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LUCA MANNI - RACCONTI 1

Post n°67 pubblicato il 10 Gennaio 2010 da Margherita281028

Esempio di alterazione artificiale delle percezioni

Eravamo distesi sulla fresca erba di un placido giardino metropolitano, agli sgoccioli di un tranquillo pomeriggio d'estate, quando una frase aspra spezzò il silenzio:
-Proprio una bella fregatura 'sti funghi!-
Ma le lamentele di Steve rimasero senza replica.
Ero intento ad osservare un alligatore che scivolava nel fiume, il suo occhio vitreo, attento a qualunque movimento, la pelle dura e coriacea, le fauci semichiuse pronte a serrarsi sulla prossima preda. Lo vidi sguazzare per un po' prima che scomparisse tra i flutti. Quell'immagine mi suscitò una serie di pensieri che ora sarebbe impossibile ripetere senza sfigurarli e banalizzarli, ma la sensazione fu come quella di un treno che ti passa davanti mentre, fermo al passaggio a livello, guardi dentro i finestrini e hai solo il tempo di scorgere per un istante le facce dei passeggeri, dietro a ognuno dei quali sai che c'è una storia infinita, un microcosmo di emozioni, pensieri, idee, sensazioni, ma tutte queste immagini si accavallano e si arruffano senza che si riesca a focalizzarle e potendone avere soltanto una vaga percezione.
-E' vero, neanch'io sento niente, forse dovevamo prenderne di più; domani li riprendiamo, però da quell'altro, dove avevano i narghilè giganti-.
Anthony, che in queste circostanze mostra tutto il suo estremismo, aveva avuto bisogno di un po' di tempo per elaborare l'affermazione di Steve.
-Forse devono ancora salire, quant'è passato? Un'ora e mezza?- dissi io con speranza mista al possibilismo cronico che mi circola nelle vene (insieme ad altra roba meno astratta).
Un po' una delusione questi funghi, ma in fondo succede sempre così: più immagini che una cosa sia eccezionale e più lo sperimentarla risulta deludente, più l'idea che ti crei di un evento che aspetti con ansia è alta e più fragoroso è il tonfo quando lo vivi direttamente. Mi avevano raccontato alcuni amici che si possono avere anche le allucinazioni, uno per esempio mi disse che una volta credeva di essere inseguito da una gigantesca lattina di Coca, mentre in realtà era la sua ragazza che cercava di raggiungerlo. Un altro invece si era perso in un quadro: mentre lo stava guardando ebbe la netta sensazione di esserci dentro, di poter toccare gli alberi e l'erba, e di potersi muovere in quel bosco dipinto. Un po' come Mary Poppins e il suo amico spazzacamino...
E noi nulla. Continuavamo ad aspettare, in silenzio, guardandoci intorno. Guardavo gli alberi, il fiume, il cielo, il prato e la gente che passeggiava, chiacchierava, leggeva o si baciava. Nonostante le mancate visioni mi sentivo bene. Quell'ambiente, coi suoi colori accesi e brillanti, mi infondeva una serenità e una pace quasi mistica, era come se la natura stessa mi sorridesse con l'affetto e la tenerezza di una mamma (quando si dice "Madre Natura"...). Poi la mia attenzione fu rapita da una scena che sul momento mi incuriosì ma cui subito riuscii a dare una spiegazione: una piccola processione, a qualche metro da me, di piccoli esseri antropomorfi (ma non saprei dire se bambini, nani o cos'altro) che si dirigeva con passo allegro verso la riva del fiumiciattolo. Quello che mi fece sorridere, non di scherno naturalmente, ma di benevolenza, furono i loro costumi sgargianti: ricordo sicuramente di aver visto un mago, con tanto di bacchetta e cappello a punta, seguito da un folletto, col suo berretto e le orecchie acuminate, poi veniva la fatina, graziosa e delicata proprio come nei libri; chiudeva la fila il principe, anche lui non più alto di un metro, vestito di tutto punto e coi bottoni d'oro della giubba in bell'evidenza. Pensai che potessero essere una specie di compagnia teatrale che andava a provare il suo spettacolo nel fiume. Non li rividi più. Che magica città, Amsterdam...


