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Ausmerzen: riflessioni a margine.

Post n°65 pubblicato il 04 Febbraio 2011 da Artemide.75
 
Foto di Artemide.75

Me ne avevano parlato in molti, aveva avuto delle ottime recensioni e un’enorme pubblicità. Al di là della curiosità, al di là del credito che hanno le persone che me lo avevano consigliato o che avevano condiviso il link su facebook per suggerirmelo (amici, colleghi, conoscenti), qualcosa di più forte mi ha spinto ieri pomeriggio a cliccare sul la7.tv e a vedere in streaming “Ausmerzen”: il mio senso del dovere di docente di lettere e di chi si è imposta che su certe cose la memoria va tenuta viva.

Ho letto tanti libri e ho visto molti film, mi sono documentata, ho steso relazioni, preparato lezioni, creato laboratori storici con scelta accurata delle fonti. È un argomento che padroneggio abbastanza bene quello della Shoah. In classe passo tutta la settimana del 27 gennaio a parlare, leggere, spiegare, impressionare, sensibilizzare i miei alunni su questo argomento: “la shoah per non dimenticare. Il giorno della memoria”.
Il libro “Se questo è un uomo “ credo di averlo letto tre o quattro volte. E poi “La tregua”, “La banalità del male”, “L’amico ritrovato”, “La notte” … e ricerche sui sopravvissuti e letture di testimonianze; e ancora “Schindler List’s”, “Il processo di Norimberga”, “Kapo”, “Rosenstrasse”, “Il pianista”, “Jona che visse nella balena”, “Au revoir, les enfants!” e potrei continuare la bibliografia e la filmografia ancora a lungo.
Quando ho visto in tv lo spot su Ausmerzen, mi sono detta: “Il solito polpettone fatto in occasione del 27 gennaio, cose trite e ritrite, retorica, ci saranno video edulcorati e verità nascoste, visto il clima di regime che vige”. Vi starete chiedendo “Ma non sai chi è Marco Paolini?” No, non lo conoscevo fino a ieri pomeriggio. Purtroppo. “Ma non è mai troppo tardi”, se mi è concesso l’uso di una frase fatta.

E’ così ho passato tutto il pomeriggio davanti allo schermo del pc a guardare “Ausmerzen”, credendo che da un momento all’altro si sarebbe passato a parlare di ghetti, treni merci carichi di gente ammassata, lager, camere a gas e forni crematori. Invece no. L’operazione di Paolini è stata tanto più sottile, quanto più efficace. L’attore non ha parlato del già visto e sentito, ma ha consegnato alla memoria un’altra strage, antecedente al dramma dei lager, e così ha reso lampante, in modo indiretto, il perché i lager, in poco tempo furono tanto efficienti. Soprattutto ha fatto prendere coscienza agli spettatori del perché un’intera popolazione ha potuto accettare senza battere ciglio che 6.000.000 di persone potessero essere deportate e trucidate nei lager: il popolo tedesco ha acconsentito a tutto ciò in modo tacito, perché già aveva autorizzato il medesimo trattamento alla parte più debole e indifesa di sé stesso, se vogliamo considerare un popolo come un unico corpo.

Ausmerzen, “parola dolce” dice Paolini, deriva dal mese di marzo, significa “sradicare”, ed era un’operazione che facevano i contadini a marzo, nel periodo della transumanza: sopprimevano le bestiole inferme o deboli che non avrebbero potuto reggere la marcia, anzi l’avrebbero rallentata.
Ed ecco cosa fecero i Tedeschi: diedero il tacito assenso o considerarono giusto che migliaia di persone, tra neonati deformi e portatori di handicap, fossero eliminate, perché rallentavano la crescita della Germania.
Con l’aiuto di ostetrici, medici di famiglia, psichiatri, luminari considerati progressisti, uomini di scienza, Hitler e i suoi accoliti hanno realizzato un’uccisione di massa di gente debole e indifesa. In nome dell’eugenetica, sulla scia dell’entusiasmo derivante dalla belle époque, decisero di ripulire il sangue della nazione. Decisero di potare, di tagliare i rami più deboli, quelli secchi, decisero di mettere fine a vite indegne di essere vissute: le vite dei mangiatori inutili.

