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Auguri Israele

Post n°130 pubblicato il 11 Maggio 2008 da BB_e_Basta

Il prossimo Shabbat, così si diceva da noi,il sabato mattina, tutti i delegati dell’assemblea generale si sarebbero riuniti in un luogo chiamato Lake Success e avrebbero decretato il nostro destino.

“Vivere o morire!”, esclamò il signor Abramsky…….

Solo che quel sabato mattina risultò che la fatale vottazione si sarebbe svolta a Lake Success nelle prime ore del pomeriggio, quando da noi sarebbe stata ormai sera inoltrata, data la differenza di fuso orario tra New York e Gerusalemme. O forse non a causa del diverso fuso, piuttosto per via del fatto che Gerusalemme si trovava in un posto sperduto, oltre i Monti di Tenebra, lontano dal mondo vero…..

Oltre mezzanotte, verso la fine della votazione, mi svegliai. Il mio letto stava sotto la finestra che dava verso la strada, e non ebbi che da tirarmi su, mettermi in ginocchio e sbirciare  tra le fessure delle persiane. Da tremare.

Come dentro un sogno spaventoso, stavano strette e tutte e immobili nella luce giallastra del lampione frotte di ombre dritte nel nostro cortile, in quelli vicini, sui marciapiedi, sulla strada, come una riunione plenaria di spettri taciturni sotto quella luce diafana, su tutti i balconi, centinaia di uominie donne e nemmeno un fruscio,  vicini e conoscenti ed estranei, alcuni in abiti già da notte e altri in giacca e cravatta, qua e là qualche signore con cappello o berretto. Donne a capo scoperto e altre in vestaglia e con il fazzoletto in testa, su qualche spalla bambini addormentati, in fondo alla folla una vecchia seduta su uno sgabello o un anziano portato fuori per strada su uno sgabello.

Tutta quella gente pareva pietrificata  dentro un silenzio notturno spaventoso, quasi non fossero persone vere e invece sagome scure disegnate sopra la volta baluginante dlla tenebra. Come se fossero tutti morti, in piedi. Non una parola non un colpo di tosse non una pedata. Non una zanzara che ronzasse. Solo la voce profonda, ruvida, del giornalista americano che sbucava dalla radio a tutto volume e faceva fremere l’aria della notte, o forse era la voce stessa di Osvaldo Arania del Brasile, il presidente dell’Assemblea dell’ONU. Uno dopo l’altro, leggeva i nomi degli ultimi stati della lista, secondo l’alfabeto inglese, e subito dopo rimbombava nel microfono l’esito del voto. United Kingdom: absence. Union of Soviet Socialist Republics: yes. United States: yes. Uruguay: sì. Venezuela: sì. Yemen: contro. Iugoslavia: astenuta.

Poi la voce si fermò di colpo. D’un tratto un silenzio d’altri mondi scese e agghiacciò tutta la scena, un silenzio terrificante, un silenzio di tragedia, un silenzio pieno di fiati sospesi quale non avevo mai sentito in vita mia né mai più sentii, prima e dopo di allora.

Poi la voce spessa, un poco rauca, riprese a far tremare l’aria attraverso la radio, e a ricapitolare con una secchezza ruvida ma gravida di allegria: trentatre a favore. Tredici contro. Dieci astenuti e uno stato assente dall’assemblea. La proposta era accolta.

Con ciò, la voce fu inghiottita da un ruggito sbucato dalla radio, che risaliva dalle gallerie della sala di Lake Success impazzite di gioia., e dopo altri due o tre secondi di sbigottimento, di labbra schiuse come per sete e di occhi sgranati, di colpo anche la nostra strada sperduta ai margini di Kerem Abraham nel Nord di Gerusalemme scoppiò in un primo urlo tremendo che lacerò il buio e le case e gli alberi, un urlo che si lancinò da solo, un urlo non di gioia, ……. e subito dopo ecco che quel primo urlo orripilato si trasformò in una moltitudine di grida di gioia e in una notte di festa e di ‘Il popolo d’Israele vive!’.

.

Finalmente!

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Anonimo il 21/08/08 alle 10:31 via WEB
pag. 426, 427 e 428.
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