Nebbia nera

"Oh Eccelsa Creatura che nutre lo Spirito e il Corpo di pura beatitudine,
Oh Immenso, oh Meraviglioso, prostrandomi innanzi all'Emerita Persona che incarni, oso domandare il Tuo prezioso ausilio, ormai vedendomene amaramente costretto...".
Proseguiva su questo tono la missiva che inviai a Emer, Signore del Sereno, innumerevoli rivoluzioni or sono. Lo pregavo di diradare la caligine che da tempo incombeva su Ter-Keph, della quale non riuscivamo a darci spiegazione alcuna, e che turbava le nostre esistenze avvelenando le coltivazioni e le bestie, noi stessi e i nostri piccoli. Emer venne e trasse la sua infinita saggezza per liberare noi poveri mortali dalla terribile piaga. Non indossava che una chiara e impalpabile tunica, barba e capelli di secoli, uno sguardo nero e profondo come il cosmo, privo della vista, eppure più penetrante di qualunque altro.
Camminammo un giorno e una notte e, quando io, stremato, non potevo proseguire e mi accasciavo al suolo per nutrirmi e riacquistare un po' delle mie forze, Emer si sedeva, imperturbabile, incrociava le gambe e sembrava contemplare il vuoto. Arrivammo a destinazione mentre le prime ombre cominciavano a delinearsi, le gambe non mi sostenevano più, i miei sensi furono travolti da un'unica immensa sensazione di pura estasi...
Di ritorno a casa radunai la mia gente nella piazza centrale e le parlai:
-"Oltre i confini di Ter-Keph, che ormai solo pochi di voi attraversano senza guardare in basso e con la testa immersa nei propri affari, oltre la foresta vecchia, di cui nessun fanciullo di oggi ha ancora calpestato il tenero manto di foglie, si stende una radura il cui limitare si getta a precipizio nelle acque del lago Glum. Emer mi ha condotto ieri nel luogo di cui vi parlo, invitandomi a compiere lo sforzo di lasciarmi alle spalle preoccupazioni e pensieri quotidiani. Amici, ho rivisto il cielo e le nuvole sopra di me! Ho rivisto la stella della vita inondare di luce e calore l'erba e le pietre e accarezzare le increspature dell'acqua giocando coi suoi riflessi! Ho respirato di nuovo lo sferzare del vento, puro e incontaminato, ho lasciato che l'odore dei cardi mi inebriasse come vino novello. Un tempo sapevamo vivere di questo anche se ora non ce ne ricordiamo perché hanno prevalso in noi l'avidità e l'ambizione. Amici, la terribile caligine che offusca l'aria che respiriamo non è altro che la nostra smania di accumulare ricchezze materiali, la nebbia nera è il fondo buio delle nostre anime! Abbiamo creduto che la felicità s'accompagnasse al guadagno, al lusso, al prestigio, mentre essa sta nella bruma del giovane mattino, nel ronzio degli insetti e nell'umido muschio...-. I miei compaesani sembrarono prima incuriositi poi sempre più convinti delle mie parole, finché quello che era inizialmente un brusio esplose in grida di gioioso consenso.
Capite ora perché non c'è nessuna speranza figli miei? Potremo forse illuderci per un po' che le cose possano cambiare, come successe allora, ma non riusciremo mai a liberarci una volta per tutte della nebbia nera: essa è parte di noi.


