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Apollo Errante

Prospettive rovesciate, segni e segnali dell'anima di Roberto Caravella

 
 

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STATO DELL'ARTE

Post n°42 pubblicato il 04 Luglio 2009 da codadipavone
 
Tag: MUSICA

Non credo nel dovere storico di ripudiare il senso di tonalità soltanto perché bisogna evolversi e perché è giusto ritenere che non si possa tornare indietro. Allo stesso modo non credo che debba esistere un solo linguaggio da ascrivere al concetto di contemporaneo per considerare futili tutti gli altri: è un idea estremista come lo è il suo contrario. Il problema di fondo consiste piuttosto nella libertà di linguaggio che soddisfi innanzitutto il proprio creatore, indipendentemente dagli stimoli che egli riceve dall'esterno. La dodecafonia non mi ha mai affascinato o sedotto oltre la pura curiosità intellettuale e ludica, ne più ne meno di quanto faccia un quadrante di Sudoku; è un gioco e niente più, ma nulla ha a che vedere con il linguaggio vero e proprio. E infine ritengo che la posizione degli artisti di questo secolo e di quello precedente si piuttosto provinciale quando questi si ostinino a credere che nell'originalità si debba riporre tutta l'attenzione soprattutto se poi questa originalità non fa che continuare a scavare nello stesso solco scavato da altri: si finisce per essere sottomessi a lavori forzati come quei detenuti che scavano inutili trincee e canali senza altro perché o scopo che non sia l'espiazione. L'artista vero ha sempre tratto ispirazione da ciò che si nascondeva nell'archetipo conservato nello scrigno della memoria e della tradizione. Il grande compositore ha soltanto saputo leggere un'altra faccia di quell'archetipo pur rinnegando il "lato" conosciuto. Provate ad immaginare di passeggiare in una strada ogni giorno per molto tempo; vedrete quel palazzo antico che sapete essere bello e importante; ma col passare degli anni comincia a diventare oppressivo, "vecchio", artisticamente pesante. Ben presto qualcuno, con la scusa di restaurarlo gli cambierà faccia fino a farlo diventare la brutta copia di se stesso che però può essere inserita nell'anonima cubatura postmoderna dei palazzi adiacenti rendendolo armonicamente più accettabile e meno impegnativo. Immaginate poi che dopo molto tempo quando quel palazzo è divenuto invisibile a tutti vi venga voglia di girargli intorno e, una volta giunti dall'altra parte scoprite che in realtà c'è davanti a voi qualcosa di incredibile. Vi accorgete che ciò che non è stato toccato contiene ancora un'anima viva ancorché antica che sa di intelletto vivace pieno di stimoli e di spunti che non sapevate esistere. Vi accorgerete infine che non è il palazzo in sé ad essere bello o brutto, utile o inutile, scarno o ridondante, ma tutti gli elementi che si armonizzavano intorno alla sua architettura, in altre parole era diventato come un "orsù" in mezzo a tanti "ok". Così è per la musica. Monteverdi non ha inventato un linguaggio nuovo e inesistente come vogliono farvi credere; ha semplicemente reinventato la musica "greca" attualizzandola secondo il suo ideale e secondo le esigenze del suo intelletto col risultato che il tempo stesso e le mode hanno trasformato questo suo atteggiamento in stile vero e proprio. Altrettanto si può dire di Bach e dei suoi figli. Johann inseguiva ideali italiani e al tempo stesso una rigorosità anch'essa grecizzante; ma anche in questo caso lui guardava un altro lato del prisma archetipo dell'ellenismo sintetizzabile nella formula "più ethos, meno pathos". I suoi figli scelsero invece la strada più redditizia dell'arte alla moda, meno impegnativa, meno ideale e più pratica. Bach padre doveva dimostrare solo a se stesso il proprio ideale, renderlo tangibile per poterlo verificare, toccare, nutrirsene e persino giocarci. E' un immagine ben lontana dalla pesante e impegnativa cervellotica scienza matematico-mistica che spesso gli si vuole affibbiare per giustificare il suo linguaggio e al sua arte. Bach sa giocare con l'antico e con il moderno, conosce l'ironia svelata da quel suo sorrisetto malizioso che mostra insieme al foglio del canone perpetuo. Bach amava Vivaldi, l'uomo del "tonica-sottodominante- dominante-tonica". Da giovane, molti miei colleghi stimavano Vivaldi semplice "ciarpame". Era per me un insulto gratuito e inutile che svelava una ascendenza di tipo Darmstradt, una forzatura sessantottina e sinistroide che etichettava spesso come senza valore tutto ciò che, soltanto in apparenza e senza impegno, sembra facile e scontato. Ma anche Vivaldi non ha nulla di scontato se non raramente e solo quando ricopia se stesso. Ma anche Mozart ricopia se stesso per più di metà della sua intera produzione; ciò non fa certo di Mozart "ciarpame"; tutt'al più lo ridimensiona in una posizione di umana accettabilità privandolo di quell'aura divina che di fatto non gli appartiene. Anch'egli prendeva a piene mani dalla musica italiana e senza di essa non sarebbe neanche riuscito ad essere il Mozart che tutti conosciamo. Anche Mozart e Haydn hanno un debito con l'ellenismo e con la filosofia dell'ethos. Dunque non c'è da stupirsi se Popper, rivolgendosi a Lieti e parafrasando Schoenberg, gli disse "Signor Ligeti, si può ancora comporre musica meravigliosa in do maggiore come Haydn". Ligeti non riuscì a rispondere -come avrebbe voluto -: "perché allora Haydn non ha composto nello stile di Palestrina?" . Fu meglio così perché entrambi avrebbero avuto modo di parlare a vuoto per molto tempo senza risolvere il loro diverbio in modo sensato e costruttivo. È inutile ostinarsi a scambiare lo stile con il metodo, il linguaggio con la tecnica. Il problema della musica è uno e uno soltanto: comunicare; ma si sa, si può comunicare a gesti, a parole, in svedese o in russo, si può farlo con l'alfabeto morse o con la stenografia. Insomma, comunicare un segnale interiore non può essere soggetto ad un metodo ma dipende soltanto dalla sua efficacia e dai suoi contenuti, ma soprattutto dalla sua destinazione.
R.Caravella

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errata corrige. Lieti - leggi Ligeti
 
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