Ah, i gerarchi nazisti, quanto erano bravi nell’ottenere consenso, nel fare propaganda, nel martellare la gente fino a plagiarla! Pubblicità, manifesti, giornali, documentari «scientifici», problemini di aritmetica: tutto finalizzato a dimostrare che informi e malati di mente erano mangiatori inutili e sostenerli, in tempo di crisi e di guerra, era uno spreco. E cosa poteva importare a un padre di famiglia della sorte di questi sfortunati? Assolutamente nulla, se lo stato risparmiava, possibilmente per lui ci sarebbero stati più sovvenzioni.
Ed ecco che così nasce Aktion T4. Un gruppo sostenuto dal governo, ma che opera fuori dal governo, che in modo silenzioso, scientifico, sistematico ed economico uccide centinaia di bambini malformati e portatori di handicap dal 1939 al 1941. Dopo il gruppo verrà spostato nei vari lager, che funzioneranno subito in modo “produttivo”.
Mi sono sempre chiesta, in che modo i Tedeschi avessero fatto in poco tempo a impiantare a far funzionare in modo efficace i lager. Paolini mi ha dato la risposta. Avevano fatto le prove, si erano allenati in casa, sui propri concittadini.

Avevo studiato tempo fa questo aspetto del nazismo: gli esperimenti di eugenetica, gli accoppiamenti tra belli e intelligenti, biondi, magri , alti, con gli occhi azzurri. Sapevo della sterilizzazione e degli internamenti più o meno forzati di persone con deficit psicomotori, ma non ero a conoscenza che fossero così tanti quelli uccisi.

Sbarro gli occhi e porto le mani al viso quando vedo la foto di Ernest Losa, un ragazzino come tanti. Nella mia scuola ce ne sono almeno 3-4 per classe. Era un orfano che aveva vissuto in collegio: dunque, diremmo oggi, un ragazzo con grave svantaggio di tipo affettivo e socio-culturale. Fu considerato “pazzo”, un mangiatore inutile. E sebbene con tenacia, caparbietà e voglia di vivere, si fosse ostinato a rimanere in vita nonostante il “regime dietetico” a cui lo aveva sottoposto il direttore del manicomio, fu ucciso con un’iniezione letale. Causa del decesso: tubercolosi. Questo è scritto sulla sua cartella clinica.

Che cosa avremmo fatto noi? Questa la domanda che pone Gad Lerner al pubblico in sala alla fine del monologo di Paolini.
Io tento di darmi una risposta. Una risposta sincera.

Tra il 1939 e il 1945, in Germania, cosa avremmo fatto? COSA AVREI FATTO IO?
Io, se fossi stata un medico, un’ostetrica, una psichiatra, se soltanto avessi avuto il minimo dubbio di essere strumento di omicidi di massa mi sarei rifiutata. Sembra la risposta più logica.
Alcuni infermieri si sono rifiutati di fare l’iniezione letale a Ernest Losa, perché erano affezionati al ragazzo.

E allora perché la suora che lavorava all’interno di uno di questi manicomi chiede al giudice “mi succederà qualcosa?”. Aveva ucciso decine e decine di neonati, senza avere la minima coscienza di stare attuando degli omicidi, anzi infanticidi.
Mi chiedo cosa accade nella testa delle persone. Me lo chiedo tutte le volte mi trovo a studiare un genocidio o delle stragi di massa come quelli attuati durante il nazismo. Hitler era folle, i suoi seguaci pure. Ma la maggior parte della popolazione? In fondo erano brava gente! “Ma la brava gente si abitua, si abitua facilmente. La brava gente fa quello che ci si aspetta da lei” dice Paolini. E “l’uomo è l’essere vivente che più facilmente si abitua o sia adatta. Le altre specie muoiono, l’uomo si adatta” scrive Primo Levi.

IO MI SAREI OPPOSTA. Continuo a ripetermelo. Sono sicura che lo state facendo anche voi. State dicendo “mi sarei opposto/a”

Ma adesso provate a riflettere, provate soprattutto a non ragionare con le categorie morali attuali.

Le cose oggi sono diverse. Se in questo frangente, se in questa epoca storica, io venissi a conoscenza di fatti del genere perpetrati nella mia nazione (o altrove), scenderei in piazza, manifesterei, farei lezioni in classe urlando sdegnata, parteciperei a campagne di sensibilizzazione, scriverei righe piene di riprovazione. Ma io sono nata dopo la II guerra mondiale, dopo la dichiarazione dei diritti umani del ’48, dopo la nostra Costituzione, dopo il ’68 e dopo la guerra in Vietnam e soprattutto dopo la SHOAH. E ho un senso civico, di giustizia, una consapevolezza di diritti e doveri che forse un cittadino medio europeo, anche inglese, danese o svizzero, negli anni ‘40 non aveva.

E adesso provate a vedervi catapultati nella Germania nazista degli anni ’40, durante la II guerra mondiale. Diventa difficile darsi una risposta. Nel mio piccolo mi sarei opposta, ma in grande non avrei potuto fare nulla. Questa è la conclusione a cui sono giunta.

 
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