Per una serie di circostanze che erano venute a coincidere

Mi trovavo a Barcellona per affari importanti, un paio di settimane fa. I dirigenti dell'azienda spagnola con cui avrei avuto a che fare si erano voluti occupare in prima persona di riservarmi una stanza. Almeno, questo è quello che mi avevano scritto nell'ultima lettera, ma si sa che nel nostro ambiente certe affermazioni sono solo forme di cortesia, voglio dire, se facessero così con tutti, a cosa servirebbero le segretarie? In ogni caso l'albergo non era certo all'altezza delle mie pur minime aspettative: ero stato costretto a trascinarmi da solo la valigia fino al bancone della hall, tra i valletti non c'era nessuno che parlasse la mia lingua e il servizio in camera aveva tardato mezz'ora per portarmi un sigaro e un po' di frutta, neanche gli avessi chiesto di cucinarmi una paella valenciana..
Seppure un po' contrariato per il discutibile trattamento ricevuto ero contento di potermi finalmente rilassare e, dopo aver indossato indumenti comodi e puliti e sistemato le mie cose nella stanza, mi misi alla finestra a fumare il mio sigaro, godendo della sottile brezza dei Pirenei. La città si era da poco addormentata e anche i radi lampioni sembravano faticare a stare svegli, due isolati più avanti il mare sonnecchiava beato.
Oltre le dense spire di fumo che buttavo piano fuori dalla bocca mi parve di intravedere giù in strada due gambe fuoriuscire da un cassonetto dell'immondizia, sembravano muoversi, ora con piccoli spasmi, ora lentamente, tracciando brevi archi nell'aria. Si diradò il fumo del sigaro e la visione mi apparve più chiaramente, anche se ancora dubitavo dei miei occhi: un uomo, o più probabilmente un esemplare di una sua sottospecie, stava rovistando dentro al bidone, in cui era immerso fino alla cintura. Mi pervase un senso di repulsione e ribrezzo e come razionalizzando tali sensazioni pensai che a simili bestie non dovrebbe essere concesso vivere o quanto meno bisognerebbe impedire loro di stare nelle piazze e nelle strade della gente per bene. Benché disgustato continuai ad osservare quell'essere ripugnante per vedere dove poteva arrivare la sua perversione: con movimenti goffi e scomposti uscì dal cassonetto, era mezzo nudo e spaventosamente magro, aveva i capelli e la barba lunghi e arruffati, dalle varie tonalità di grigio, dava l'idea di puzzare di fogna e di vomito ed ebbi addirittura la sensazione di percepire il suo odore nauseante, nonostante mi trovassi al quinto piano. Barcollava, faticava a stare in piedi, guardò come per analizzarlo l'oggetto che aveva in mano, forse una scatoletta di metallo, si mise a leccarla avidamente, sembrava che volesse divorarsela tutta, infatti addentò la lamiera e provò a masticarla aprendo e serrando la mascella con sempre più forza. Come era prevedibile si tagliò la bocca e iniziò a sanguinare copiosamente, cercò di dare ancora un paio di morsi alla latta, questa volta con meno convinzione, poi crollò a terra, la testa immersa nella pozza del suo sangue che continuava a sgorgare. "Uno in meno", pensai.
Spensi il sigaro, diedi un paio di morsi a una mela, mi lavai i denti e mi misi il pigiama. Dovevo alzarmi all'alba per andare a vedere un cantiere prima che arrivassero gli operai. Almeno il letto era comodo e, stanco com'ero, dormii tutta la notte di un sonno profondo.
Gli spagnoli mi vennero a prendere puntuali, sbrigammo i doverosi convenevoli e i discorsi di circostanza. Usciti dall'albergo vidi subito la polizia dall'altro lato della strada. Erano intorno a un cadavere che dopo qualche secondo realizzai essere quello del famelico barbone che si era tagliato con la scatoletta la sera prima. In un primo momento mi venne in mente di andare a spiegare ai poliziotti quello che avevo visto per risparmiargli un po' di lavoro, ma pensai che avrebbero potuto accusarmi di omissione di soccorso. Comunque dovevamo passare di lì per andare al cantiere e quando raggiungemmo il capannello della gente incuriosita radunatasi sul posto, uno degli spagnoli che mi accompagnavano interpellò una signora sull'accaduto. Questa, mezza sconvolta, guardando il volto sfigurato e incrostato di sangue del morto, spiegò in un incomprensibile catalano quello che solo dopo qualche minuto avrei appreso dai miei accompagnatori: il barbone morto era un italiano di Bologna sui cinquant'anni, lei lo conosceva perché ogni tanto gli dava due spiccioli e si fermava a farci due chiacchiere. Era un architetto che da un giorno all'altro, per una serie di circostanze che erano venute a coincidere, aveva perso tutto. Aveva detto di chiamarsi Achille, proprio come il mio miglior amico ai tempi dell'Università e di cui da qualche anno non sapevo più nulla..

Commenti al Post:
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marco46 il 24/01/10 alle 17:19 via WEB
veramente notevole il TERZO racconto; come nella realtà, il buio della notte nasconde molte cose... poi arriva la luce spietata del mattino e la tragedia colpisce il tuo viso e la tua coscienza (se c'è ancora coscienza)
 
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