana, e scontenti dei quattro soldi del bottino gli puntarono contro i fucili. E lui, così mingherlino, d’improvviso se ne venne fuori a dire, fiero: «Ammazzatemi pure, ma io ho vissuto più di tutti voi». Al che la soldataglia, credendolo un povero matto, lo lasciò tornare al suo villaggio, a curare i morti di fame nel nome di Cristo – a vivere, in realtà, «più di tutti».

E poi, ancora, quel Fratel Ettore che a Milano, nei sotterranei della Stazione Centrale, aveva messo su un rifugio per disgraziati, clandestini, curdi in fuga verso incerti destini. A tutti dava un letto, e da mangiare, e non faceva domande. Sui muri di quella corte dei miracoli, un crocefisso, e nient’altro.

Questi sono i preti che abbiamo conosciuto. Non sono nostri amici, sono i preti. Che alcuni tra loro, tra i tanti, siano capaci del peggiore dei mali, non ci meraviglia. Anche i preti sono uomini, e gli uomini sono capaci del male. Ma guardando il democratico processo di Santoro abbiamo – chissà perché – sentito il bisogno di evocare la gran massa di questi preti.
Di cui si sa il nome solo se li ammazzano.
Quanti sono, e quanto erano assenti dal democratico processo di Santoro
 – guru di quelli che si sentono Giusti.


 

 
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Post N° 2

Post n°2 pubblicato il 18 Agosto 2008 da 1carinodolce

  

Prov. XI: ubi humilitas, ibi sapientia.

Viene alla mente quell’altra celebre espressione paolina:

"Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù" (Gal 3,28).

"Tutti voi siete uno"!

In queste parole si sente la verità e la forza della rivoluzione cristiana, la rivoluzione più profonda della storia umana,

che si sperimenta proprio intorno all’Eucaristia: qui si radunano alla presenza del Signore persone diverse per età, sesso, condizione sociale, idee politiche. 

 

L’Eucaristia non può mai essere un fatto privato, riservato a persone che si sono scelte per affinità o amicizia.

L’Eucaristia è un culto pubblico, che non ha nulla di esoterico, di esclusivo.

 

Benedetto XVI 

  

 
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Mai più un'altra Eluana!

Post n°1 pubblicato il 08 Agosto 2008 da Antologia2


“No alla prima esecuzione capitale della storia Repubblicana italiana.
No alla sentenza di morte pronunciata da alcuni giudici italiani contro Eluana Englaro”.
 
 
Fermare la mano di chi si appresta a togliere la vita dando attuazione alla sentenza di un tribunale è un dovere insopprimibile per tutte le coscienze libere di questo Paese.
 
 
Lo pretende il rispetto delle stesse leggi italiane che non ammettono l’eutanasia, tale essendo ciò che si sta per commettere.
 
 
Per questo ci rivolgiamo a tutta l’opinione pubblica, ai mondi della cultura e della scienza, del diritto e dell’economia, dell’informazione e del sociale perché spinga il Parlamento ad emanare opportune disposizioni legislative intese ad impedire il ripetersi dell'onnipotenza di certa Magistratura.' 

 
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